Illegittima trascrizione nei registri immobiliari (Cass. n. 15795/2013)

Redazione 24/06/13
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Svolgimento del processo

T.D.G., C.D.A. e D.G., in proprio e quali eredi di D.C., convennero dinanzi al Tribunale di Torino C.P.M. chiedendo che fosse dichiarata illegittima e quindi ordinata la cancellazione della trascrizione eseguita a cura del convenuto della sentenza della Corte di appello di Torino del 3 settembre 1986 sui beni specificatamente descritti nell’atto di citazione, assumendo che la predetta sentenza non era titolo valido per la trascrizione avendo solamente accertato in capo all’odierno convenuto la titolarità delle quota di partecipazione alla società Villa di Salute di Trofarello, senza accertare il suo diritto di comproprietà sui beni immobili di quest’ultima, che nemmeno individuava in modo specifico.
Costituendosi in giudizio, il C. chiese il rigetto della domanda, eccependone l’infondatezza nonché la prescrizione, e, in via riconvenzionale, che fosse cancellata la trascrizione della presente domanda, nonché che fosse rettificata la nota di trascrizione relativa al rogito ****************** del 12 gennaio 1987 di accettazione di eredità di D.C. per la parte in cui indicava la quota sociale devoluta agli attori, in quanto comprensiva anche di parte della quota a lui spettante.
All’esito dell’istruttoria, solo documentale, il Tribunale accolse la domanda degli attori e rigettò quelle riconvenzionali del convenuto.
Interposto gravame, con sentenza n. 942 del 31 maggio 2006 la Corte di appello di Torino confermò integralmente la pronuncia di primo grado. Il giudice di appello pervenne a questa conclusione affermando che, come ritenuto dal Tribunale, la sentenza della Corte di appello del 1986, in forza della quale era stata eseguita la trascrizione sugli immobili della società di persone Villa di Salute, non era titolo idoneo a tal fine, atteso che essa si era limitata a riconoscere una residua quota di partecipazione alla società in capo al C. , ma non aveva anche statuito sui diritti degli immobili intestati alla società. In particolare, la Corte distrettuale precisò che la sentenza di cui si discute, emessa dalla Corte di appello di Torino quale giudice di rinvio a seguito della cassazione della pronuncia di appello, aveva definito il contenzioso insorto tra le parti in ordine alla determinazione della esatta quota di partecipazione nella suddetta società, qualificata come società in nome collettivo, di C.E. , dante causa di C.P.M. , il quale aveva chiesto l’accertamento in suo favore del “diritto di comproprietà immobiliare, mobiliare, aziendale e di partecipazione sociale”, domanda a cui la controparte aveva opposto l’usucapione della quota rivendicata. La sentenza aveva disatteso questa eccezione e riconosciuto in capo al C. una residua quota di partecipazione, senza però pronunciarsi né individuare i beni della società. Il semplice ed evidente fatto che tale quota fosse comprensiva anche della comproprietà sugli immobili conferiti alla società, non equivaleva però ad un accertamento sulla titolarità degli stessi in capo al socio. Ne conseguiva, ad avviso della Corte, l’inidoneità della relativa sentenza a fondare la pretesa dell’appellante alla trascrizione del suo diritto di comproprietà sui beni immobili sociali.
La Corte torinese respinse altresì gli altri motivo di appello rilevando che l’eccezione di prescrizione sollevata dal C. risultava collegata agli altri motivi dichiarati infondati e che comunque il diritto di chiedere la cancellazione della trascrizione su beni immobili costituisce una facoltà del diritto di proprietà ed è, come tale, imprescrittibile e che la richiesta diretta ad ottenere la declaratoria di nullità o inefficacia della trascrizione dell’atto di citazione doveva ritenersi abbandonata in primo grado, non essendo stata riprodotta al momento della precisazione delle conclusioni, né riproposta con l’atto di appello.
Per la cassazione di questa decisione propone ricorso C.P. ***** con atto notificato il 16 luglio 2007, affidato a cinque motivi. C.D.A. e D.G. , quali eredi di D.C. e T.D.G. , resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., censurando l’affermazione della sentenza impugnata che ha negato alla sentenza del 1986 le caratteristiche di titolo trascrivibile in ragione del fatto che essa non conteneva alcun accertamento su diritti reali sui beni immobili della società Villa di Salute di Trofarello. Il ricorrente contesta tale conclusione, che ascrive ad una errata interpretazione del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di appello del 1986. Quest’ultima, infatti, aveva espressamente affermato che i beni conferiti alla società di persone vengono a trovarsi in contitolarità dei soci, sia pure con un onere di destinazione all’attività della società.
