Il mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria italiana non è impugnabile nell’ambito dell’ordinamento interno (Cass. pen. n. 30769/2012)

Redazione 27/07/12
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RITENUTO IN FATTO

1. In data 24 marzo 2009 l’Autorità spagnola consegnò all’autorità giudiziaria italiana A. C. in esecuzione di un mandato di arresto europeo (m.a.e.) emesso sulla base di un’0rdinanza di custodia cautelare per i reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, commessi in Napoli il 2 agosto 1995. Da tali reati il C. venne definitivamente assolto a seguito della sentenza del 17 febbraio 2011 con cui la Corte di cassazione annullava senza rinvio in parte qua la sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 17 luglio 2009.
In data 25 marzo 2011 il Tribunale di Napoli, nell’ambito di un procedimento nei confronti del C. per i delitti di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 110, 629 cod. pen., 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (commessi in Napoli e Mondragone, rispettivamente, sino al mese di gennaio 2007 e negli anni 1995-1996), in ordine ai quali lo stesso era stato condannato con sentenza del 22 aprile 2010, emise a suo carico ordinanza di custodia cautelare. Tale ordinanza venne confermata in data 11 aprile 2011 dal Tribunale del riesame di Napoli, che ne sospendeva però l’esecuzione, in attesa dell’attivazione della procedura di consegna suppletiva dalla Spagna. In accoglimento di un’eccezione difensiva in ordine alla violazione del principio di specialità, infatti, il Tribunale rilevava che i reati oggetto dell’ordinanza custodiale, per i quali il C. non risultava aver prestato il proprio consenso alla celebrazione del processo, erano stati commessi in epoca antecedente alla consegna effettuata dalla Spagna in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso per i diversi reati di tentato omicidio e detenzione illegale di armi, dai quali l’imputato era stato assolto.
Il provvedimento del riesame venne confermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 39240 del 23 settembre 2011, depositata il 28 ottobre 2011.
In data 7 giugno 2011 la Corte di appello di Napoli, cui nel frattempo erano stati trasmessi gli atti del procedimento per i delitti di partecipazione ad organizzazione criminale ed estorsione aggravata, emise un m.a.e. inteso ad ottenere dall’Autorità spagnola l’assenso alla consegna suppletiva per tali reati.
Assenso che venne dato dall’autorità giudiziaria spagnola (Audiencia Nacional) con ordinanza n. 2/2012 del 10 gennaio 2012.
Con provvedimento emesso in data 24 gennaio 2012, la Corte di appello di Napoli disponeva darsi esecuzione a||’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli nei confronti del C. in data 25 marzo 2011, per i delitti di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 110, 629 cod. pen., 7 d.l. 152 del 1991,convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991. Unitamente al predetto ordine di esecuzione, venivano notificati ai C., ristretto nell’istituto penitenziario di Carinola, il mandato di arresto europeo emesso dalla stessa il Corte di appello di Napoli in data 7 giugno 2011 ed il provvedimento di consegna suppletiva emesso dall’autorità giudiziaria spagnola, con la relativa traduzione in lingua italiana.

