Il rudere è un’area non edificata e risponde di faldo il tecnico che ne chieda la manutenzione straordinaria (Cass. pen. n. 35795/2012)

Redazione 19/09/12
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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bologna, con sentenza dell’11.2.2011, ha confermato la sentenza 1.2.2007 del Tribunale di Ravenna – Sezione distaccata di Lugo, che aveva affermato la responsabilità penale di P.U. in ordine al delitto di cui:

– agli artt. 81 cpv. e 481 c.p., poichè – quale geometra progettista – in relazione ad un intervento edilizio di ricostruzione di un manufatto: a) asseverava falsamente, in una DIA presentata al Comune di Lugo il 23.8.2003, che gli eseguendi lavori avrebbero riguardato la manutenzione straordinaria di un fabbricato che però era già semidemolito nel 2002 e che tale intervento non si poneva in contrasto con gli strumenti urbanistici, che invece non consentivano nuove costruzioni in area classificata come agricola; b) in una successiva domanda di permesso di costruire per ristrutturazione, presentata il 19.12.2003, attestava falsamente l’esistenza del medesimo edificio ormai ridotto allo stato di rudere; e lo aveva condannato alla pena (interamente condonata) di Euro 516,00 di multa, concedendo il beneficio della non – menzione.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P., il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha dedotto:

– la insussistenza del reato di falso ideologico correlato alla DIA, per la mancanza di ogni intento fraudolento, in quanto la DIA presentata avrebbe rappresentato io stato di fatto realmente esistente al momento della sua redazione e la procedura semplificata sarebbe stata utilizzata “perchè i lavori che ci si apprestava ad eseguire erano essenzialmente diretti a conservare lo status quo, per poi, in un secondo momento, attraverso l’apertura di una nuova pratica edilizia ad hoc, poter procedere alla ristrutturazione ed al recupero dell’edificio”;

– la inconfigurabifita, in ogni caso, del reato di cui all’art. 481 c.p., riferito aita DIA, poichè la relazione ad essa allegata non avrebbe natura di “certificato”, in quanto “non e destinata a provare la oggettiva verità di ciò che in essa è stato affermato e, per la parte progettuale, essa manifesta una semplice intenzione e non registra una realtà oggettiva”;

– la insussistenza anche del reato di cui all’art. 481 c.p., riferito alla successiva richiesta di permesso di costruire, poichè il fabbricato era comunque ancora esistente “nei suoi tratti essenziali che lo identificavano come tale” e nella richiesta stessa veniva dato conto dei crollo parziale.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè articolato in fatto e manifestamente infondato.

2. L’art. 481 c.p., punisce la condotta di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in certificati commessa nell’esercizio di una professione forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica necessita.

In relazione a tale previsione sanzionatorie il Collegio – tenuto conto di quanto espressamente disposto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3, nonchè della elaborazione giurisprudenziale già svolta da questa Corte – ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:

– il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all’interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 c.p., (vedi Cass.: sez. 5^, 4.10.2010, n. 35615, ******; 24.2.2010, n. 7408, Frigè; nonchè sez. 3^, 16.7.2010, n. 27699, Coppota; 19.1.2009, n. 1818, **********).

3. L’art. 481 c.p., prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali fatto sia destinato a provare la verità sia contenuta all’interno di un “certificato” e da ciò discende la necessita di individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia abbia o meno natura di “certificato”.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con consolidato orientamento, che costituisce “certificazione” la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare (Cass.: sez. 5^, n. 35615/2010, ******; sez. 3^, n. 27699/2010, *******).

3.1 Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto alla parte progettuale detta relazione allegata alla DIA edilizia.

In relazione a tale parte del documento si era sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione dell’interessato di realizzare le opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto riguarda l’eventuale attestazione dell’assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso dai dichiarante, come tale non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri vedi (Cass., sez. 5^ n. 7408/2010, Frigè; 3.5.2005, n. 24562, *******; 26.4.2005, n. 23668, ********; sez. 3^, n. 27699/2010, *******).

A divergenti conclusioni è pervenuta, invece, questa Sezione – con la più recente sentenza 8.6.2011, n. 23072, Lacorte – ove, in adesione alle argomentazioni svolte netta sentenza 19.1.2009, n. 1818, **********, è stato evidenziato che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3), emerge un “sostanziale affidamento” riposto dall’ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che “quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell’intervento”. In tale prospettiva la relazione del tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell’attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo dei titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.

3.2 Quanto alla dichiarazione di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti – a fronte dell’orientamento secondo il quale si tratterebbe soltanto di un mero giudizio del dichiarante – la stessa è stata ricondotta, invece, all’attività certificativa già da Cass., sez. 3^, n. 27699/2010, *******.

4. Ribadisce il Collegio le argomentazioni svolte nella sentenza n. 23072/2011, Lacorte.

In tale sentenza è stato condivisibilmente evidenziato che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3, dispone che “Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p.. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all’art. 23, comma 1, l’amministrazione ne da comunicazione al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari”.