Le stesse indicazioni sono inoltre rinvenibili nelle sentenze n. 4603 del 1989 e n. 6480 del 1984 della Corte di Cassazione. Nella prima, che aveva disposto il rinvio alla Corte di appello di Torino che aveva pronunciato la decisione del 1986 di cui si discute, essendo stato precisata la stretta inerenza tra quote sociali e quote di comproprietà dei beni conferiti alla società; nella seconda, avendo la Corte di legittimità statuito che la cessione di quote di immobili alla società doveva essere fatta ad substantiam con atto scritto, e che “nei trasferimenti di proprietà di immobili di cui al citato art. 1314 erano necessariamente compresi quelli di quote della loro comproprietà”.
Sotto altro profilo, il ricorso assume che l’accertamento del diritto di comproprietà dei soci sui beni immobili della società costituiva un antecedente logico necessario della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza della Corte di appello di Torino del 1986, laddove detto giudice, nel respingere l’eccezione di usucapione degli altri soci, aveva precisato che i beni sociali erano da ritenersi di proprietà dei soci. L’accertamento della quota sociale in capo al C. ed il riconoscimento della sua spettanza agli utili sociali maturati muoveva in sostanza dal riconoscimento del suo diritto di comproprietà, in proporzione alla quota, dei beni sociali, che, quale presupposto di fatto, era coperto dal giudicato.
Il motivo è infondato.
La decisione impugnata fonda la propria statuizione di rigetto dell’appello sulla affermazione che né la sentenza della Corte di appello del 1986 né tanto meno quella della Corte di Cassazione del 1989 hanno mai accertato alcun diritto di comproprietà immobiliare in capo al C. sui beni della società né hanno mai identificato i beni immobili oggetto di tale presunto diritto.
L’accertamento così compiuto è esatto, trovando diretto riscontro e conferma nel dispositivo della menzionata sentenza del 1986, che si era limitato a dichiarare la titolarità in capo al C. di una quota pari a 8,5402/120 della società Casa di cura “Villa di salute di Trofarello” e la sua spettanza ad ottenere gli utili, in proporzione a detta quota, non prescritti, senza statuire alcunché in ordine anche alla sua contitolarità sui beni della società. Statuizione che, merita aggiungere, appare del tutto coerente con il principio che le società di persone – quale pacificamente era la società Villa di salute di Trofarello – pur non avendo personalità giuridica, il che porta nei loro confronti ad escludere, dal lato passivo, quella separazione tra la responsabilità della società e quella personale dei singoli soci che invece è il tratto saliente delle società di capitali, sono tuttavia configurate dalla legge come autonomo soggetto di diritto, distinto dai singoli soci, avente propria autonomia patrimoniale e quindi autonoma titolarità dei beni facenti parte del loro patrimonio (Cass. n. 26245 del 2011; Cass. n. 21307 del 2008; Cass. n. 10427 del 2002; Cass. n. 2487 del 2000; Cass. n. 4603 del 1989), i quali, pertanto, appartengono alla società e non ai singoli soci.
Né hanno pregio le argomentazioni del ricorrente secondo cui un tale accertamento sulla contitolarità dei beni della società in capo al C. sarebbe stato compiuto dalla Corte di appello di Torino nel corpo della motivazione, dando luogo ad una statuizione autonoma anche se collegata, in quanto presupposta, con la pronuncia finale. La deduzione non merita accoglimento, dal momento che dalla lettura del predetto provvedimento non emerge sul punto alcun accertamento avente il carattere proprio di capo autonomo della decisione, come tale suscettibile di integrare e concorrere a formare il comando del giudice. Sul punto questa Corte ha del resto chiarito che integra un capo autonomo della decisione, come tale suscettibile di formare il giudicato, non già una qualsiasi accertamento di fatto della sentenza, ma solo quella affermazione che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente, caratteri che invece vanno esclusi non solo in presenza di mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazioni di presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 4732 del 2012; Cass. n. 726 del 2006).
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2657 cod. civ. in relazione agli artt. 2659 e 2660, censurando l’affermazione della Corte di appello secondo cui la sentenza del 1986 non era titolo suscettibile di trascrizione anche perché non individuava i beni mobili e immobili facenti parte del patrimonio sociale. Sostiene il ricorso che tale asserzione è errata, atteso che l’obbligo di indicare i dati di identificazione dell’immobile riguarda la nota di trascrizione e non l’atto da trascrivere, che, a tal fine, è sufficiente contenga le caratteristiche di cui all’art. 2657 cod. civ..
Il motivo, che investe una argomentazione ulteriore della sentenza impugnata, va dichiarato assorbito in ragione della reiezione del precedente motivo, apparendo la motivazione della sentenza ivi censurata in grado, di per sé sola, di sorreggere la statuizione di rigetto dell’appello.
Il terzo motivo di ricorso investe, sotto il profilo del vizio di motivazione, la stessa affermazione censurata nel mezzo precedente, affermando che l’esatta individuazione dei beni su cui era caduta la trascrizione era comunque possibile sulla base delle indicazioni contenute negli atti richiamati dalla stessa decisione, in particolare dalle risultanze dell’atto del 30 giugno 1913, della scrittura del 15 maggio 1940 di costituzione della società, e dei rogiti successivi del 1951,1965 e 1968.
Sotto altro profilo il ricorrente attacca la sentenza per contraddittorietà di motivazione, laddove, da un lato, ha rilevato che “la quota sociale facente capo al C. come comprensiva della comproprietà degli immobili conferiti in proprietà alla casa di cura”, e, dall’altro, ha escluso che vi fosse alcun accertamento sui diritti immobili spettanti al C. .
La prima censura, che si collega al motivo precedente, va dichiarata assorbita, per le medesime ragioni sopra esposte.
La seconda doglianza appare invece infondata, non essendovi alcuna contraddittorietà logica o giuridica tra l’affermazione secondo cui la quota, quale frazione del patrimonio sociale, comprende necessariamente i beni che di esso fanno parte, ed il rilievo che il riconoscimento della titolarità di detta quota non comporta il riconoscimento in capo al suo titolare anche della comproprietà dei beni sociali.
Il quarto motivo di ricorso censura la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, ritenendola assorbita dal rigetto degli altri motivo e comunque infondata, per essere la richiesta diretta alla cancellazione della trascrizione su beni immobili una facoltà inerente al diritto di proprietà, come tale imprescrittibile. Il ricorso assume in proposito che entrambe le affermazioni non risultano in alcun modo motivate, non avendo la Corte distrettuale spiegato le ragioni a sostegno.
Il motivo è infondato, apparendo assorbente rispetto alle critiche sollevate ed anche alle ragioni esposte dalla sentenza impugnata – la cui motivazione va pertanto corretta a mente dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ. nel senso di seguito precisato – la considerazione che l’illegittima trascrizione di un atto nei registri immobiliari costituisce un illecito di carattere permanente, con l’effetto che il diritto di reazione giuridica del soggetto che si assume pregiudicato non è suscettibile di prescrizione finché la trascrizione è in atto.
Il quinto motivo di ricorso, denunziando la violazione degli artt. 99, 163, 189 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 121, censura il capo della decisione che ha ritenuto abbandonata e comunque non riprodotta nell’atto di appello la domanda diretta ad ordinare la cancellazione dell’annotazione effettuata dalla controparte in data 5 febbraio 2001 sulla nota di trascrizione. Sotto un primo profilo, si deduce che l’abbandono o la rinuncia alla domanda non può desumersi solamente dalla sua mancata riproduzione all’udienza di conclusioni e che se il giudice avesse esaminato la memoria depositata ex art. 183 cod. proc. civ. e la comparsa conclusionale, ove si insisteva su tale richiesta, avrebbe dovuto convincersi sul fatto che essa era sta mantenuta dal richiedente. Sotto altro profilo, si deduce che, contrariamente a quanto affermato dal giudice distrettuale, tale domanda è stata ritualmente riproposta nell’atto di appello.
Il motivo va dichiarato assorbito in ragione del rigetto dei precedenti motivi, da cui consegue la conferma della statuizione che ha disposto la cancellazione della trascrizione.
In conclusione, il ricorso è respinto.
Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio,

 

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