2. Avverso l’ordine di esecuzione emesso dalla Corte di appello di Napoli in data 24 gennaio 2012 – nonché avverso l’ordinanza n. 2/2012 dell’Audiencia Nacional ed il m.a.e. emesso dalla predetta Corte di appello in data 7 giugno 2011 – proponeva ricorso per cassazione il C., a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 31 della legge 22 aprile 2005, n. 69, nonché dell’art. 14 della Convenzione europea di estradizione, in relazione ai|’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen, sull’assunto che il m.a.e. prodromico alla consegna suppletiva era precluso dal fatto che il m.a.e. in esecuzione del quale era precedentemente avvenuta la consegna all’Italia, era ormai inefficace, essendo stato il ricorrente definitivamente assolto dai reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, cui tale consegna si riferiva;
– violazione de|l’art. 28 della legge n. 69 del 2005, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., sull’assunto che la Corte di appello di Napoli non era funzionalmente competente a provvedere alla emissione del m.a.e. inteso ad ottenere dal|’Autorità spagnola l’assenso alla consegna suppletiva, in quanto il citato art. 28 attribuisce tale competenza non al giudice presso cui è pendente il procedimento ma a quello che <<ha applicato la misura cautelare>>, ossia, nel caso di specie, al Tribunale;
– violazione dell’art. 6, comma 3, della legge n. 69 del 2005, in reiezione all’art. 606, comma 1, lett. b), e lett. e), cod. proc. pen., poiché nel provvedimento restrittivo non sono state indicate le fonti di prova sufficienti a soddisfare il requisito ivi previsto, essendosi limitata la Corte di appello a riportare i due capi di imputazione, senza neanche descrivere il fatto;
– violazione dell’art. 19, comma 1, lett. a), della legge n. 69 del 2005, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., stante l’insufficiente indicazione, nel m.a.e. impugnato, delle garanzie ivi contemplate, in modo da dare al ricorrente la possibilità di partecipare alla formazione del provvedimento restrittivo: l’autorità emittente italiana era obbligata ad inserire nella compilazione del mandato ie assicurazioni sufficienti e necessarie a consentire alla persona richiesta la possibilità di difendersi e di essere presente al giudizio.

2.1. Con motivi aggiunti proposti in data 2 marzo 2012, i difensori del C. deducevano la violazione degli artt. 721 cod. proc. pen., 14 della Convenzione europea di estradizione e 28, comma 1, legge n. 69 del 2005, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., assumendo che:
– non risultava prestato il consenso alla celebrazione del processo per i fatti oggetto dei presente procedimento, obiettivamente diversi da quelli per i quali era stata concessa la consegna, e pacificamente anteriori alla stessa, con la conseguenza che era inibito qualsiasi esercizio dell’azione penale;
– difettava la competenza della Corte di appello alla emissione del m.a.e.;
– alla consegna suppletiva non poteva procedersi in base a un titolo originario ormai inefficace, e nella assenza del ricorrente, detenuto in Italia dal 20 ottobre 2011 e, quindi, di fatto privato del diritto di difesa nello Stato estero richiesto dall’autorità giudiziaria italiana.

2.2. Con ulteriori motivi aggiunti proposti in data 7 marzo 2012, si deduceva la violazione degli artt. 721 cod. proc. pen., 14 della Convenzione europea di estradizione, 28, comma 1, e 32 della legge n. 69 del 2005, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., assumendosi che:
– la procedura di consegna suppletiva imponeva l’emissione di un nuovo
mandato da parte del Tribunale e non della Corte di appello, atteso che il provvedimento restrittivo connesso al reato oggetto del primo mandato era Stato annullato dalla Corte di cassazione in data 17 febbraio 2011;
– gli artt. 26 e 32 della legge n. 69 del 2005 configurano il principio di specialità quale condizione di procedibilità, precludendo, in assenza di un consenso ad hoc, non solo il diritto di punire o di privare della libertà personale, ma anche quello di assoggettare ai processo l’individuo consegnato, con la conseguenza che tale divieto, dal lato attivo della procedura di consegna, incide sull’esercizio dell’azione penale e che la Corte territoriale non poteva proseguire l’azione penale per un reato diverso da quello oggetto del primo mandato, né era competente ad attivare la procedura suppletiva, peraltro in sé non incardinabile a seguito della perdita di efficacia del primo m.a.e.

3. Con ordinanza del 13 marzo 2012, depositata il 2 aprile 2012, la Sesta Sezione di questa Suprema Corte, assegnataria del ricorso, lo ha rimesso alle Sezioni unite, ravvisando, nella disamina delle questioni poste con il secondo motivo di ricorso, un contrasto giurisprudenziale in ordine alla determinazione del giudice competente funzionalmente alla emissione del mandato di arresto europeo.
Secondo un primo orientamento (seguito da Sez. I, n. 26635 del 29/04/2008, confl. comp. in proc. Trib. Ragusa, Rv. 240531), basato su un’interpretazione 1ogico-sistematica del quadro normativo (artt. 28, 30 e 39) delineato dalla legge n. 69 del 2005, al quale l’ordinanza rimettente dichiara argomentatamente di aderire, la competenza deve essere attribuita all’autorità giudiziaria che procede; mentre secondo un altro indirizzo (seguito implicitamente già da Sez. I, n. 16478 del 19/04/2006, confl. comp. in proc. Abdelwahab, Rv. 233578, ma espresso formalmente la prima volta da Sez. I, n. 15200 del 26/03/2009, confl. comp. in proc. **********, Rv. 243321, e a cui ha poi aderito anche Sez. I, n. 18569 del 16/04/2009, confl. comp. in proc. *****, Rv. 243652), che privilegia un’esegesi strettamente letterale della norma contenuta nell’art. 28 della legge n. 69 del 2005, essa spetta al giudice che ha applicato la misura cautelare, indipendentemente dalla pendenza in atto del procedimento innanzi ad un giudice diverso.

4. A seguito dell’ordinanza emessa dalla Sesta Sezione penale, pervenuta
alla Cancelleria delle Sezioni unite in data 3 aprile 2012, il Primo Presidente, visti gli artt, 610, comma 3, e 618 cod. proc. pen., con decreto emesso in data 5 aprile 2012, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando, per la trattazione del ricorso, l’udienza in camera di consiglio del 21 giugno 2012.

5. Con memoria depositata il 14 giugno 2012, la difesa del C.:
– ha censurato l’interpretazione logico-sistematica patrocinata dall’ordinanza di rimessione, evidenziando in particolare che il tenore univoco dell’art. 28 della legge n. 69 del 2005, il suo raccordo con la decisione quadro 2002/584/GAI del 13/06/2002 e la natura stessa del m.a.e. non consentono e non giustificano tale operazione ermeneutica analogico-integrativa;
– ha fatto rilevare che comunque, alla data del 12 aprile 2011 di richiesta del m.a.e. da parte del p.m., il processo era ancora pendente presso il Tribunale;
– ha ribadito che il C. venne sottoposto al nuovo processo in assenza di consegna suppletiva e mentre era in Italia non per sua libera scelta, e non fu messo in condizione di contraddire in relazione a un titolo cautelare utilizzato dal 12 aprile 2011.

6. Con nota pervenuta il 19 giugno 2012 la difesa ha trasmesso una precedente richiesta di m.a.e. nei confronti del C. per il delitto ex art. 416-bis cod. pen., rivolta in data 20 gennaio 2009 dal p.m. al g.i.p. che aveva emesso la relativa ordinanza custodiale, e il provvedimento di reiezione del g.i.p., motivato con l’annullamento, in sede di riesame, di tale ordinanza.
7. Con ulteriore memoria depositata il 20 giugno 2012 la difesa, oltre a rilevare alcune inesattezze in fatto contenute nell’ordinanza di rimessione, ha ripreso in particolare i primi due motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è <<se la competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto europeo per l’esecuzione di una misura cautelare custodiale spetti al giudice che ha applicato la misura, anche laddove il procedimento penda davanti ad un giudice diverso, oppure al giudice che procede”.

2. L’attenzione deve peraltro essere focalizzata prioritariamente sull’ammissibilità del ricorso, in relazione ai motivi dedotti e alla natura dei provvedimenti impugnati.

2.1. L’ordinanza di rimessione ha circoscritto l’ambito di ammissibilità del ricorso all’ordine di esecuzione emesso dalla Corte di appello di Napoli in data 24 gennaio 2012, quale provvedimento direttamente ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., poiché incidente sulla libertà personale dell’interessato, mentre ha escluso l’impugnabilità sia dell’ordinanza di consegna suppletiva concessa dall’autorità giudiziaria spagnola (Audiencia Nacional) con provvedimento n. 2/2012 del 10 gennaio 2012 (considerato insindacabile manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto della cooperazione), sia (sulla scorta della concorde giurisprudenza di legittimità) del mandato di arresto europeo emesso dalla Corte di appello di Napoli in data 7 giugno 2011.

