Il volume d’affari si ricostruisce anche in base ai prezzi riportati dalle riviste di settore (Cass. n. 13092/2012)

Redazione 25/07/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

La s.r.l. Primoli Prima, esercente attività di costruzione, permuta, vendita e ristrutturazione di edifici e appartamenti, ha impugnato l’avviso di accertamento notificatole il 10 luglio 2008, concernente Ires, Irap, *** e sanzioni relativamente all’anno d’imposta 2004.

Il ricorso è stato accolto solo parzialmente in primo grado.

La Commissione tributaria regionale del Lazio ha respinto l’appello della società contribuente, che ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione non notificato a controparte e ha partecipato alla discussione orale.

Motivi della decisione

1. A fondamento della decisione la Commissione regionale ha rilevato che “la società non ha dato nessuna convincente spiegazione circa le modalità di determinazione dei prezzi di vendita degli appartamenti.

La ricostruzione dei prezzi praticata dall’Ufficio è basata, invece, da un lato sul confronto tra prezzi di vendita praticati dalla società tra tipologie omogenee di unità vendute e dall’altro tra prezzi di vendita praticati dalla parte ed i prezzi di mercato secondo riviste del settore. Gli indizi, gravi precisi e concordanti, si basano su significative differenze tra prezzi di vendita delle singole unità immobiliari e mancato indicatore del criterio di ripartizione dei costi di costruzione.

Dal PV si evince con chiarezza che il criterio dei costi adottato dalla società è inattendibile perchè ha l’effetto paradossale di attribuire ad una unità facente parte di una villa bifamiliare, di superficie catastale di mq. 105, un costo di costruzione più elevato di quello di una villa unifamiliare di superficie catastale di oltre 150 mq. comprensivo di box interrato.

L’Ufficio ha ricostruito i ricavi sulla base dei prezzi di vendita delle unità immobiliari pubblicizzati per oltre un anno dalla rivista Attico Case e tale verifica ha portato a constatare ricavi non contabilizzati per un ammontare di oltre un milione di Euro…L’accertamento è legittimo perchè è avvenuto in base alle tariffe pubblicizzate dalla stessa società verificata per un intero anno ed è intervenuto in seguito a gravi incongruenze contabili quali i valori dei prezzi praticati per le medesime tipologie di immobile e la discrezionalità nella ripartizione dei costi sostenuti per la costruzione.

Queste circostanze rappresentano elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”.

2. Con il primo motivo la ricorrente – denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata con riferimento al capo n. 1 dell’avviso di accertamento notificato ai fini Ires e al capo n. 1 dell’accertamento ai fini *** – lamenta una erronea ricognizione delle risultanze di causa. Deduce in particolare che nessuno degli elementi presuntivi assunti dalla C.T.R. per giustificare l’abbandono delle risultanze contabili della società era dotato di fondamento logico, giuridico e contabile e tale, comunque, da giustificare la presunzione di una “sottofatturazione”; inoltre la sentenza impugnata è censurabile, secondo la ricorrente, per quel che attiene alla conferma dell’entità dei ricavi presuntivamente ricostruiti.

La doglianza, che illustra argomentazioni difensive che il giudice di appello ha considerato recessive rispetto agli elementi di causa posti a fondamento della sua decisione, si risolve in una inammissibile censura del giudizio di fatto reso dal giudice di merito e adeguatamente motivato, mirando a indurre la Corte di legittimità a un non consentito riesame del merito della controversia.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., e si sostiene che con l’atto di appello si era impugnata la sentenza di primo grado – sempre nell’ambito della posta n. 1 dell’accertamento – anche sul capo relativo al recupero relativo alla differenza tra i dichiarati e contabilizzati prezzi di vendita di alcuni immobili e il loro valore catastale e che tuttavia la Commissione regionale ha totalmente omesso di pronunciarsi sul punto.

La censura è priva di fondamento, essendosi la Commissione regionale pronunciata, con le argomentazioni in precedenza riportate (v. par. 1), su tutti i rilievi relativi al capo n. 1 dell’avviso di accertamento, sia ai fini Ires che ai fini ***, in particolare rilevando che la società non ha dato nessuna convincente spiegazione circa le modalità di determinazione dei prezzi di vendita degli appartamenti, mentre la ricostruzione dei prezzi praticata dall’Ufficio è stata ritenuta attendibile, in quanto basata sul confronto non solo tra prezzi di vendita praticati dalla società tra tipologie omogenee di unità vendute ma anche tra prezzi di vendita praticati dalla parte e prezzi di mercato indicati da riviste del settore, così accertando ricavi non contabilizzati per un ammontare di oltre un milione di Euro. Resta pertanto assorbita in tale motivazione la pronuncia relativa alla complessiva censura attinente al capo 1 dell’avviso di accertamento per quel che concerne ricavi non dichiarati, compreso il recupero relativo alla differenza tra i prezzi di vendita di alcuni immobili dichiarati e contabilizzati e il valore catastale dei medesimi.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e si lamenta che la Commissione regionale abbia rigettato l’appello sul punto concernente la ripresa a tassazione del costo di Euro 76.000, relativo ad una fattura della società appaltatrice C.P.C., rilevando che non era stata prodotta la comunicazione citata in fattura e neppure il contratto di appalto (ma solo una copia non firmata e non datata), senza però tenere conto che i documenti indicati erano stati invece prodotti con il ricorso alla Commissione provinciale.

La censura configura un vizio revocatorio e comunque è priva di autosufficienza, non avendo la ricorrente riportato nel ricorso il contenuto dei documenti richiamati, di cui la Commissione regionale ha dato una interpretazione diversa da quella fornita dalla ricorrente.

5. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e ci si duole che sia stato respinto l’appello concernente un credito che era stato contabilizzato in perdita, essendosene considerato impossibile il recupero.

La doglianza si risolve in una inammissibile censura di fatto sulla valutazione delle risultanze di causa e della documentazione versata in atti compiuta dal giudice di merito, attraverso il riferimento a documenti comprovanti l’avvenuta dichiarazione di fallimento della società debitrice, ma che la Commissione regionale ha ritenuto inidonei a dimostrare la certezza della perdita del credito.

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso e le spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 7.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Redazione