Il dipendente pubblico che svolge abitualmente incarichi superiori ha diritto alle differenze retributive (Cass. n. 5550/2013)

Redazione 06/03/13
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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 19 settembre 2008, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta nei confronti dell’INPDAP da S.B., volta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive e di quelle relative all’indennità di anzianità per avere il S. svolto, in qualità di reggente, incarichi dirigenziali, e più precisamente quelli di direttore di talune sedi provinciali dell’Istituto.

Ha osservato la Corte territoriale, in sintesi, che dai documenti prodotti non risultava che fosse stata disposta nei confronti del S. alcuna formale immissione nel ruolo corrispondente a qualifica dirigenziale, ma solo la sua applicazione in reggenza presso i suddetti uffici, quale funzionario. Peraltro fra i compiti che potevano essere assegnati al S. vi era anche quello di sostituire il superiore. Ciò escludeva che la domanda potesse essere accolta.

Ricorre per cassazione S.B. sulla base di tre motivi.

L’INPDAP resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., allora in vigore, il ricorrente, denunziando violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 342 e 434 c.p.c., deduce che la sentenza impugnata ha accolto il secondo motivo di gravame proposto dall’INPDAP sotto il duplice profilo che nel pubblico impiego lo svolgimento delle superiori mansioni dirigenziali non comporta l’attribuzione della superiore qualifica e che egli non è stato immesso nel ruolo dirigenziale.

Aggiunge che tali elementi sono irrilevanti, posto che la domanda non aveva ad oggetto il conferimento della qualifica dirigenziale, ma il pagamento delle differenze retributive e di quelle relative all’indennità di anzianità per effetto delle superiori mansioni svolte.

2. Con il secondo motivo, seguito dal relativo quesito di diritto, il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 in relazione all’art. 36 Cost., e all’art. 2103 c.c..

Deduce che la sentenza impugnata, dopo avere affermato che la reggenza può configurarsi solo in caso di straordinarietà e temporaneità del conferimento delle funzioni dirigenziali, allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, non ha considerato che lo svolgimento di mansioni superiori oltre i limiti previsti per la reggenza avrebbe dovuto comportare l’accoglimento della domanda ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, salva la responsabilità del dirigente ove l’assegnazione fosse stata disposta con dolo o colpa grave.

3. Con il terzo motivo – per il quale è stato pure formulato il quesito di diritto, non richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., attesa la natura del vizio denunziato – il ricorrente, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, deduce che la sentenza impugnata dopo avere affermato che la reggenza è caratterizzata dalla straordinarietà e temporaneità dell’incarico, ha rigettato la domanda per non essere stata attribuita al ricorrente formalmente la qualifica di dirigente e per avere svolto, in reggenza, mansioni rientranti nella qualifica di funzionario.

Tali argomentazioni, ad avviso del ricorrente, sono illogiche e contraddittorie, atteso che, da lato, lo svolgimento per oltre dodici anni di incarichi dirigenziali in posti vacanti sulla base di formali provvedimenti di assegnazione non poteva rientrare tra i compiti straordinari, occasionali e temporanei della reggenza o delle funzioni vicarie; dall’altro gli incarichi dirigenziali costituivano mansioni proprie di una qualifica superiore.

4. Il ricorso – i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione – è fondato.

Questa Corte, in controversie analoghe alla presente, ha affermato il seguente principio di diritto: “Il D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dei Ministeri), dispone che il personale appartenente alla nona qualifica funzionale espleta, tra l’altro, le funzioni di sostituzione del dirigente in caso di assenza od impedimento, nonchè di reggenza dell’ufficio in attesa di destinazione del dirigente titolare; l’interpretazione della norma, nel rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), è nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità (“in attesa della destinazione del dirigente titolare”), con la conseguenza che la reggenza è consentita, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali” (Cass. 5 ottobre 2007 n. 20899; Cass. 30 gennaio 2009 n. 2534; Cass. 6 giugno 2011 n. 12193).

E’ stato altresì affermato che “Nel pubblico impiego privatizzato il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 è stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6, ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all’intero periodo transitorio. La portata retroattiva della disposizione risulta peraltro conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l’applicabilità anche nel pubblico impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonchè alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali” (Cass. 12193/11 cit.; conf. Cass. 91/2004; Cass. 9130/07).

Alla stregua di tali principi – ai quali questo Collegio intende dare continuità e che ribadisce in questa sede – la Corte territoriale non avrebbe dovuto rigettare la domanda del ricorrente, il quale – come è pacifico – senza alcun limite temporale e con continuità è stato adibito allo svolgimento di funzioni dirigenziali in posti vacanti per dodici anni, senza che l’Amministrazione si sia data carico di procedere alla copertura dei relativi posti.

Del tutto irrilevante è la circostanza, richiamata dalla Corte territoriale, che al ricorrente non sia stata attribuita formalmente la superiore qualifica dirigenziale: se così fosse stato, la controversia in esame non avrebbe avuto ragion d’essere, evidente essendo che all’attribuzione di tale qualifica e allo svolgimento delle relative mansioni era automaticamente connesso il pagamento delle corrispondenti retribuzioni (e della relativa indennità di anzianità).

Parimenti, priva di rilievo è la circostanza che il ricorrente aveva i titoli per potere sostituire, quale reggente, il titolare del posto vacante.

Una siffatta sostituzione poteva avvenire solo in via straordinaria, temporanea ed occasionale, in attesa della copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Al di fuori di tale ipotesi la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori, dando luogo agli effetti collegati allo svolgimento di tali mansioni.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati, provvedendo anche alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2012.

Redazione