2.2. In ordine al provvedimento dell’autorità spagnola, deve osservarsi che, in quanto manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto della cooperazione, esso certamente non può, in se stesso, essere soggetto a diretta impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria italiana (Sez. VI, n. 5447 del 12/12/2001, dep. 2002, ***********, Rv. 220871).
Nei suoi riguardi potrebbe semmai porsi un problema di disapplicazione, per contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali del nostro ordinamento (Sez I, n. 21673 del 22/01/2009, *******, Rv. 243795).
Sta di fatto, però, che, al di là di un accenno del tutto generico a pregiudizi difensivi (che appaiono comunque smentiti dal tenore dell’ordinanza emessa dall’autorità spagnola, dal quale si evince che in quella sede fu assicurato e di fatto esercitato, mediante rilievi considerati peraltro generici, il diritto di difesa), il ricorrente non censura il provvedimento estero per profili potenzialmente forieri dell’incompatibilità anzidetta, ma pretende di invalidarlo per effetto dei presunti vizi del m.a.e. attivo con cui ne è stata fatta richiesta. L’esito perseguito
presuppone evidentemente, a monte, l’impugnabilità (e conseguente caducazione) del provvedimento (m.a.e.) che dai detti vizi sia affetto.
Il discorso si sposta, quindi, sulla verifica di tale impugnabilità.

2.3. Riguardo all’impugnabilità del m.a.e., va ricordato che, secondo il concorde indirizzo della giurisprudenza, nell’ambito della procedura attiva di consegna è possibile contestare, dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, soltanto il titolo su cui si fonda il m.a.e., ma non direttamente quest’ultimo, che è atto in sé conseguenziale, specificamente indirizzato all’autorità estera in funzione dell’attivazione, da parte della medesima, della procedura di esecuzione (Sez. VI, n. 9273 del 05/02/2007, ***************, Rv. 235557; Sez. VI, n. 20823 del 19/01/2010, *****, Rv. 247360; Sez. VI, n 21470 del 09/05/2012, ******); mentre tutte le questioni afferenti tale procedura possono e devono farsi valere nello Stato richiesto, secondo le regole, le forme e i tempi previsti dal relativo ordinamento (Sez. VI, n. 18466 del’11/01/2007, *************, Rv. 236577; Sez. VI, n. 45769 del 31/10/2007, Di Summa, Rv. 238091; Sez. VI, n. 20823 del 19/01/2010, *****). Ne consegue che è nell’ambito di tali questioni, e nei modi indicati, che possono, se e in quanto incidano sulla procedura di esecuzione, essere fatti valere eventuali vizi del m.a.e.
Tale orientamento è senz’altro da condividere, in quanto si basa sulla corretta considerazione che il m.a.e. attivo è atto rivolto (non al soggetto destinatario della misura ma) all’autorità estera, con carattere chiaramente accessorio e strumentale rispetto al provvedimento restrittivo di cui vuole conseguire la concreta esecuzione mediante la cooperazione di detta autorità.
Conferma di tanto può rinvenirsi nelle disposizioni di cui agli artt. 29 e 31 della legge n. 69 del 2005, che prevedono, rispettivamente, la fungibilità del m.a.e.
con la segnalazione di ricerca nel Sistema Informativo Schengen (S.I.S.) e la sua immediata perdita di efficacia al venir meno del provvedimento restrittivo di base.
Per le dette caratteristiche, il m.a.e. attivo, non rientrante per sé in alcuna delle categorie di atti per le quali è sancita espressamente l’impugnabilità per legge, non può evidentemente neppure essere considerato un provvedimento autonomamente incidente sulla libertà personale, agli effetti di quanto previsto dagli artt. 111, comma settimo, Cost., e 568, comma 2, cod. proc. pen.
L’illustrata conclusione appare in linea con la disciplina della decisione-quadro del Consiglio U.E. sul mandato d’arresto europeo (2002/584/GAI del 13 giugno 2002), nella quale non si contempla la previsione di specifici mezzi di impugnazione a tutela dei diritti e delle garanzie processuali delle persone oggetto della richiesta di consegna. Tale scelta, ispirata all’intento di evitare rischiose sovrapposizioni 0 interferenze, appare chiaramente volta a rispettare i meccanismi di impugnazione autonomamente esperibili in ciascuno degli ordinamenti coinvolti nel rapporto di cooperazione, nell’ambito delle fasi di rispettiva pertinenza.

