Illegittima esclusione dal concorso e ritardata costituzione del rapporto di impiego: nessuna retribuzione è dovuta per il periodo di ritardo nell’assunzione (Cons. Stato n. 1773/2013)

Redazione 27/03/13
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FATTO

Con ricorso al TAR Campania, Napoli il sig. *********, assunto dal Comune di Casandrino in esecuzione della sentenza della Sezione V di detto T.A.R. n. 91 del 1995, quale vincitore di concorso riservatario appartenente a categoria protetta ex lege n. 482 del 1968, ha lamentato il riconoscimento del trattamento economico da parte del Comune solo a far data dall’1 agosto 1995 e la limitazione ai soli fini giuridici della retrodatazione dell’assunzione alla data dell’11 gennaio 1993. Ha contestato inoltre il mancato riconoscimento di ristoro economico per il danno ingiusto subito a seguito della tardiva assunzione in servizio e, quindi, della mancata retribuzione che diversamente sarebbe stata percepita dall’1 gennaio 1993 se l’amministrazione non gli avesse illegittimamente negato l’assunzione.

Con la sentenza in epigrafe indicata detto Giudice ha respinto il ricorso, sia perché il Comune aveva correttamente eseguito detta pronuncia giurisdizionale che limitava la retrodatazione ai soli effetti giuridici, conformemente alla prevalente giurisprudenza amministrativa che riconosce il diritto al trattamento economico per il periodo di lavoro pregresso solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di lavoro, sia perché il gravame, nonostante un generico accenno a un “ristoro economico per il danno subito a seguito della tardiva assunzione in servizio”, contenuto nell’esposizione del fatto, non poteva considerasi, in senso proprio, esercizio di un’azione risarcitoria per danni da ritardo nell’assunzione.

Con il ricorso in appello in esame il sig. V. ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza del T.A.R. e la condanna in epigrafe indicata deducendo i seguenti motivi:

1.-. Violazione degli artt. 21 e 26 della l. n. 1034/1971, degli artt. 99, 112 e 113 del c.p.c. e dell’art. 2043 del c.c.. “Error in procedendo” ed “in iudicando”.

Il percorso argomentativo seguito con la sentenza impugnata è in contrasto con i principi in tema di individuazione e qualificazione della domanda, per i quali bisogna tener presente il contenuto sostanziale della pretesa dedotta, che nel caso di specie era risarcitoria.

Erroneamente è sostenuto in sentenza che il trattamento economico spetta solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di lavoro e non in caso di illegittimo diniego di assunzione.

Comunque sussistono tutti gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito generatore di danno risarcibile.

E’ chiesta la condanna del Comune anche al pagamento di somma, determinata in via equitativa, per ulteriori sofferenze morali subite.

Con atto depositato il 2.7.2008 si è costituito in giudizio il Comune di Casandrino, che ha dedotto la infondatezza dell’appello nell’assunto che, non avendo il ricorrente impugnato la sentenza n. 91/95 con cui ha dichiarato l’obbligo del Comune di procedere all’assunzione del sig. V. dall’11.1.1993 ai soli effetti giuridici, in corretta esecuzione della stessa è stato immesso in ruolo dal 1993, differendo al 1995 l’assunzione in attesa di certificazione ASL. Non sussisterebbe quindi alcun comportamento antigiuridico dell’Ente, che ha aggiunto che, poiché con il ricorso notificato il 17.2.2000 è stato chiesto il pagamento della retribuzione dall’1.1.1993 al 31.7.1995, tale pretesa è prescritta in gran parte per decorrenza del termine quinquennale. Comunque il ricorso sarebbe infondato perché, per pacifica giurisprudenza, la decorrenza del trattamento economico del dipendente è legata alla effettività lavorativa.

Con memoria depositata il 18.10.2012 l’appellante ha ribadito che la domanda proposta in primo grado era da considerare di risarcimento danni ed ha reiterato tesi e richieste.

