Il diniego di colloquio fra imputato e difensore va eccepito prima dell’interrogatorio (Cass. pen. n. 38673/2013)

Redazione 19/09/13
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Svolgimento del processo

C.L. ricorre per Cassazione avverso la ordinanza applicativa della misura cautelare della Custodia in carcere emessa dal Giudice delle Indagini preliminari del Tribunale di Avellino.

Il ricorrente richiede l’annullamento della ordinanza impugnata e deduce: p.1.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) la violazione dell’art. 104 c.p.p., con conseguente nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c).

D ricorrente lamenta che all’udienza di convalida dell’arresto fissata per la data del 19.2.2013, prima dell’espletamento delle formalità per il compimento dell’atto, il difensore aveva eccepito la violazione del diritto di difesa ex art. 178 c.p.p., lett. c), perchè il giudice non aveva autorizzato un colloquio preliminare con l’indagato.

Il ricorrente lamenta che il giudice ha disposto ex officio (e non su richiesta della Procura della Repubblica) il divieto di colloquio, sul presupposto della necessità di svolgere l’interrogatorio ai fini del giudizio di convalida dell’arresto, per il quale l’art. 391 c.p.p. non prevede colloqui “propedeutici”, anche al fine di evitare l’alterazione della genuinità delle fonti di prova. In data 11.6.2013 la difesa ha depositato “motivi nuovi” da ritenersi tempestivi ex art. 311 c.p.p., comma 4, richiamando quando già esposto e segnalando la tempestività della deduzione della nullità a regime intermedio oggetto del presente ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Vanno preliminarmente richiamati in linea generale i seguenti principi:

A) il decreto del G.i.p. che dilaziona il diritto dell’indagato al colloquio con il proprio difensore ai sensi dell’art. 104 c.p.p., comma 3, non è autonomamente impugnabile nè può essere oggetto di riesame, non avendo la forma e il contenuto di un provvedimento applicativo di una misura coercitiva; il suddetto provvedimento può costituire oggetto di sindacato incidentale nell’ulteriore corso del procedimento, qualora abbia determinato una violazione del diritto di difesa che, se non eliminata con l’espletamento di un rituale colloquio, comporta la nullità dell’interrogatorio dell’indagato a norma dell’art. 178 c.p.p., lett. c), Cass. sez. 6 8.1.2009 n. 4960 ove è stato ritenuto che l’eventuale nullità dell’interrogatorio doveva essere eccepita innanzi allo stesso G.i.p. e, successivamente, al Tribunale del riesame ex art. 310 cod. proc. pen..

B) il Giudice delle indagini preliminari può disporre il differimento del colloquio dell’indagato con il proprio difensore solo a seguito di richiesta del Pubblico Ministero Cass. sez. 6 17.9.2009 n. 39941;

C) il provvedimento di differimento del colloquio con il difensore in vista della celebrazione dell’interrogatorio di garanzia è nullo se non motivato in ordine alle specifiche esigenze di cautela che ne hanno determinato l’adozione. Tale nullità è da ricomprendere tra quelle di ordine generale a regime intermedio e dunque, per essere trasmessa al successivo interrogatorio, deve essere eccepita nei termini di cui all’art. 182 c.p.p. e cioè prima dell’espletamento delle formalità di apertura dell’atto dell’interrogatorio Cass. sez. 4 12.7.2007 n. 39827; Cass. sez 2 16.1.1996 n. 176.

Dalla lettura del verbale della udienza, si evince che: a) il difensore ha richiesto l’autorizzazione ad avere un colloquio con il proprio assistito; b) il giudice ha rigettato la suddetta istanza, nell’esercizio dei poteri di direzione della udienza, senza che fosse quindi necessario un parere da parte del Pubblico ministero.

Dalla lettura del verbale si rileva ancora, che successivamente alla negazione del permesso di un colloquio, il difensore, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria contenente motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., non ha dedotto la nullità che ex art. 182 c.p.p. doveva essere eccepita subito dopo la lettura dell’ordinanza di reiezione della richiesta e prima del compimento dell’atto di interrogatorio al quale l’imputato non ha poi inteso rispondere.

La censura di nullità pertanto è stata dedotta tardivamente e per la prima volta nella presente sede, quindi fuori dai limiti segnati dagli artt. 180 e 182 c.p.p.. La tardività della deduzione, rende infondato il ricorso che deve essere rigettato. L’indagato va quindi condannato al pagamento delle spese processuali, mandandosi alla cancelleria per le comunicazioni di legge ex art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2013.

Redazione