3. Ciò chiarito in via generale, deve osservarsi che il caso oggetto di ricorso attiene non al m.a.e. attivo ordinario, finalizzato ad ottenere la cattura del consegnando, bensì a un m.a.e. utilizzato come veicolo per attivare la procedura di assenso alla estensione della consegna di cui agli artt. 32 e 26, comma 3, legge n. 69 del 2005, necessaria al fine di superare gli effetti limitativi del principio di specialità.

3.1. Riguardo a tale principio, vale qui ricordare che esso, nel regime del mandato di arresto europeo (art 27, § 3, lett. c), cosi come interpretato anche dalla Corte di Giustizia europea (sent. 01/12/2008, ric. Leymann-Pustoravov, in G.U.U.E. serie C 44 del 21 febbraio 2009), non osta a che l’autorità giudiziaria del Paese che ha ottenuto la precedente consegna proceda nei confronti della persona consegnata anche per reati diversi da quelli oggetto della detta consegna e commessi anteriormente alla stessa, ma preclude soltanto (prima e in assenza del consenso alla estensione della consegna da parte dello Stato di esecuzione) la possibilità di eseguire nei confronti della persona consegnata misure restrittive della libertà personale. In senso conforme va ovviamente interpretata, anche per l’intervenuta pronuncia della Corte di Giustizia, che ha forza autoritativa per gli Stati membri (Corte di Giustizia, 16/06/2005, ric. ******, in G.U.U.E. serie C 193 del 19 agosto 2005) la normativa interna (lievemente diversa da quella della decisione quadro) di cui agli artt. 32 e 26, comma 2, lett. c), della legge n. 69 del 2005 (in tali termini, proprio con riferimento alla vicenda processuale in esame, Sez. VI, n. 39240 del 23/09/2011, C., Rv. 251366).

3.2. Tanto precisato, rilevasi che sia la previsione del § 4 dell’art. 27 della decisione-quadro, sia la norma attuativa interna del comma 3 dell’art. 26 legge n. 69 del 2005, richiamata dal successivo art. 32, non prevedono formalmente, per la richiesta di assenso alla estensione della consegna, l’emissione di un nuovo apposito m.a.e.
La scelta appare senz’altro coerente con la funzione di tale strumento, che è quella di ottenere |’arresto del soggetto da parte dello Stato di rifugio, esigenza che evidentemente non sussiste quando il soggetto sia stato già consegnato e ivi più non si trovi.
Resta peraltro evidente che anche per la richiesta di assenso – il cui contenuto informativo corrisponde a quello del m.a.e. (v. artt. 8 e 27, § 4, della decisione-quadro, e artt. 32 e 26, comma 3 della legge n. 69 del 2005) valgono pienamente, in relazione alla procedura attiva, i rilievi già fatti, in tema di impugnabilità, per il m.a.e. attivo.
Anche la richiesta di assenso è invero rivolta all’autorità estera e ha palese carattere di accessorietà e strumentalità rispetto al provvedimento restrittivo, di cui vuole conseguire, nel procedimento relativo a reati diversi da quelli oggetto della precedente consegna del soggetto e commessi anteriormente a questa, la concreta eseguibilità, attraverso la rimozione, da parte della detta autorità, del divieto derivante dal principio di specialità.
Ferma restando l’esperibilità di tutti i rimedi previsti nei confronti del provvedimento restrittivo, non ci sono spazi per ritenere l’impugnabilità <<interna>> della richiesta di assenso in quanto tale, mancando al riguardo una statuizione espressa di legge (non prevista in alcun modo dalla decisione-quadro) e non potendo la richiesta stessa considerarsi un provvedimento autonomamente incidente sulla libertà personale agli effetti delle previsioni di cui agli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, cod. proc. pen..
Anche in questo caso eventuali vizi dell’atto in esame potranno essere fatti valere, se e in quanto incidenti sulla procedura di rilascio dell’assenso, solo nello Stato richiesto, e secondo le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento.

