Il funzionario pubblico che omette, volontariamente, i controlli e agevola la frode fiscale dell’azienda risponde di concorso nel reato con possibile di confisca dei beni personali (Cass. pen. n. 46833/2012)

Redazione 04/12/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza 6.12.2011, il Tribunale di Catanzaro ha respinto il riesame proposto da L.P.S. contro il provvedimento con cui il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente della somma di Euro 2.978.091,54 e/o dei crediti e/o dei beni e/o di qualsiasi altra utilità aventi un valore pari alla somma medesima, di proprietà o comunque nella disponibilità del L.P. ed altri indagati nell’ambito di un procedimento penale per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 (compimento di atti fraudolenti indirizzati a sottrarre disponibilità al pagamento di imposte).

Il Tribunale ha osservato che gli accertamenti della Guardia di Finanza, avevano riscontrato la sistematica commissione, da parte degli indagati, con il contributo determinante di soggetti pubblici, di operazioni fraudolente aventi il fine di sottrarre al pagamento delle imposte ingenti somme di danaro percepite a titolo di corrispettivo per lo svolgimento di servizi appaltati da enti pubblici, nel settore della raccolta e gestione dei rifiuti soldi urbani, mirando così a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva di ingenti debiti tributari ammontanti a decine di milioni di Euro gravanti sulle società titolari del rapporto di appalto.

Era stata verificata, Infatti, la anomala costituzione di una serie di società di capitali (s.p.a. e s.r.l., aventi quasi tutte la medesima sede legale in (omissis), la stessa compagine sociale e analogo oggetto sociale) da parte del “dominus” di tali operazioni illecite, G.S. (al quale erano riconducibili oltre cinquanta società, delle quali egli era stato od era rappresentante legate o liquidatore e molte delle quali si trovano in fase avanzata di liquidazione volontaria), che si era avvalso del contributo determinante dei coindagati.

Le società si erano avvicendate le une alle altre nella gestione dei servizi appaltati, al solo fine di rendere inattaccabili da eventuali azioni esecutive il patrimonio attivo e i crediti maturati nell’esecuzione di proficui contratti di appalto e di vanificare gli esiti delle eventuali procedure di riscossione degli ingenti debiti tributari intentate o intentabili dall’Erario nei confronti delle medesime persone giuridiche. Ciò veniva realizzato attraverso una serie costante di operazioni: la prima società (c.d. “madre”) si aggiudicava appalti pubblici su tutto il territorio nazionale relativi alla gestione di discariche e/o alla raccolta di rifiuti solidi urbani e gestiva quindi il servizio per un apprezzabile periodo di tempo durante il quale maturavano a favore dell’Erario ingenti crediti (tributari e commerciali), mai onorati e rispettati; onde sbarazzarsi di tali debiti e salvaguardare i profitti derivanti dai rapporti di appalto in essere, la società aggiudicatrice creava quindi una società c.d. “figlia” (per scissione e/o per cessione di ramo d’azienda o per altro artifizio sia pur formalmente lecito), alla quale trasferiva le sole componenti attive (immobilizzazioni, crediti privilegiati etc.) del suo patrimonio, nonchè la stessa gestione del servizio appaltati; la società c.d. “madre”, così spogliata di ogni bene o credito, carica soltanto di debiti, quindi infruttuosamente aggreditole dai creditori e dall’Erario, veniva poi posta in liquidazione volontaria ovvero sottoposta a concordato preventivo fallimentare.

Quanto alla posizione del L.P. in particolare, il Tribunale ha rilevato che questi, come responsabile dell’Area Economica Finanziaria dell’Ufficio del Commissario Delegato per il superamento della situazione di emergenza nel settore dei rifiuti urbani nel territorio della Regione Calabria, e come cofirmatario delle proposte di adozione di una serie di ordinanze commissariali specificamente indicate, nonostante fosse a conoscenza delle pendenze tributarie della Enerambiente spa (per avere ricevuto la notifica di atti di pignoramenti presso terzi) aveva ugualmente accettato, senza svolgere alcun controllo, il sub ingresso della Enertech nella posizione creditoria già vantata dalla Enerambiente spa (che per l’effetto si spogliava di ogni liquidità) e quindi aveva proposto di erogare alla Enertech rilevanti somme di danaro che invece sarebbero dovute confluire nel patrimonio della società Enerambiente ed essere in futuro utilizzate per estinguere gli ingenti debiti tributati maturati da quest’ultima.

In ordine agli ulteriori presupposti del disposto sequestro per equivalente, ha rilevato il Tribunale che emergeva dagli atti per un verso, come le somme indicate nell’atto ablativo fossero state distratte illecitamente, rappresentando quindi il profitto dei delitti in contestazione; per altro verso come fosse applicabile, per i reati fiscali, la confisca per equivalente (e, quindi, il sequestro ad essa finalizzato) non solo del prezzo del reato, ma pure del suo profitto. Nè erano ammissibili deduzioni riguardanti il valore dei beni effettivamente sequestrati, tenuto conto che trattavasi di questione che non atteneva alla legittimità del provvedimento gravato ma alla sua attuazione, tanto che la restituzione di quanto concretamente appreso in eccesso poteva sempre essere richiesta al pubblico ministero e, in caso di diniego, al giudice procedente, scomputando per differenza il valore dei beni in vinculis attraverso adempimenti estimatori rimessi esclusivamente alla fase esecutiva dei provvedimento ablativo (come rilevato da Cass. Sez. 1, n. 30790 del 30.5.2006).

