Il giudizio promosso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso le decisioni dei locali consigli non rappresenta un giudizio di mera legittimità (Cass. n. 15122/2013)

Redazione 17/06/13
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Svolgimento del processo

Gli avv. C.R. e R.L. furono sottoposti a procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena ed, in data 9 dicembre 2010, fu loro rispettivamente inflitta la sanzione della sospensione per tre e per quattro mesi dall’esercizio della professione forense. Il Consiglio dell’Ordine reputò infatti che essi avessero violato l’art. 49 del codice deontologico sotto diversi profili: in primo luogo perchè, difendendo un medesimo cliente, avevano richiesto una pluralità di ingiunzioni per crediti identici tra loro, maturati in un ristretto arco di tempo; in secondo luogo perchè avevano ingiustificatamente moltiplicato gli atti d’intervento nella procedura esecutiva per il medesimo cliente, sulla base di fatture autenticate o di decreti ingiuntivi contestuali o emessi a brevissima distanza di tempo l’uno dall’altro; in terzo luogo perchè altrettanto ingiustificatamente avevano frazionato la liquidazione e la distribuzione delle somme ricavate dall’esecuzione relativa allo stesso credito; infine per aver patrocinato in sede esecutiva le ragioni creditorie del proprio cliente tenendo fermo l’ingiustificato frazionamento del credito.

Il ricorso proposto dai due suddetti avvocati al Consiglio Nazionale Forense fu accolto solo in parte, con sentenza depositata il 15 ottobre 2012.

Infatti il Consiglio Nazionale Forense escluse la fondatezza del primo degli addebiti disciplinari sopra ricordati, ma tenne fermi gli altri, e perciò ridusse l’entità della sospensione inflitta a due mesi per l’avv. C. ed a tre per l’avv. R..

La sentenza, dopo alcuni rilievi di ordine processuale che ormai più non interessano, affermò che i comportamenti per i quali i professionisti erano stati sanzionati, fatta eccezione per quelli relativi al primo degli addebiti sopra richiamati, risultavano adeguatamente provati, onde appariva anche provato l’aggravamento della posizione debitoria della controparte, che da quegli ingiustificati comportamenti era derivato. Il Consiglio Nazionale Forense aggiunse però anche che i motivi di ricorso proposti dagli interessati avverso i provvedimenti disciplinari in questione, oltre ad essere infondati nel merito, difettavano della narrazione dei fatti che avevano formato oggetto del procedimento di primo grado, onde non apparivano rispettosi del disposto dell’art. 342 c.p.c. e del principio di autosufficienza, integrando ciò una ragione di “inammissibilità dell’atto in parte qua”.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso gli avv. C. e R., prospettando tre motivi di doglianza.

Nessuna difesa ha svolto in questa sede il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena.

Motivi della decisione

1. I ricorrenti si dolgono anzitutto del fatto che il Consiglio Nazionale Forense abbia ritenuto applicabili nel procedimento di sua competenza sia la disposizione dettata dall’art. 342 c.p.c. per il giudizio d’appello sia il principio di autosufficienza del ricorso, elaborato dalla giurisprudenza con riferimento al giudizio di cassazione. Osservano che, stante la natura amministrativa del procedimento dinanzi al consiglio dell’ordine e del provvedimento sanzionatorio che lo conclude, è con il ricorso avverso tale provvedimento dinnanzi al Consiglio Nazionale Forense che si instaura per la prima volta un procedimento giurisdizionale, onde tale ricorso non è affatto assimilabile all’appello ed investe il giudice disciplinare del potere di conoscere ogni aspetto della vicenda in contestazione. Quanto, poi, al menzionato principio di autosufficienza, i ricorrenti ne sottolineano la stretta inerenza al giudizio di cassazione, in quanto giudizio di legittimità in cui non è di regola consentito procedere al diretto esame di atti e documenti acquisiti nel giudizio di merito, ed evidenziano come sia pertanto incongruo pretendere di applicarlo al ricorso proposto in materia disciplinare dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, essendo quest’ultimo giudice anche di merito e non soltanto di legittimità.

2. Col secondo motivo gli avv. C. e R. prospettano, in linea subordinata, anche un’ulteriore censura. Premesso che, in presenza di una declaratoria d’inammissibilità del ricorso per ragioni di rito, sono da considerare ultronee ed irrilevanti le ulteriori considerazioni svolte nell’impugnata sentenza per affermare anche l’infondatezza nel merito dello stesso ricorso, essi sostengono che, avendo lo stesso Consiglio Nazionale Forense escluso che vi fosse stato un indebito frazionamento del credito da loro azionato in fase di cognizione dinanzi al Tribunale di Siena, non avrebbe potuto trovare spazio l’accusa di avere poi aggravato la posizione del debitore moltiplicando inutilmente gli interventi nel processo esecutivo, poichè appare anzi preferibile, per ragioni di ordine processuale, che a ciascun titolo esecutivo faccia sempre riscontro un autonomo atto d’intervento, tanto più che da questo non deriva affatto necessariamente un aggravio di spese.

3. Sempre in via subordinata, il solo avv. C. ha formulato infine un terzo motivo di ricorso, dolendosi del fatto che gli siano stati addebitati comportamenti processuali riferibili all’avv. R. unicamente in considerazione dell’associazione professionale tra loro esistente e dell’essere stati alcuni degli atti processuali in questione compiuti anche nel suo interesse.

4. Reputa la corte che, con riferimento ai profili giuridici evidenziati nel primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata appaia meritevole di censura.

E’ da tempo acquisito nella giurisprudenza di questa corte il principio per cui ha natura amministrativa il procedimento disciplinare di competenza del locali Consigli dell’ordine degli avvocati, laddove ha viceversa natura giurisdizionale il procedimento che successivamente si svolga dinanzi al Consiglio Nazionale Forense a seguito dell’impugnazione proposta dai soggetti a ciò legittimati (cfr., ex multis, Sez. un. 6 luglio 2005, n. 14214; e Sez. un. 17 novembre 2005, n. 23240).

Il giudizio di competenza del Consiglio Nazionale Forense a seguito di ricorso avverso provvedimenti disciplinari emessi da un consiglio territoriale, pertanto, pur avendo indubbi connotati impugnatori, non è assimilabile all’appello, disciplinato dal codice di procedura civile, che si configura come un giudizio di secondo grado avente natura omogenea rispetto a quello di primo grado. Ne consegue che non può ritenersi ad esso applicabile, in via immediata e diretta, il disposto dell’art. 342 c.p.c., come si è affermato invece nell’impugnata sentenza.

Ciò, peraltro, non toglie che, a norma del R.D. n. 37 del 1934, art. 59, il ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso le pronunce emesse dai locali Consigli dell’ordine debba contenere l’enunciazione specifica dei motivi sui quali esso si fonda (cfr. Sez. un. 25 novembre 2008, n. 28049). Il che, espunto l’improprio riferimento al citato art. 342 c.p.c., potrebbe in definitiva condurre a conclusioni non dissimili.

Senonchè occorre considerare che, nel caso in esame, il Consiglio Nazionale Forense sembra far coincidere il vizio del ricorso consistente nel difetto di specificità dei motivi con la mancata esposizione, nel ricorso medesimo, dei fatti oggetto del procedimento svoltosi dinanzi al Consiglio dell’Ordine; donde il richiamo al già sopra menzionato principio di autosufficienza del ricorso. Ma, se è vero che talvolta il (pur discusso) principio di autosufficienza è stato giustificato, con riferimento al ricorso per cassazione, con l’esigenza di rispettare il requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, non può trascurarsi che una tale impostazione appare strettamente legata alle caratteristiche proprie del giudizio di legittimità: alla circostanza, cioè, che la Corte di cassazione non è giudice del fatto (salvo il caso di denuncia di errores in procedendo) e che, non potendo di conseguenza verificare ed accertare direttamente la situazione di fatto sulla scorta dell’esame degli atti e dei documenti acquisiti al precedente giudizio di merito, essa neppure potrebbe valutare l’attinenza e la decisività delle censure in diritto, oppure per difetti della motivazione, che il ricorrente ha mosso all’impugnata sentenza. Donde, appunto, la particolare curvatura assunta dal requisito della specificità del ricorso per cassazione, che deve consentire a chi lo legge di comprendere senz’altra indagine in qual modo la correzione degli errori di diritto o l’emenda dei vizi di motivazione sollecitati dal ricorrente si saldino con la vicenda processuale e siano perciò idonee a determinare l’invocata cassazione del provvedimento impugnato.