4. Il discorso che precede consente di enucleare il seguente principio di diritto:
<<Il mandato di arresto europeo (m.a.e.) emesso dall’autorità giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna di cui agli artt. 28, 29 e 30 della legge 22 aprile 2005, n. 69, e il provvedimento emesso (eventualmente in forma di m.a.e.) dalla stessa autorità nella procedura di estensione attiva della consegna di cui agli artt. 32 e 26 della detta legge, non sono impugnabili nell’ambito dell’ordinamento interno, neanche a sensi degli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, cod. proc. pen.; i loro eventuali vizi potendo essere fatti valere solo nello Stato richiesto, se e in quanto incidenti sulla procedura di sua pertinenza, e secondo le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento.>>.

5. Dai rilievi esposti deriva l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso dedotti in relazione al provvedimento con cui si è formulata la richiesta di assenso, e miranti, attraverso la sua caducazione, a porre nel nulla lo stesso atto di assenso dell’autorità estera.

6. Si ritiene tuttavia opportuno, per completezza, esaminare, fra tali motivi, quelli che, adducendo l’inesistenza, a monte, dello stesso potere di attivare la procedura attiva di estensione della consegna, potrebbero, se fondati, suscitare dubbi su un’eventuale abnormità del relativo provvedimento di avvio (per un caso di ritenuta abnormità, e conseguente impugnabilità, di provvedimento reiettivo di richiesta di m.a.e., v. Sez. VI, n 21470 del 09/05/2012, ******).

6.1. Il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 721 cod. proc. pen., 14 della Convenzione europea di estradizione e 28, comma 1, della legge n. 69/2005, in base all’assunto che, non risultando prestato il consenso alla celebrazione del processo per i fatti oggetto del presente procedimento (obiettivamente diversi da quelli per i quali era stata concessa la consegna, e n pacificamente anteriori alla stessa), era inibito qualsiasi esercizio dell’azione penale nei suoi confronti. Questo inficerebbe in radice l’iniziativa cautelare e la correlata attivazione della procedura di estensione della consegna adottate nel caso di specie.
L’assunto, infondato in diritto per quanto illustrato nel paragrafo 3.1. circa la portata <<attenuata>> del principio di specialità nel regime del mandato di arresto europeo, è altresì coperto da preclusione endoprocessuale, per effetto della citata sentenza n. 39240 del 23 settembre 2011, Rv. 251366, in cui – sulla scorta della ricordata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e della conforme necessaria interpretazione del diritto interno (e non senza un richiamo alla disciplina già posta in tema di estradizione dall’art. 721 cod. proc. pen.) – si è rilevato che il C., per i delitti (oggetto del presente procedimento) di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 110, 629 cod. pen., 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 del 1991, commessi anteriormente alla consegna dello stesso effettuata dall’autorità spagnola in data 24 marzo 2009 per i diversi reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, legittimamente è stato sottoposto a procedimento penale, condannato con sentenza di primo grado del 22 aprile 2010 e assoggettato a misura cautelare (temporaneamente sospesa).