2. Per l’annullamento della ordinanza, l’indagato L.P. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo con due motivi la violazione della legge penale (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, artt. 110 e 43 c.p. nonchè art. 322 ter c.p. e art. 321 c.p.p.) e la manifesta illogicità della motivazione rilevando in particolare:

– che trattandosi di reato Istantaneo di pericolo perfezionatosi al momento della alienazione del beni, sicchè non poteva ipotizzarsi il concorso del L.P. per una condotta posta in essere in un momento successivo alla consumazione e cioè al momento del pagamento delle somme al nuovo soggetto giuridico (primo motivo);

– che al più poteva ipotizzarsi il reato di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) mancando del tutto il fumus del concorso nel reato tributario per mancanza di una condotta integrante la partecipazione materiale o morale nel reato, ma in tal caso non poteva disporsi il sequestro per equivalente perchè il favoreggiamento non rientra tra i reati per i quali l’art. 322 ter c.p. consente una tale misura (secondo motivo nella prima articolazione);

– che, pur volendo ipotizzare il concorso nel reato tributario, mancando la prova del profitto del reato per il L.P., non poteva ordinarsi il sequestro per equivalente nei suoi confronti, perchè secondo la giurisprudenza anche il sequestro preventivo per equivalente funzionale alla futura confisca deve essere circoscritto alla quota di prezzo o di profitto attribuibile al singolo concorrente, potendo essere adottato per l’intero solo quando non sia possibile differenziare la quota, il sequestro potrà disporsi per l’intero importo del prezzo o del profitto, ma non quando risulti – come nel caso di specie, in cui lo afferma la stessa ordinanza – che il L.P. non ha conseguito alcuna quota del profitto del reato (secondo motivo nella seconda articolazione).

Motivi della decisione

1. Il primo motivo e la prima parte del secondo – da esaminarsi congiuntamente in quanto pongono entrambi il problema della sussistenza del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11) -sono infondati.

Questa Corte, esaminando il ricorso di altro coindagato, con una recentissima pronuncia – cfr. sentenza sez. 3 n. 38745 del 19.6- 4.10.2012) – ha affermato che la consumazione degli atti fraudolenti è stata logicamente ritenuta protrarsi sino, appunto, al momento dell’adozione delle ordinanze di liquidazione quali atti, anch’essi, idonei a dirottare in capo alla “Enertech”, costituita in scissione dalla precedente società “Enerambiente”, le somme su cui l’Erano avrebbe potuto rivalersi.

Nè può condividersi l’assunto del ricorrente secondo cui, invece, tali pagamenti rappresenterebbero un post factum rispetto ad atti già compiutamente fraudolenti quali la costituzione delle società “Enerambiente” ed “Enertech.

Pure se va ribadito, infatti, che il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 è un reato di pericolo concreto, che si consuma nel momento e nel luogo In cui venga posto in essere un atto simulato o fraudolento in grado di rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva (vedi Sez. 3, n. 23986 del 5.5.2011, *******), va tuttavia rilevato che la consumazione ben può prolungarsi sino a quando, in ipotesi di più atti tutti idonei a porre in essere una fraudolenta sottrazione, l’offesa abbia a permanere. Il delitto può consumarsi sia con un singolo atto fraudolento che integri l’intero disvalore del fatto, sta attraverso il compimento di una pluralità di atti che, pur restando singolarmente inidonei ad integrare il reato, raggiungano complessivamente quel grado di offensività necessario e sufficiente all’applicazione della norma.

Qualora il delitto (pure avendo esso natura di reato pericolo) sia realizzato mediante una pluralità di atti, il momento consumativo non può che coincidere con il termine dell’azione in cui si sostanzia la condotta (si veda, in proposito, quanto affermato da Cass., Sez. 3, n. 6251 del 22.12.2010, *****, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 513 cod. pan., anch’essa significativamente caratterizzata dalla adozione di “mezzi fraudolenti” posti in essere al fine di impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio).

Ne consegue che nella specie – caratterizzata da fraudolente scissioni societarie, dall’azzeramento delle posizioni creditorie dette società cedenti, dalla spoliazione di ogni consistenza patrimoniale delle stesse società debitrici verso l’Erario, dall’attribuzione alle nuove società (a tal fine create) di liquidità originariamente spettanti atte cedenti – correttamente deve ritenersi indicata in contestazione la commissione dei fatti come avvenuta in (omissis), luogo dove è avvenuto in concreto il dirottamento delle somme su cui l’Erario avrebbe potuto rivalersi.

Le esposte considerazioni escludono logicamente che possa ricorrere l’ipotesi del favoreggiamento reale (art. 379), precisandosi, per completezza espositiva, che quest’ultimo presuppone il già conseguito profitto del reato sottostante (cfr. cass. Sez. 1, Sentenza n. 7671 del 05/12/2000 Ud. dep. 23/02/2001).

