Il rifiuto del lavoratore a ricevere la lettera di contestazione non rende il licenziamento illegittimo (Cass. n. 21017/2012)

Redazione 27/11/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 29 maggio 2007 la Corte d’Appello di Bari ha confermato la decisione del Tribunale di Trani con la quale il giudice ha dichiarato legittimo il licenziamento di G. A., dipendente della soc. ***** p.a. con mansioni di consegnatario di magazzino. La Corte territoriale ha rilevato, con riferimento alla correttezza del procedimento disciplinare contestata dal lavoratore, il quale negava di aver ricevuto la contestazione disciplinare scritta, che il rifiuto di ricevere la lettera di contestazione opposto dal G. agli ispettori doveva ritenersi equivalente alla comunicazione per iscritto della contestazione disciplinare. Circa il merito della contestazione di mancato controllo sull’operato di un addetto alla cassa e di mancata osservanza della procedura aziendale prevista in caso di annullamento di scontrini come accertati dagli ispettori, la Corte ha precisato che la contestazione disciplinare si riferiva non all’ordinaria operazione di storno demandata al cassiere (che si verifica quando terminano il rotolo giornale di fondo ed il rotolo scontrino di cassa per cui si deve procedere alla sostituzione), ma all’annullamento dello scontrino che richiedeva l’espletamento di una complessa procedura con l’intervento del consegnatario dotato di una chiave master, procedura disciplinata da disposizioni aziendali che era necessario osservare in caso di errore di battitura o di insufficienza di moneta da parte del cliente.

La Corte quindi, dopo aver analizzato le prove testimoniali acquisite in primo grado dalle quali risultava rimarcata la differenza tra “scontrino stornato” per fine rotolo di carta e “scontrino annullato”, ha concluso ritenendo che il lavoratore avesse commesso la violazione contestata poichè gli scontrini indicati nella comunicazione degli addebiti appartenevano a quelli per i quali era necessario seguire le specifiche disposizioni aziendali. Infine la Corte territoriale ha ritenuto adeguato e proporzionato al fatto contestato il provvedimento di licenziamento. Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione il lavoratore formulando tre motivi.

Si costituisce la società ***** depositando controricorso.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, dell’art. 1335 c.c., e dell’art. 138 c.p.c., nonchè insufficiente, inidonea e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5).

Lamenta che era stato violato il diritto del lavoratore di difendersi completamente e con piena cognizione di causa degli addebiti in conseguenza del clamoroso e mancato rispetto delle garanzie procedimentali nell’erogazione della sanzione disciplinare. Deduce infatti che la Corte aveva ritenuto avvenuta la comunicazione degli addebiti in data 14 febbraio allorchè egli non aveva inteso accettare la lettera di contestazione chiedendo che gli fosse inviata a casa. Rileva che la Corte non aveva valutato che gli ispettori erano privi di legittimazione a muovere contestazioni e che, inoltre erroneamente la Corte aveva affermato che i dubbi circa la perfetta corrispondenza tra le due contestazioni sarebbero stati prospettati solo in fase di appello in quanto l’illegittimità dell’iter procedimentale era stato più volte evidenziato.

Il motivo è infondato.

Le argomentazioni esposte dalla Corte d’Appello circa la regolarità del procedimento di contestazione sono prive di difetti logici o contraddizioni, oltre che immuni da errori di diritto. La Corte ha, infatti, correttamente affermato che il rifiuto del lavoratore di ricevere la lettera di contestazione deve considerarsi equivalente all’avvenuta comunicazione non potendo il comportamento del lavoratore risolversi a danno del datore di lavoro che, in ossequio agli obblighi di legge, ha adempiuto all’obbligo di contestazione di cui all’art. 7 Stat. Lav..

Deve richiamarsi sul punto la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 20272 del 18/09/2009 n 12571 del 12/11/1999) secondo la quale “In tema di consegna dell’atto di licenziamento nell’ambito del luogo di lavoro, il rifiuto del destinatario di riceverlo non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, trattandosi di un atto unilaterale recettizio che non sfugge al principio generale per cui il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato, ed alla regola della presunzione di conoscenza dell’atto desumibile dall’art. 1335 c.c.”.