6.2. Con altro motivo si è dedotto che il provvedimento con cui è stata sollecitata la consegna suppletiva era precluso dal fatto che il m.a.e., in esecuzione del quale era precedentemente avvenuta la consegna all’Italia, era ormai inefficace, essendo stato il ricorrente definitivamente assolto dai reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, cui tale consegna si riferiva.
Il motivo è palesemente infondato.
Da un lato, infatti, l’art. 31 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (secondo il quale, <<Il mandato d’arresto europeo perde efficacia quando il provvedimento restrittivo sulla base del quale è stato emesso è stato revocato o annullato ovvero è divenuto inefficace. Il procuratore generale presso la corte di appello ne dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia ai fini della conseguente comunicazione allo Stato membro di esecuzione>>), richiamato a sostegno di esso, non viene qui per nulla in rilievo, posto che si riferisce, all’evidenza, alla situazione (che solo può riflettersi sulle incombenze dell’Autorità estera) in cui si verifichi, mentre è in corso |’esecuzione del m.a.e., il venir meno del titolo che ne è alla base, e non concerne quindi il caso (di esclusiva pertinenza dell’ordinamento interno) in cui, espletata regolarmente la procedura di consegna, nello svolgimento del processo in funzione del quale essa è avvenuta si pervenga a una pronuncia assolutoria del consegnato.
Dall’altro, non c’è dubbio che il <<legame>> fra la consegna precedente e il diverso procedimento nel quale deve applicarsi una misura restrittiva, che incontra il limite derivante dal principio di specialità, per il cui superamento occorre la richiesta e la concessione di assenso dello Stato di esecuzione della prima consegna, non richiede affatto la pendenza in atto del procedimento cui quest’ultima afferiva, ma si basa semplicemente sul presupposto che il soggetto sia stato consegnato allo Stato richiedente e non ricorra alcuna delle condizioni di deroga al principio di specialità previste dal comma 2 dell’art. 26 della legge n. 69 del 2005. Questa disciplina è posta evidentemente a garanzia dell’interessato, che altrimenti sarebbe direttamente processabìle in vinculis, senza alcun onere a carico dell’autorità procedente. La difesa, d’altronde, si è ben guardata dal contestare, ma ha anzi rivendicato, l’assenza delle menzionate condizioni di deroga, confermando in tal modo l’operatività del principio di specialità, comportante per sé la necessità e legittimità della procedura della richiesta di assenso.
L’assunto che la definitiva assoluzione dell’imputato dai reati per i quali era stato emesso il precedente m.a.e., avendo esaurito l’efficacia di quest’ultimo, lo avrebbe reso inidoneo a fondare il legittimo avvio della procedura di consegna suppletiva, appare del tutto avulso dalla disciplina come sopra ricostruita e porterebbe alla conseguenza paradossale di privare l’interessato delle garanzie derivanti dal principio di specialità, non potendosi certo ritenere che, nella situazione data, si sarebbe dovuto procedere alla emissione di un vero e proprio (nuovo e autonomo) m.a.e. attivo, in assenza dell’essenziale presupposto della presenza del soggetto nello Stato estero.

7. Resta da esaminare l’impugnabilità del provvedimento emesso dalla Corte d’appello il 24 gennaio 2012. Esso esprime nella sostanza il riconoscimento della cessazione della preesistente causa di sospensione dell’esecuzione della misura cautelare. Sotto tale profilo, per la diretta incidenza sullo status libertatis, se ne deve ammettere, come sostenuto nell’ordinanza di rimessione, la ricorribilìtà ai sensi dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen.
Sennonché, nei confronti del provvedimento de quo (la cui emissione non richiedeva certo ii previo contraddittorio con l’interessato), non sono stati dedotti vizi specifici, essendosi in sostanza affidato l’auspicato esito della sua caducazione all’accoglimento dei motivi con cui si è censurata l’attivazione della procedura di consegna da parte della Corte di appello. L’evidenziata inammissibilità di tali motivi comporta, dunque, l’inammissibilità del ricorso anche in riferimento al provvedimento del 24 gennaio 2012.
8. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende nella misura (ritenuta equa in relazione ai motivi dell’inammissibilità) di euro mille.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 a favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’att. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Redazione