Il redditometro non è uno strumento di accertamento (Cass. n. 23554/2012) (inviata dall’Avv. M. Villani)

Redazione 20/12/12
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La sentenza della Corte di Cassazione considera il “redditometro” come presunzione semplice e non presunzione legale.
Questa sentenza è importante perché, in contrasto con altre precedenti sentenze, per la prima volta in italia, si ritiene il redditometro una semplice presunzione e non inverte l’onere della prova a carico del contribuente che, in sede contenziosa, può avere grandi difficoltà a difendersi soprattutto perché nel processo tributario non è ammessa né la testimonianza né il giuramento. In questo caso è l’Agenzia delle Entrata a provare il maggior reddito derivante da redditometro e non deve basarsi esclusivamente sulle presunzioni previste dai decreti ministeriali.

 

Svolgimento del processo

O.G. propose ricorso innanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Messina avverso un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva provveduto a rettificare induttivamente e sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, il reddito dichiarato dallo stesso contribuente per l’anno di imposta 1988 sostenendo che – avendo egli aderito al c.d. “concordato di massa” regolato dal D.L. n. 564 del 1994, art. 3, convertito in L. n. 656 del 1994, l’Ufficio, in presenza di siffatta definizione agevolata, non avrebbe potuto procedere all’esame dei suoi conti correnti bancari ed a compiere accertamenti in via induttiva con metodo sintetico.

Nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate che si opponeva alle domande, l’adita Commissione provinciale accoglieva il ricorso e l’appello, successivamente promosso dall’Ufficio, veniva respinto.

In particolare, i giudici del gravame, rilevato che l’accertamento si era perfezionato con l’adesione del contribuente alla proposta di concordato dell’Ufficio e che il D.L. n. 564 del 1994, art. 3, conv. dalla L. n. 656 del 1994 e modificato dalla L. n. 427 del 1995, aveva eliso la possibilità dell’Ufficio di revocarlo o modificarlo al di fuori delle ipotesi in cui fossero stati indicati fatti precisi previa notifica di appositi avvisi, riteneva che l’intervenuta definizione agevolata dell’accertamento con adesione impedisse la possibilità per l’Ufficio di effettuare per lo stesso periodo d’imposta l’accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi da 4 a 7, con riguardo all’ammontare dei redditi (d’impresa, di lavoro autonomo o di partecipazione) del contribuente, tanto più che con apposito provvedimento legislativo erano stati fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15.12.1995;

ragion per cui appariva evidente, nel caso di specie, in cui l’avviso di accertamento era stato notificato il 17 dicembre 1996, l’illegittimità dell’accertamento, dovendosi escludere un’indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del Fisco. Per sopperire a tale effetto l’Ufficio avrebbe dovuto procedere alla notifica della cartella entro l’anno 1995, assumendo i termini posti dalla legge per l’esercizio dei poteri impositivi natura perentoria e vincolante, alla stregua dell’orientamento sul punto consolidato della giurisprudenza di legittimità.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.

Il contribuente ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

L’Agenzia rileva, con la prima doglianza, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.L. n. 564 del 1994, art. 3, nonchè violazione del D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, sostenendo che avrebbe errato il primo giudice nel ritenere applicabile il concordato di massa regolato dal D.L. n. 564 del 1994, art. 3, ai casi di accertamento da redditometro relativo a redditi di capitale, riguardando detta forma di definizione dei rapporti fra fisco e contribuente i soli redditi di lavoro autonomo e di impresa e non gli altri redditi comunque accertabili, tanto evincendosi dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, secondo il quale i redditi derivati da redditometro erano inquadrabili in via presuntiva tra quelli da capitali.

Con la seconda censura l’Ufficio contesta la decisione impugnata per avere ritenuto di fare applicazione del D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 15, disposizione che non era stata nemmeno invocata dal ricorrente con motivi aggiunti e che non poteva operare per il passato essendo entrata in vigore dopo la notifica dell’avviso di accertamento avvenuta nel Natale del 1996.

Aggiungeva, ancora, che una lettura coordinata delle diverse disposizioni inserite nell’art. 9 bis ult. cit. avrebbe dovuto indurre a confermare l’impossibilità di un’applicazione retroattiva della disposizione che non prorogava, peraltro, un condono o una sanatoria scaduta o in scadenza limitandosi a riaprire i termini di un anno e cinque mesi.

Con il controricorso O.G. ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per la mancata formulazione dei quesiti di diritto da parte della ricorrente ed in ogni caso l’infondatezza delle doglianze, pure eccependo la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 342 c.p.c., in quanto la decisione impugnata aveva omesso di valutare che per gli anni 1989 e 1990 le CTP di Messina aveva accolto i ricorsi prodotti avverso gli accertamenti sintetici dallo stesso contribuente, desistendo poi l’Ufficio da ogni appello avverso tali pronunzie.

Occorre preliminarmente rilevare la piena ammissibilità dei motivi di ricorso proposti dall’Agenzia ad onta di quanto prospettato dal controricorrente, non trovando applicazione l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.L. n. 40 del 2006, applicabile alle sentenze di appello pubblicate in epoca successiva al 2 aprile 2006, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove la decisione impugnata è stata resa in data 26 gennaio 2006.