Quanto alla censura mossa dal ricorrente circa un presunto difetto di legittimazione degli ispettori,è sufficiente rilevare che questi si sono limitati a consegnare al ricorrente la lettera di contestazione disciplinare : non sussistono dubbi, invece, che il potere disciplinare sia stato esercitato dal datore di lavoro non avendo il ricorrente allegato e provato circostanze di fatto che consentano di pervenire a conclusioni diverse.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia insufficiente, inidonea e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) nonchè mancata prova da parte del datore di lavoro della legittimità del licenziamento. Censura la sentenza in quanto la Corte era incorsa in errore confondendo e parlando indifferentemente di storno ed annullamento dello scontrino, mentre i due concetti erano del tutto diversi. Precisa che l’intervento del consegnatario era previsto esclusivamente nell’ipotesi di annullamento dello scontrino e che tale ipotesi si verificava in caso di errori di battitura oppure in caso di insufficienza di contante da parte del cliente con conseguente obbligo del consegnatario di avviare la complessa procedura prevista dalle disposizioni interne. Rileva invece che nella diversa ipotesi, contestata al lavoratore, di storno per la sostituzione del rotolo di scontrini, era solo l’addetto alla cassa che doveva effettuare alcune operazioni senza l’intervento del consegnatario in quanto il registratore di cassa tratteneva in memoria l’operazione interrotta per consentire la sostituzione del rotolo e la continuità e regolarità delle registrazioni. Osserva, infine, che nelle disposizioni aziendali non era previsto un controllo del consegnatario per gli scontrini stornati, nè l’obbligo di allegazione degli stessi al foglio di chiusura cassa giornaliero.

Deduce inoltre che l’istruttoria non aveva confermato le ragioni della società.

Le censure sono infondate.

La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l’affermata legittimità del licenziamento. La Corte territoriale ha attentamente esaminato la documentazione e le prove testimoniali e, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha ben evidenziato la differenza tra “scontrino stornato” e “scontrino annullato” rilevando che la contestazione disciplinare riguardava l’annullamento dello scontrino. Con riferimento a tale ultima ipotesi la Corte ha richiamato la disciplina aziendale che prevedeva l’espletamento di una complessa procedura ed ha concluso con motivazione in fatto del tutto esauriente, che nella specie non risultava osservata dal G., cui competeva il controllo anche sull’operato dell’addetto alla cassa.

In particolare la disposizione aziendale del 14/10/2002 stabiliva il divieto di annullare scontrini se non preventivamente autorizzati dal consegnatario e soltanto nei casi di errore di battitura o per insufficienza di denaro da patte del cliente; l’obbligo del consegnatario e dello stesso personale che effettua l’annullamento di siglare lo scontrino, di riportarvi il motivo, l’importo ed il numero dello scontrino successivo; di allegare gli scontrini annullati al riepilogo di cassa serale.

Contravvenendo a tali disposizioni il ricorrente aveva allegato al riepilogo serale scontrini fiscali annullati, ma privi della parte superiore sulla quale sono indicati i prodotti oggetto dell’acquisto successivamente annullato.

Con il terzo motivo denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 151 del C.C.N.L. in relazione all’art. 2119 c.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che, pur volendo considerare l’esistenza di presunte manchevolezze del ricorrente,la sanzione applicabile in base al C.C.N.L. doveva essere ben più lieve; che egli, inoltre, non era mai stato oggetto di richiami e che, comunque, il danno era esiguo.

La censura appare da un lato inammissibile atteso che il ricorrente ha omesso di depositare il CCNL in violazione del disposto di cui all’art. 369 c.p.c., (cfr Cass. SSUU n 20075/2010), nè ha provveduto ad indicare quando il contratto collettivo era stato prodotto e dove era attualmente collocato. Il ricorrente, inoltre, non ha neppure riportato almeno il contenuto delle norme rilevanti in violazione anche del principio dell’autosufficienza del ricorso per cui il motivo di doglianza, sotto tale profilo, non risponde al dettato di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, che impone un onere di specificità e compiutezza espositiva dei fatti rilevanti e di indicazione dei documenti o atti processuali sui quali il ricorso si fonda.

Il motivo è, comunque, infondato.

La Corte territoriale ha ritenuto il licenziamento conforme al dettato del CCNL che consente il licenziamento per grave violazione dell’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri di ufficio, nonchè all’art. 2119 c.c.. In particolare la Corte ha richiamato la disposizione aziendale che fa divieto assoluto di annullare scontrini se non con la procedura sopra indicata, disposizione che manifesta la volontà della società di dare grande importanza a quella prescrizione tesa a garantire la regolarità delle procedure di registrazione delle vendite e degli incassi, non osservata nella specie per ben quattro volte in una settimana con la conseguenza che era ragionevole ritenere che di norma il controllo da parte del G. sull’attività dei cassieri non avvenisse. Il comportamento del lavoratore è stato, pertanto, ritenuto, con valutazione di merito incensurabile in cassazione in quanto adeguatamente motivata e priva di diletti logici o contraddizioni, idoneo a giustificare il licenziamento.

Per le premesse considerazioni il ricorso va respinto con condanna del ricorrente soccombente a pagare le spese di causa. Dette spese vengono liquidate in applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, che ha determinato i parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 2012, n. 27.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere alla resistente Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per compensi.

Redazione