Il dipendente-socio non è imputabile se come testimone non dice la verità (Cass. pen. n. 34960/2012)

Redazione 12/09/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del 5 giugno 2003 con cui il Tribunale di Palmi aveva condannato **** ad un anno e quattro mesi di reclusione, pena sospesa, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 372 c.p., perchè, deponendo come testimone nel processo davanti al giudice del lavoro di Palmi, nella causa tra L.A. e “Bar Sovrana s.a.s.”, affermava di avere visto il dipendente L. apporre la propria firma sulle buste paga della tredicesima e quattordicesima mensilità relative all’anno 1993, circostanza risultata falsa a seguito della perizia disposta nello stesso processo, che ha confermato la non autenticità delle sottoscrizioni apposte sui documenti indicati.

2. Nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato ******************.

Con il primo motivo ha contestato la ritenuta responsabilità del P. in ordine alla falsa testimonianza.

Con il successivo motivo ha eccepito una causa di non punibilità, in quanto l’imputato è risultato essere socio della parte convenuta in giudizio e come tale portatore di un interesse nel processo, situazione da cui sarebbe dovuta derivare la sua incapacità a testimoniare.

Con il terzo motivo si lamenta il mancato esame di un motivo dedotto in appello, con cui si deduceva l’inesistenza della testimonianza resa, in quanto avente ad oggetto fatti non rilevanti ai fini della decisione del giudice.

Con i motivi quarto e quinto si lamenta il mancato esame di un altro motivo, con cui si evidenziava che l’imputato aveva dichiarato ciò che ricordava, evidenziando in questo modo anche l’insussistenza dell’elemento soggettivo, dal momento che lo stesso P. ha affermato di essere stato convinto che L. avesse effettivamente sottoscritto quei documenti.

Con l’ultimo motivo si censura la sentenza sotto il profilo del trattamento sanzionatorio e per la mancata applicazione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 c.p., n. 4, nonostante la sua incensuratezza.

3. E’ fondato il secondo motivo con cui il ricorrente ha censurato la sentenza per non avere rilevato la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., comma 2.

Infatti, l’imputato è risultato essere socio della società convenuta nella controversia di lavoro instaurata da uno dei dipendenti, sicchè avendo un interesse nel processo non avrebbe dovuto essere sentito come testimone ai sensi dell’art. 246 c.p.c. L’interesse che rende una persona incapace a deporre si identifica, secondo il disposto dell’art. 246 c.p.c., con l’interesse giuridico, personale, concreto ed attuale a proporre una domanda o a contraddirvi, sia sotto l’aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto l’aspetto di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo dipendente.

Nel caso in esame, la qualità di socio del P., peraltro in una accomandita semplice, lo avrebbe legittimato ad intervenire nel processo, quantomeno in via adesiva. Si tratta di una valutazione che non comporta, in questo caso, alcuna valutazione di merito e che quindi può essere fatta in sede di legittimità, in base alla ritenuta e non discussa qualità di socio dell’imputato e al tipo di società in questione.

4. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in presenza della causa di non punibilità di cui al citato art. 384 c.p., comma 2.

L’accoglimento di questo motivo assorbe le altre questioni proposte nel ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 384 c.p., comma 2.

Redazione