Con memoria depositata il 18.10.2012 il Comune resistente ha dedotto che, per la natura sinallagmatica del diritto del pubblico dipendente alla corresponsione delle retribuzioni relative al ritardo nella assunzione (che presuppone l’avvenuto svolgimento della attività di servizio), non spetta il riconoscimento del relativo diritto, essendo dovuto, relativamente a detto periodo, solo l’eventuale risarcimento del danno sofferto.

Con memoria depositata il 30.10.2012 l’appellante ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 20.11.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal sig. ********* di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata, con la quale era stato respinto il ricorso proposto per l’accertamento e il riconoscimento del diritto a vedersi corrispondere la somma equivalente alla retribuzione spettante quale dipendente di ruolo del Comune di Casandrino, non percepita dall’1.1.93 al 31.7.95, a titolo di “restituito in integrum” per danno ingiusto causato dalla mancata assunzione in servizio (dichiarata illegittima con sentenza del T.A.R. Campania, Sezione Quinta, n. 91/1995) e di successivi comportamenti omissivi del Comune nell’ottemperare alla sentenza, con conseguente condanna di detto Ente a corrispondergli le somme per tanto dovute, maggiorate di interessi e rivalutazione; inoltre verte sulla richiesta di condanna del Comune al pagamento di una somma, determinata in via equitativa, per le sofferenze morali assuntamente subite.

2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il percorso argomentativo seguito con la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con i principi in tema di individuazione e qualificazione della domanda, per i quali bisogna tener presente il contenuto sostanziale della pretesa dedotta, desumibile, oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nel ricorso e nei successivi scritti difensivi, anche dello scopo cui la parte mira con la richiesta.

In applicazione di detto criterio ed in base al tenore letterale della domanda, alle norme delle quali è stata dedotta la violazione e alla memoria depositata in giudizio il 10.11.2007 emergerebbe con evidenza che il contenuto della domanda era risarcitorio.

2.1.- Erroneamente sarebbe stato asserito in sentenza che non era stata proposta azione risarcitoria per danni da ritardo nell’assunzione.

Il ricorrente aveva fatto valere la responsabilità extracontrattuale del Comune derivante da comportamenti ed atti, accertati e dichiarati illegittimi, che avevano causato un danno ingiusto, sicché la domanda proposta, diretta ad ottenere il pagamento degli emolumenti non percepiti a causa di tali atti illegittimi, era qualificabile di risarcimento danni, ex art. 2043 del c.c., espressamente richiamato in ricorso (recte: in una memoria depositata in primo grado).

2.2.- Pure erroneamente sarebbe sostenuto in sentenza che il trattamento economico spetta solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di lavoro e non in caso di illegittimo diniego di assunzione, per il principio di sinallagmaticità che lega la corresponsione dello stipendio alla effettiva prestazione lavorativa.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che il diritto alla “restituito in integrum”, per il periodo in cui il dipendente non ha potuto prestare servizio spetta anche nel caso in cui la prestazione lavorativa non è stata resa per fatto imputabile alla Amministrazione e nel caso di ritardata, illegittima costituzione del rapporto di pubblico impiego.

2.3.- Comunque sussisterebbero tutti gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito generatore di danno risarcibile, cioè, la condotta illecita, la colpa, insita nella violazione dei principi di buona amministrazione cui il Comune avrebbe dovuto informare la propria attività, e il danno economico, consistente nella mancata percezione degli emolumenti che sarebbero spettati in caso di tempestiva assunzione (considerato che dalla documentazione depositata emergeva che il ricorrente in considerazione delle sue ridotte capacità lavorative non aveva espletato lavori nel periodo de quo).

3.- Osserva la Sezione che il T.A.R. ha respinto il ricorso innanzi tutto sugli assunti che il Comune avesse correttamente eseguito la pronuncia, allo stato non ridiscutibile, di cui alla propria sentenza n. 91 del 14 marzo 1995 (che aveva dichiarato “l’obbligo del Comune di Casandrino di procedere all’assunzione dei ricorrenti nei ruoli comunali a far data dal 11.1.1993 agli effetti giuridici”) e che il giudicato formatosi su questa decisione faceva stato sia per l’Amministrazione che per il ricorrente sig. V.. Ha inoltre evidenziato il primo Giudice che, comunque, la riferita decisione aveva limitato la retrodatazione ai soli effetti giuridici in conformità alla prevalente giurisprudenza amministrativa che riconosce il diritto al trattamento economico per il periodo di lavoro pregresso solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di lavoro, e non anche quando si tratti, come nel caso in esame, di illegittimo diniego di assunzione; ciò per il generale principio di stretta sinallagmaticità che deve necessariamente legare la corresponsione dello stipendio all’effettiva prestazione lavorativa.

3.1.- Con riguardo alla dedotta erroneità di detto assunto, che il trattamento economico spetta solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di lavoro e non in caso di illegittimo diniego di assunzione, la Sezione ritiene che la sentenza di primo grado in tale parte sia condivisibile.

Alla vicenda si rende infatti applicabile l’orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui, in caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego, conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato il riconoscimento della medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente mentre non può riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione (cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2005, n. 5261). Ciò in quanto detto diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio. Tuttavia, pur non potendo la “fictio iuris” della retrodatazione mai far considerare come avvenuta la prestazione del servizio, cui l’ordinamento ricollega il diritto alla retribuzione, pena la violazione del principio di corrispondenza tra esercizio dell’attività lavorativa e retribuzione, può spettare relativamente a detto periodo, in presenza dei presupposti di legge di cui all’art. 2043 c.c., il risarcimento del danno.

4.- Rileva inoltre la Sezione che il T.A.R. ha respinto anche la parte del ricorso con cui veniva censurato il mancato ristoro economico “per il danno subito a seguito della tardiva assunzione”, perché, nonostante tale generico accenno contenuto nell’esposizione del fatto, ha sostenuto che non poteva ritenersi che fosse stata esercitata, in senso proprio, un’azione risarcitoria per danni da ritardo nell’assunzione.

4.1.- Sul punto, secondo il Collegio, devono ritenersi fondate le censure dell’appellante circa la erroneità di detto assunto, atteso che sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che nella memoria depositata il 10.11.2007, è stata affermata la sussistenza del danno ingiusto subito a causa degli atti comunali dichiarati illegittimi e, che il danno sofferto per effetto della adozione di atti e comportamenti comunali ostativi alla costituzione del rapporto di lavoro, si è concretizzato, in violazione del principio del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 del c.c., nella mancata percezione degli emolumenti che sarebbero spettati in caso di tempestiva assunzione in servizio.

In relazione al contenuto dell’azione e alla sua finalità deve quindi ritenersi che il “petitum” del ricorso di primo grado effettivamente contenesse anche la richiesta di risarcimento danni.

La sentenza va quindi su detto punto riformata e, per il principio devolutivo dell’appello, deve essere esaminata la accoglibilità o meno della formulata domanda risarcitoria.

5.- Con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno il Collegio osserva che il giudizio risarcitorio in esame esula dalla sussistenza di un rapporto sinallagmatico tra prestazione lavorativa e controprestazione retributiva, proprio perché il relativo presupposto è che la prima non sia stata resa per colpa del (futuro) datore di lavoro, che risponde quindi a titolo extracontrattuale; colpa che non può certo produrre effetti negativi nei confronti del lavoratore.

Va tuttavia osservato che, in ipotesi di omessa assunzione, la quantificazione del danno non può automaticamente identificarsi con la mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che comporterebbero una vera e propria “restitutio in integrum” e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale), occorrendo invece, caso per caso, indicare e dimostrare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 11 novembre 2010 n. 8020).

La Sezione è tenuta quindi a valutare la ricorrenza nel caso di specie dei presupposti del danno ingiusto collegato alla illegittimità degli atti amministrativi, nonché, in caso positivo, le modalità attraverso le quali può essere conseguito il ristoro del pregiudizio subito a causa della stessa illegittimità di atti amministrativi.

In primo luogo deve sussistere una lesione dell’interesse legittimo di cui è portatore il ricorrente, condizione questa, peraltro, necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 Cod. civ., in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’Amministrazione pubblica, l’interesse al bene della vita al quale, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, l’interesse legittimo effettivamente si collega.

Ne consegue che la concreta risarcibilità del danno derivante dalla lesione di detto interesse legittimo può dirsi subordinata alla verifica delle sussistenza delle tre condizioni di un evento lesivo, dell’ingiustizia del danno, e della responsabilità dell’Amministrazione, e cioè la riferibilità del danno ad una sua condotta colpevole.

Sotto il primo profilo, appare provato dal tenore della pregressa sentenza, a seguito della quale l’appellante è stato assunto in servizio che i vizi del procedimento a monte fossero in grado di ledere in via diretta l’interesse pretensivo del soggetto partecipante alla stessa procedura selettiva, precluso proprio a causa dell’illegittimità dell’atto impugnato.

La riammissione alla procedura concorsuale, prima, e la costituzione del rapporto di pubblico impiego poi, conseguita a seguito dell’adempimento a quanto statuito con la pregressa sentenza, non ha impedito, comunque, il verificarsi di una lesione nella sfera giuridica del ricorrente, essendo sopraggiunto l’inquadramento del medesimo con notevole scarto temporale rispetto a quello che ha riguardato gli altri concorrenti pure dichiarati vincitori.

Sotto il secondo profilo e con riferimento alla sussistenza dell’altro elemento che pure deve sussistere ai fini di cui si tratta, osserva il Collegio che l’illegittimità dell’esclusione dalla procedura concorsuale del ricorrente può essere considerata, oltre che ingiusta, anche riferibile ad una colposità dell’azione amministrativa.

Sotto il profilo della colpa dell’Amministrazione, ritiene il Collegio che in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 14 novembre 2012, n. 5761; sez. V, 31 luglio 2012 n. 4337).

In definitiva, l’azione amministrativa, nel caso di specie, può ritenersi, in assenza di detta dimostrazione, che stata tale da rendere la stessa non conforme ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione affermati dall’art. 97 Cost., con la conseguenza che la stessa deve essere qualificata colposa.

Sulla base delle suesposte premesse, la condotta amministrativa, cristallizzatasi con l’adozione di un atto illegittimo, consente di apprezzare la presenza di un danno ingiusto idoneo a determinare la risarcibilità della posizione giuridica lesa, quale conseguenza della stessa.

Accertata l’esistenza di un danno ingiusto e l’ascrivibilità al Comune resistente della relativa responsabilità, la Sezione deve spostare l’indagine sulla valutazione, in concreto, del danno subito.

Il titolare dell’interesse pretensivo al provvedimento che lamenta di avere patito un danno ingiusto da ritardo deve, invero, provare con rigore, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la sussistenza del pregiudizio economico asseritamente derivante dal ritardo, che può essere riconosciuto quando sia dimostrato innanzitutto che si è verificata una lesione economicamente valutabile alla sfera giuridica del soggetto, poiché tale lesione è direttamente connessa con la violazione delle regole procedimentali da parte dell’Amministrazione.

La sussistenza di un danno, infatti, non può presumersi “iuris tantum” quale automatica conseguenza della tardiva adozione di un provvedimento favorevole all’interessato nei tempi ritenuti congrui da quest’ultimo, ma occorre che il ricorrente dimostri di non avere potuto rivolgere le proprie energie alla cura di altri interessi e attività lavorative (che determinerebbero la detrazione dell’” aliunde perceptum” secondo il principio della “compensatio lucri cum damno”).

In proposito la generica affermazione di non aver lavorato nel periodo di riferimento, non può considerarsi sufficiente per escludere anche l’esercizio di altre attività da cui il ricorrente potrebbe comunque aver tratto un utile (incluso quello non patrimoniale).

Nel caso di specie l’attuale appellante si è limitato in primo grado a dedurre in ricorso la sussistenza del danno ingiusto subito a causa degli atti comunali dichiarati illegittimi e, con memoria difensiva, che il danno si è concretizzato nella mancata percezione degli emolumenti che sarebbero spettati in caso di tempestiva assunzione in servizio, ed a depositare certificati di stato di famiglia per gli anni 1993, 1994 e 1995, dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà in cui è asserito che l’appellante negli anni dal 1993 al 1995 non aveva lavorato come invalido o come operaio, nonché che aveva percepito in detto periodo sussidi di mobilità; inoltre dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la percezione, sempre in detto periodo, di aiuti economici da parte di familiari.

La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è invero utilizzabile nel processo amministrativo, trattandosi in sostanza di un mezzo surrettizio per introdurre in quest’ultimo un’atipica prova testimoniale, non ha alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l’attività istruttoria dell’Amministrazione (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 7 agosto 2012, n. 4527).

Stesse considerazioni vanno effettuate con riguardo alla dichiarazione sostitutiva di certificazione.

Non ha invece l’appellante depositato copie delle dichiarazioni dei redditi relativi al periodo che interessa o altri atti idonei a dimostrare con obbiettività e sufficiente certezza la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo per il risarcimento del danno e della sua entità sulla base di circostanze di fatto certe, provenienti dagli Organi all’uopo preposti, e puntualmente allegate, non potendosi invocare il cd. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti e, se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise.

Né l’omissione è altrimenti superabile perché, quando il soggetto onerato dell’allegazione e della prova dei fatti non vi adempia non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., in quanto tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, che nel caso che occupa avrebbe invece potuto essere dimostrato; neppure può, pertanto, essere disposta una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato.

La domanda di risarcimento danni va quindi respinta.

6.- In riferimento, infine, alla richiesta di risarcimento del danno, determinato in via equitativa, per le ulteriori sofferenze morali cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto, occorre premettere che, alla luce dell’ultimo orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr., ex multis, n. 26972 dell’11 novembre 2008), al quale ha aderito la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716), il danno esistenziale non costituisce voce autonoma di danno; il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sotto categorie; al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale; non sono quindi meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti della vita quotidiana di ciascuno; pertanto, nell’art. 2059 c.c. trovano tutela solo le violazioni gravi ed irrimediabili di diritti inviolabili della persona (cfr., Consiglio di Stato, Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716).

Nel caso di specie, alla luce della richiamata giurisprudenza, anche a voler ammettere la sua astratta configurabilità per una tipologia di danno quale quella addotta nel caso di specie, va rilevato che non è stata dimostrata la violazione grave di diritti inviolabili della persona, non altrimenti rimediabili, e la relativa domanda va comunque respinta; ciò in quanto il diritto al risarcimento del danno esistenziale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009).

La liquidazione equitativa del danno può, infatti, aver luogo soltanto nel caso di impossibilità o difficoltà di una precisa prova sull’ammontare e sull’entità del danno subito e non esonera l’interessato dall’obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del danno – che costituisce il presupposto indispensabile anche per la liquidazione equitativa – per consentire che il relativo apprezzamento sia, per quanto possibile, limitato e ricondotto alla sua caratteristica funzione di colmare solo le inevitabili lacune al fine della precisa determinazione del danno.

7.- Pertanto, in riforma della impugnata sentenza e in applicazione del principio devolutivo, il ricorso introduttivo del giudizio deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione con diversa motivazione e dispositivo.

8.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, in riforma della impugnata sentenza respinge il ricorso introduttivo del giudizio con diversa motivazione, respingendo per l’effetto l’appello in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012

Redazione