Tanto premesso, le doglianze prospettate dall’Agenzia, non sono fondate e vanno per l’effetto disattese. Per una più chiara comprensione della vicenda e per consentire la sussunzione della fattispecie nel quadro normativo di riferimento occorre chiarire, con riguardo all’accertamento sintetico da redditometro operato dall’Ufficio nei confronti del contribuente, che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nella versione applicabile alla fattispecie qui all’esame della Corte – in vigore prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 78 del 2005, stabiliva che “L’Ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertatale si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta”.l settimo comma dello stesso articolo aggiunge, poi, che “Agli effetti dell’imposta locale sui redditi il maggior reddito accertato sinteticamente è considerato reddito di capitale salva la facoltà del contribuente di provarne l’ppartenenza ad altre categorie di redditi”.

Occorre ancora ricordare che ai sensi del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 bis, comma 1, convertito nella L. 30 novembre 1994, n. 656, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale” “…Ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore la rettifica delle dichiarazioni può essere definita, con unico atto, in contraddittorio e con adesione del contribuente, a norma delle disposizioni seguenti”. Il comma 2 dello stesso articolo aggiunge poi che “La definizione non e1 ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell’ufficio è configurabile l’obbligo di denunzia all’autorità giudiziaria per i reati di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, artt. da 1 a 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, e successive modificazioni. Tale disposizione si applica anche quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulta essere stata avviata l’azione penale”.

Secondo il comma 3 della stessa disposizione “La definizione ha per oggetto l’esistenza, la stima, l’inerenza e l’imputazione a periodo dei componenti positivi e negativi del reddito di impresa o di lavoro autonomo ed ha effetto anche per l’imposta sul valore aggiunto”. Il successivo comma 5 della stesso art. 2 bis, quindi, aggiunge che “L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio e non rileva a fini extratributari”.

Il comma 8 prevede, infine, che “i contribuenti che aderiscono all’accertamento di cui al presente articolo non sono tenuti ai fini fiscali alla conservazione delle scritture e dei documenti contabili relativi all’esercizio oggetto dell’accertamento, con la sola esclusione dei registri IVA”.

Orbene, l’Agenzia muove dal convincimento che sarebbe esente dal c.d.

concordato di massa disciplinato dal sopra ricordato D.L. n. 564 del 1994, l’accertamento sintetico realizzato mediante c.d. redditometro ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, determinando tale accertamento l’emersione di redditi di capitali diversi da quelli derivanti da lavoro autonomo e da impresa.

La tesi è infondata. Il comma 7, art. 38, già richiamato si limita a porre una presunzione semplice e non a delimitare l’ambito oggettivo dell’accertamento sintetico.

In definitiva, tale presunzione non sembra potere incidere sulle finalità dell’accertamento sintetico, nè tanto meno può avere la capacità di delimitare l’effetto preclusivo prodotto dall’accertamento con adesione disciplinato dalla normativa più sopra ricordata e dal D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 15, convertito in L. n. 140 del 1997 – a tenore del quale “L’intervenuta definizione dell’accertamento con adesione per gli anni pregressi inibisce la possibilità per l’ufficio di effettuare per lo stesso periodo d’imposta l’accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi dal 4 al 7, e successive modificazioni e integrazioni”.

D’altra parte, proprio l’accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale.

Passando al secondo motivo lo stesso, che in relazione al quesito di diritto non può essere interpretato che nel senso della prospettata violazione di legge senza che possa ritenersi rivolto ad evidenziare un vizio di extrapetizione da parte del giudice di secondo grado(peraltro infondato in relazione a quanto dedotto dal controricorrente a pag. 2 e 3 del controricorso in ordine all’esplicito richiamo del D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 15, in dal ricorso introduttivo ed a quanto risulta dalla pag. 2 della sentenza impugnata, ove si da atto della posizione dell’Ufficio contraria all’applicazione retroattiva della L. n. 140 del 1997, art. 9 bis), occorre rammentare che questa Corte, a partire da Cass. n. 12785/06 – e di seguito con Cass. n. 1714/2007 e Cass. n. 1226/2007 – ha affermato il principio, che il Collegio condivide pienamente, secondo cui, in tema di condono fiscale, l’inibizione per l’ufficio tributario di procedere ad accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, commi dal 4 al 7, e successive modificazioni ed integrazioni (c.d. accertamento sintetico), sancita dal D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 15, convertito in L. n. 140 del 1997, si applica a tutte le definizioni dell’accertamento con adesione (c.d. accertamento con adesione per anni pregressi) poste in essere ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3, convertito in L. n. 656 del 1994, e, quindi, anche a quelle intervenute, prima dell’emanazione del citato D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis e senza usufruire della proroga dell’originario termine di pagamento (del 15.12.1995), ivi prevista.

Non evincendosi dal proposto motivo di ricorso ragioni probanti per discostarsi dal superiore orientamento, avuto riguardo alla circostanza che il D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis si limita a disporre la proroga del termine di pagamento per il c.d. “concordato di massa” previsto dal D.L. n. 564 del 1994, art. 3 ma sempre con riferimento alle medesime dichiarazioni, presentate entro il 30 settembre 1994 ed alla palese irrazionalità di un’esclusione dell’ampliamento dei benefici scaturenti dal concordato ai soggetti che non avevano usufruito della proroga del termine di pagamento, ne consegue la piena legittimità della decisione impugnata.

L’esito del giudizio di Cassazione impone la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.500,00 oltre spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente. 

Redazione