Il datore deve rimborsare al dipendente le spese per il lavaggio della divisa (Cass. n. 19579/2013)

Redazione 26/08/13
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Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di Roma, S.S., G.G., ****, ******, D.M., P.G., V.F., I. R., M.D., ****, C.G. proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato le loro domande proposte nei confronti della loro datrice di lavoro, Sodexo Italia S.p.A., per sentirla condannare al pagamento in loro favore della somma mensile di Euro 50,00, corrispondente al costo del lavaggio dei loro abiti da lavoro di addetti al servizio mensa.

Censuravano la sentenza gravata per non aver adeguatamente valutato sia la previsione dell’art. 124 c.c.n.l. turismo pubblici esercizi, sia gli specifici obblighi contrattuali assunti dalla società datrice.

Radicatosi il contraddittorio, l’adita Corte d’appello, con sentenza depositata il 4 marzo 2010, accoglieva le domande dei lavoratori. Per la cassazione propone ricorso la Sodexo, affidato ad unico, articolato, motivo.

Resiste il solo S. con controricorso, mente gli altri lavoratori sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

1.- La società Sodexo Italia censura la sentenza impugnata ex artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Lamenta in particolare che i lavoratori in epigrafe erano,od erano stati,dipendenti della Sodexo Italia s.p.a., azienda di ristorazione collettiva, in favore di uffici, enti pubblici e privati, sanità, che, fra gli altri, ha tra i suoi clienti le 7 sedi RAI in Italia.

Lamenta che nessuna fonte, legale, contrattuale ovvero derivante da usi, imponeva all’azienda di sopportare il costo del lavaggio della divisa di lavoro, la cui fornitura e costo pure ammetteva essere tenuta a sostenere in base al c.c.n.l. di categoria, e che i dipendenti pur erano obbligati ad indossare durante il lavoro.

Lamenta tuttavia che l’art. 124 del c.c.n.l. di categoria vigente all’epoca dei fatti e non meglio individuato, così come il precedente c.c.n.l. del 1976, non prevedeva(no) alcunchè per il lavaggio, ed anzi stabiliva(no) l’obbligo della divisa solo in caso in cui i dipendenti fossero a contatto con particolari sostanze (imbrattanti o corrosive).

Negava l’esistenza di prassi aziendali in tal senso e contestava la giurisprudenza affermatasi sul punto unicamente con riferimento alle divise obbligatoriamente utilizzate dal personale addetto alla nettezza urbana, che assumevano in tal caso, ed a differenza delle divise oggetto di causa, natura di presidio protettivo ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994.

1.1- Il ricorso è in larga parte inammissibile per non avere chiarito la ricorrente le norme di legge violate, mentre quelle contenute nell’invocato c.c.n.l. non possono esaminarsi a causa della mancata produzione, o specificazione in ricorso, del contratto (Cass. sez.un. 3 novembre 2011 n. 22726; Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).

Per completezza espositiva può rilevarsi, nel merito, che nella specie è pacifico, e la Corte di merito ha comunque accertato, che nel contratto di appalto tra la Sodexo Italia e la Rai la prima si fosse obbligata a dotare il personale “di cuffie, grembiuli e divise sempre pulite”.

Ne discende, pianamente, che l’azienda è tenuta a dotare il personale di divise sempre pulite, e dunque di sopportarne il relativo costo, sicchè (cfr. Cass. n. 23314 del 2010; Cass. n. 22929 del 2005, pur inerenti le divise del personale addetto alla nettezza urbana) dal suo inadempimento consegue l’obbligo di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Peraltro lo stralcio dell’art. 124 c.c.n.l., riportato dalla stessa società Sodexo Italia a pag. 6 del ricorso, prevede che “quando viene fatto obbligo al personale di indossare speciali divise, diverse da quelle tradizionali di cui all’art. 98 del c.c.n.l. 14 luglio 1976, la spesa relativa è a carico del datore di lavoro”. Nella specie non è adeguatamente chiarito, in contrasto col principio di autosufficienza del ricorso, quali siano le speciali divise di cui alla pretesa norma contrattuale collettiva, e soprattutto quali quelle, diverse, di cui al menzionato art. 98 del c.c.n.l. del 1976, non risultando, come detto, depositati o riprodotti in ricorso relativi documenti.

Deduce poi la ricorrente che la tesi della Corte di merito -secondo cui dalla clausola del contratto di appalto, vincolante solo tra l’appaltante e l’appaltatrice, derivasse una prestazione in favore di terzi- era illegittima, non prevedendo l’ordinamento effetti del contratto in favore di terzi se non nei casi previsti dalla legge (pag. 10 ricorso).

La censura è infondata, posto che l’art. 1411 c.c. stabilisce che è sempre valida la stipulazione di un contratto a favore di terzi, purchè lo stipulante vi abbia interesse. Nella specie è indubbio che la società appaltante, che risulta aver esplicitamente inserito nel contratto di appalto che l’appaltatrice era obbligata a far indossare ai lavoratori una divisa di lavoro (cuffie, grembiuli e divise) “sempre pulita”, ha evidentemente interesse a ciò, sicchè non contrasta col principio di cui alla citata norma codicistica, l’obbligo della datrice di lavoro di sostenere le spese di lavaggio (o di rimborsare al lavoratore quelle a tal scopo personalmente sostenute).

Il ricorso deve pertanto respingersi essendo la ratio decidendi ora esaminata corretta ed idonea a sorreggere il decisum della sentenza impugnata.

Le spese, con riferimento all’unico intimato costituito, seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore dell’avv. *****************, dichiaratosi antecipante.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore dello S., che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. *****************. Nulla per le spese quanto alle parti rimaste intimate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2013.

Redazione