Il diniego di autotutela è impugnabile solo per dedurre vizi di illegittimità del rifiuto (Cass. n. 10020/2012)

Redazione 18/06/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che è stata depositata la seguente relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“1. – Il contribuente ricorre per cassazione, con sette motivi, nei confronti della sentenza della commissione tributaria regionale del Veneto, n. 4/7/2010, che ha dichiarato, riformando la decisione di primo grado, l’inammissibilità di un ricorso per l’annullamento in autotutela di tre avvisi di accertamento per Irpef, Ilor, contributo al s.s.n. e addizionali regionali (anni 1997, 1998, 1999).

L’intimata ha resistito con controricorso.

2. – La sentenza riferisce che l’istanza in autotutela era stata disattesa “in quanto gli avvisi di accertamento erano stati ritualmente notificati e mai impugnati”. Sostiene che il contribuente, nel ricorso introduttivo, aveva impugnato il diniego di autotutela “senza addurre l’esistenza di alcun interesse pubblico all’annullamento”. Ha quindi dedotto che il ricorso era in verità finalizzato a dare ingresso a una controversia sulla legittimità di provvedimenti oramai definirvi, e che nessuna posizione soggettiva tutelabile potevasi riscontrare in capo al ricorrente.

3. – I motivi del proposto ricorso per cassazione – (primo motivo:

violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 19, stante la tassatività della cause di inammissibilità dell’impugnazione avverso gli atti tributar e l’asserita omessa valutazione degli “interessi implicati”; secondo, terzo e quarto motivo: violazione e falsa applicazione dei medesimi art. e con essi del D.L. n. 546 del 1994, art. 2-quater, conv. in L. n. 656 del 1994, e relativo regolamento di esecuzione; quinto motivo, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione stante anche la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7; sesto motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 per inammissibilità di eccezione proposta per la prima volta in appello; settimo motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla denunciata carenza della motivazione dell’atto impugnato) – non involgono la considerazione previa, di definitività degli avvisi di accertamento.

Donde si infrangono col consolidato orientamento di questa Corte che ha reiteratamente affermato che il contribuente, che richiede all’amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, deve prospettare l’esistenza di “un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione” alla rimozione dell’atto.

Ne consegue che contro il diniego dell’amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 11457/2010; n. 16097/2009). Giacchè fuori dalla ridetta situazione, l’atto con il quale l’amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo – stante la relativa discrezionalità – non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle commissioni tributarie (v. sez. un. n. 3698/2009).

4. – Nel caso di specie non risulta dal ricorso indicato – ciò rilevando anche in termini di mancanza di autosufficienza quale interesse dell’amministrazione sia stato posto a presidio dell’istanza di annullamento in autotutela. Con la conseguenza che il ricorso medesimo, niente deducendo al fine di determinare un mutamento della ripetuta (consolidata) giurisprudenza di questa Corte, va ritenuto inammissibile a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1″;

– che il collegio condivìde il contenuto della relazione;

– che peraltro reputa di uniformarsi al principio di diritto enunciato da sez. un. n. 19051/2010, così da definire il ricorso con pronuncia di rigetto per manifesta infondatezza dei motivi;

– che le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000,00 oltre le spese prenotate a debito.

Redazione