Le previsioni anzidette devono essere tette in necessaria correlazione con quelle poste dai precedente art. 23, il quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una relazione del progettista “che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti” (comma 1); che il dirigente o responsabile dell’ufficio tecnico comunale, “in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza” (comma 6);

che, ultimato l’intervento, “il progettista o un tecnico abilitato rifascia un certificato di collaudo finale… con il quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività” (comma 7).

Il progettista, dunque, ha un duplice obbligo: a) redigere una relazione preventiva in cui si assume l’onere di “asseverare” tra l’altro la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi; b) rilasciare al termine dei lavori (ove non io faccia altro tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale. E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è stato esattamente osservato che il termine “asseverare” ha il significato di “affermare con solennità”, e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formate e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità dei contenuto.

Il progettista si pone come “persona esercente un servizio di pubblica necessità” proprio perchè assume una posizione di particolare rilievo in un procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione amministrativa comunque denominata.

la principale caratteristica della DIA, infatti, consiste nella sostituzione dei tradizionali modelli procedi mentali in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato alta liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l’esercizio delle stesse non è più necessaria l’emanazione di un titolo di legittimazione.

A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui dispone l’amministrazione – a differenza di quanto accade nei regime a previo atto amministrativo – non è finalizzato all’emanazione di un provvedimento di consenso all’esercizio dell’attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione.

Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell’autoresponsabilltà dell’amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l’esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore.

Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sè una peculiare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l’ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell’intervento.

Proprio in considerazione di questo affidamento la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3) che si connette alle previsioni del precedente art. 23, commi 1 e 6. L’art. 23, comma 6, in particolare, dispone che, in caso di “falsa attestazione” del professionista, il funzionario comunale ha l’obbligo di inoltrare segnalazione informativa all’autorità giudiziaria, sicchè è evidente che la “falsa attestazione” in parola, riferita dal comma 6, alla “assenza di una o più delle condizioni stabilite”, risulta strettamente correlata alle prescrizioni poste dal medesimo art. 23, comma 1, ove la relazione del progettista integra la dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato di piena autonomia.

Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alta delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l’eliminazione dell’intermediazione del potere autorizzatorio) dell’attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi “certificativo”.

4.1 In conclusione, sulla base dell’assetto normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni dianzi svolte, deve ribadirsi il principio secondo il quale:

– la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell’attività) ha natura di “certificato” per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuate dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l’attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizia 5. Nella fattispecie in esame, l’imputato:

– Nella relazione allegata alla DIA del 28.8.2003 ha descritto la prevista realizzazione di opere di manutenzione straordinaria e non di conservazione detto status quo di un edificio ormai sostanzialmente diruto: in tal modo – secondo la giurisprudenza costante di questa Corte – ha reso una falsa “certificazione” riferita alfa descrizione detto stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.

Irrilevante è la circostanza della mancata esecuzione dei lavori denunziati (dovuta at fatto che, in seguito ad un controllo detta DIA, il responsabile del procedimento aveva richiesto una relazione integrativa), poichè li reato deve ritenersi consumato con la presentazione detta denuncia.

– Netta successiva relazione allegata alla richiesta di permesso di costruire ha inquadrato le opere da realizzare nella tipologia della “ristrutturazione” a fronte di una situazione di fatto ove la realizzabitità di un intervento siffatto era vietata proprio dallo stato di rudere del fabbricato.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale, invero, la ricostruzione su ruderi costituisce sempre “nuova costruzione”, in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un organismo edilizio dotato dette murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non è possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alta stregua di un’area non edificata (vedi Cass., Sez. 3^: 21.10.2008, n. 42521, ******; 24.9.2008, n. 36542, Verdi; 23.1.2007, ****; 13.1.2006, *********; 4,2.2003, Pellegrino e 20.2.2001, ********; nonchè C. Stato, Sez. 4^: 26.2.2008, n. 681; 15.9.2006, n. 5375 e C. Stato, Sez. 5^: 28.5.2004, n. 3452; 15.4.2004, n. 2142; 1.12.1999, n. 2021; 4.8.1999, n. 398; 10.3.1997, n. 240).

Nella specie si e fatto surrettiziamente ricorso alla tipologia della “ristrutturazione” perchè la realizzazione di una nuova costruzione residenziale non era consentita in area classificata come zona agricola dallo strumento urbanistico vigente.

6. Quanto alta individuazione dello stato di “rudere” del manufatto, i giudici del merito, con argomentazioni puntualmente riferite agli elementi di prova raccolti (in particolare at sopralluogo effettuato dai vigili edilizi il 16.1.2004), hanno accertato che il tetto non era più esistente e si intravedevano solo tracce di muri perimetrali.

Il ricorso si limita a confutare tale ricostruzione detta vicenda senza alcuna specificazione tecnica, svolgendo censure in fatto del provvedimento impugnato.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi detta ricostruzione fattuale dell’episodio non sono proponibili – però – nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionate detta decisione sia sorretta, come netta specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi di prova acquisiti, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alta stregua di una diversa ricostruzione dei fatto, e, con essa, il riesame nel merito del provvedimento impugnato.

7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 detta Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria detta stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello dei versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

 

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ai versamento detta somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Redazione