La situazione non si presenta affatto negli stessi termini per il ricorso proposto dinanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso i provvedimenti dei locali Consigli dell’ordine. Il giudizio al quale il Consiglio Nazionale Forense è in tal caso chiamato non è un giudizio di mera legittimità, ma indiscutibilmente si estende anche agli aspetti di merito che interessano il provvedimento impugnato, di modo che nulla impedisce a quel giudice di prendere in esame nella sua interezza l’intera documentazione prodotta nel corso del procedimento. Se è vero che i motivi d’impugnazione, come s’è già detto, debbono anche in questo caso esser specifici, non se ne può perciò desumere che sia essenziale a tal fine l’esposizione dettagliata, nel corpo stesso del ricorso, dei fatti che hanno formato oggetto del precedente procedimento disciplinare di natura amministrativa, essendo sufficiente che quei fatti, nella misura in cui occorra prenderne conoscenza per valutare della legittimità o dell’illegittimità del provvedimento impugnato, risultino acquisiti al giudizio onde il giudice (id est: il Consiglio Nazionale Forense) sia in condizione di percepirli e valutarli; ed è intuitivo che, a tale scopo, ben possa tenersi conto dei documenti allegati al ricorso, così come dei dati ricavabili dallo stesso testo del provvedimento impugnato, una copia del quale deve, d’altronde, necessariamente corredare il ricorso a norma del D.L. n. 37 del 1934, art. 59, comma 1.

Alla luce del principio di diritto appena enunciato, pertanto, deve concludersi che l’asserita ragione d’inammissibilità del ricorso (rectius del terzo e del quarto motivo del ricorso) proposto dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, nel caso in esame, non sussiste.

5. L’accoglimento del motivo di ricorso per cassazione dianzi esaminato comporta l’assorbimento degli altri, prospettati in via subordinata.

Come infatti correttamente osservato dai ricorrenti, le argomentazioni con le quali il Consiglio Nazionale Forense, pur avendo reputati inammissibili alcuni dei motivi di ricorso afferenti al merito, li ha ugualmente esaminati e ne ha affermato anche l’infondatezza sono da considerare prive di ogni giuridica rilevanza.

Sin dalla sentenza n. 3840 del 20 febbraio 2007, infatti, le sezioni unite di questa corte hanno chiarito che il giudice il quale emetta una pronuncia d’inammissibilità della domanda si spoglia della propria potestas iudicandi al riguardo, e che se, ciò nondimeno, quel medesimo giudice si soffermi anche a motivare sul merito, tale motivazione è da considerarsi svolta ad abundantiam, onde un’ impugnazione sul punto neppure risulterebbe ammissibile (nel medesimo senso questa corte si è poi pronunciata ripetutamente, puntualizzando come tale principio debba essere logicamente esteso anche ai casi in cui l’inammissibilità riguardi solo un capo di domanda o un singolo motivo di gravame: cfr. Cass. 1 marzo 2012, n. 3229).

6. La sentenza impugnata va quindi cassata, nella parte in cui ha dichiarato “inammissibile e infondato” il ricorso a suo tempo proposto dagli avv. C. e R. contro i provvedimenti sanzionatori emessi a loro carico dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena, con rinvio della causa al Consiglio Nazionale Forense in diversa composizione.

7. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena dovrà rifondere ai ricorrenti le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, condannando il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per compenso e 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.

Redazione