Inoltre, il reato di favoreggiamento, sia personale (art. 378 c.p.), che reale (art. 379 c.p.), è di carattere residuale perchè si configura fuori dei casi di concorso nel reato e, pertanto, solo quando la condotta dell’autore non abbia fornito un contributo causale alla commissione dell’illecito (nel senso cioè che senza quel contributo il reato o non sarebbe stato commesso o sarebbe stato commesso con un programma diverso). Pertanto, nella qualificazione giuridica del fatto, è necessario verificare preventivamente la possibilità di riconoscervi gli estremi del concorso di persona e solo se questi non ricorrono il fatto stesso può essere qualificato giuridicamente, in presenza dei presupposti di questo reato, come favoreggiamento personale o reale (cfr. cass. Sez. 4, Sentenza n. 13784 del 24/03/2011 Ud. dep. 07/04/2011; Cass. Sez. 5, 17 gennaio 2007 n. 4997, ric. ******* e altri).

Di conseguenza, nel caso di specie, sussiste senz’altro – con riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente – il fumus del concorso nel reato di compimento di atti fraudolenti indirizzati a sottrarre disponibilità al pagamento di imposte e non di favoreggiamento reale, stante la sistematica omissione di controlli e il rilascio di proposte favorevoli al pagamento in favore della società Enertech di somme che invece sarebbero dovute confluire nel patrimonio della società titolare del rapporto originario (la Enerambiente) e che avrebbero potuto essere impiegate per estinguere i debiti tributali da quest’ultima maturati (e dal L.P. ben conosciuti), in quanto tale ripetuta attività costituisce un evidente contributo causale per la commissione del reato, che influisce in modo determinante sullo schema esecutivo dell’illecito e non realizza soltanto un mero aiuto per assicurare all’autore il prezzo, il prodotto o il profitto del reato.

Il Tribunale del riesame ha perciò correttamente qualificato la condotta del L.P. come concorso nel reato tributario, e non di favoreggiamento reale.

2. Infondato è, infine, il motivo con cui si deduce l’inapplicabilità dell’art. 322 ter c.p. per riconosciuta assenza del profitto da parte del concorrente dott. L.P..

Come già affermato da questa Corte (cfr. cass. Sez. 3 n. 38745 del 19.6-4.10.2012 cit), l’interesse oggetto di tutela diretta da parte della fattispecie incriminatrice di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 non è il diritto di credito del Fisco: infatti, pur costituendo questo il fine ultimo perseguito dal legislatore, la sua lesione non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessoria.

Deve condividersi, allora, l’orientamento dottrinario e giurisprudenziale (cass. sez. 3, 18.5.2011, n. 36290, Cualbu) secondo il quale il bene giuridico protetto va Individuato nella garanzia generica patrimoniale offerta al Fisco dai beni dell’obbligato.

Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, ************************* ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto del reato” contenuta nell’art. 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’art. 240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, *******; 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).

In questa prospettiva il “profitta” deve ritenersi costituito, nella specie, dalla riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio di Enerambiente sui quali il Fisco ha diritto di soddisfarsi, essendo irrilevante il dedotto mancato personale conseguimento da parte del L.P..

Va ricordato e ribadito, inoltre, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, il sequestro può Interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, sebbene la confisca non possa essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso (vedi Cass.: Sez. 5, 19.3.2010, n. 10810; Sez. 6, 5.5.2009, n. 18536; SS. UU., 2.7.2008, n. 26654).

Tale soluzione interpretativa, considerata la natura provvisoria del sequestro, è stata ritenuta corretta anche con riferimento ai principi contenuti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con la legge n. 848 del 1955), secondo la lettura sistematica data con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, sicchè è stato affermato che “una volta esclusa l’esistenza di vizi in ordine al fumus di reato nei confronti del ricorrente, nessuna illegittimità può essere ravvisata nel provvedimento di sequestro che, in funzione della futura possibile confisca anche per equivalente, venga disposto sui beni del singolo concorrente avendo come parametro l’intero ammontare del profitto derivante dal reato” (così cass., Sez. 3, 31.3.2010, n. 12580).

Principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente”, non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicchè si impone la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto.

Nella fattispecie in esame, alla stregua della individuazione dianzi delineata della nozione di “profitto” nel delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, il disposto sequestro – secondo quanto accertato dal giudice di merito – deve ritenersi correttamente correlato al crediti ed alle poste attive, riferiti all’attività svolta nella gestione dell’impianto tecnologico di Catanzaro-****, per complessivi Euro 2.978.091,54 (somma pari ai pagamenti effettuati a partire dal 26.1.2011 dal Commissario delegato alla Enertech in luogo della Enerambiente spa, sulla quale l’Erario avrebbe potuto far valere le proprie pretese creditorie).

In ogni caso, la restituzione di quanto si dovesse ritenere appreso in eccesso potrà essere richiesta al pubblico ministero e, in ipotesi di diniego, al giudice procedente.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione