Il CSM nega l’autorizzazione ad un magistrato a svolgere consulenze a organismi dei servizi segreti (Cons. Stato n. 3538/2013)

Redazione 01/07/13
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Fatto

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellato -omissis- l’annullamento della delibera del CSM con la quale era stata respinta la propria richiesta di espletare l’incarico di consulente del Cesis (incarico tendenzialmente annuale, prorogabile, di importo pari a circa 30.000 Euro).

Erano state prospettate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

A seguito dell’accoglimento della domanda cautelare proposta dall’appellato (confermata in appello) e del ricorso per l’ottemperanza alla domanda cautelare (con ordinanza parimenti confermata in appello) il Consiglio Superiore si era nuovamente pronunciato con deliberazione del 2005.

Ivi aveva nuovamente negato l’autorizzazione – seppur omettendo di fare nuovamente richiamo al comma 1 dell’articolo 7 della legge 24 ottobre 1977, n.801, che vietava ai magistrati di essere alle dipendenze dei servizi segreti, in modo organico e saltuario, tanto che la relativa censura è stata dichiarata improcedibile nel merito dal Tar.

Il Tar, soffermandosi su tale ultima deliberazione l’ha annullata.

Avverso la detta decisione l’Amministrazione ha proposto appello, evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata, criticandola in ogni sua parte e riproponendo le eccezioni disattese dal Tribunale amministrativo regionale.

In particolare, nel sostenere che l’intero procedimento valutativo era stato deviato e viziato dalla circostanza che non era stata articolata apposita impugnazione avverso la “nuova” delibera del 2005, ha fatto presente che una accurata ponderazione ed istruttoria era ravvisabile nella condotta dell’amministrazione appellante ed il Tar aveva indebitamente esercitato un sindacato di merito.

Alla pubblica udienza dell’11 giugno 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

Diritto

1.L’appello è fondato e va pertanto accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma della decisione di primo grado e reiezione del mezzo di primo grado, con salvezza, dunque, degli atti impugnati

1.1.Va anzitutto escluso che – come sostenuto dall’appellante difesa erariale- il provvedimento sopravvenuto (delibera del 15 giugno 2005) dovesse essere oggetto di nuova ed apposita impugnazione. Invero detto nuovo deliberato era stato reso per far fronte al dictum cautelare del Tar del Lazio (ordinanza cautelare n. 1727/2005) successivamente “confermato” in sede di ricorso in ottemperanza.

1.2. Detta nuova delibera confermativa del diniego, quindi, se ha determinato la improcedibilità del mezzo originario nella parte in cui si censurava l’errata interpretazione della legge n. 801/1977, non necessitava di nuova ed autonoma impugnazione nella parte in cui ribadiva le ragioni sottese al diniego “limitandole” a problematiche di opportunità “in concreto” in relazione a quanto previsto dal punto 4 lett. A e B della circolare 15207 del 16 dicembre 1987.

1.3. Essa, peraltro, ottemperava a quanto richiesto nella ordinanza cautelare del Tar, laddove si era rilevata la necessità di valutare i profili del detto incarico, approfondendo i contenuti della nota del Segretario Generale del Cesis (quest’ultima già presente agli atti del procedimento, allorché venne resa la delibera gravata con il ricorso introduttivo del giudizio, poi “ribadita” dal Csm).

2.- Venendo al merito delle censure proposte dalla difesa erariale, non colgono nel segno gli argomenti volti a sostenere un travalicamento della giurisdizione di legittimità ed un indebito sindacato del Tar esteso al merito.

2.1. In particolare, di detto asserito “eccesso di potere giurisdizionale” non sussiste alcuna evidenza sintomatica, laddove si consideri che il parametro preso in esame dal Consiglio Superiore per negare l’autorizzazione riposava proprio in valutazioni di inopportunità.

2.2. Ammettere che l’atto sia sindacabile giudizialmente (la difesa erariale dell’amministrazione appellante non si spinge a negare detto assunto) e negare che ciò possa avvenire prendendo in esame il parametro (unico) posto a sostegno della reiezione, implica svuotamento della premessa maggiore e negazione del diritto di difesa.

Il che, ovviamente, non significa che l’organo giurisdizionale possa sostituire il proprio convincimento a quello dell’organo di amministrazione attiva: implica invece che in sede giurisdizionale vi è (rectius: vi “deve” essere, a Costituzione e legislazione vigente) la possibilità di valutare se, alla stregua degli atti di causa, ed in considerazione delle motivazioni fornite dal Csm, vi sia armonia logica tra il giudizio finale e le premesse documentali.

E” ben vero che una simile tematica rimette alla amplissima discrezionalità valutativa dell’Amministrazione il compito di vagliare se l’incarico fosse compatibile con il permanere del prescelto nell’ordine Giudiziario e con lo svolgimento di funzioni giurisdizionali: ma ciò non implica certo la insindacabilità dell’atto o la preclusione a vagliarne vizi quali l’abnormità o la manifesta contrarietà.

2.3. Escluso quindi, che si sia verificato alcuno straripamento, resta da verificare se la sentenza resista alle censure proposte e se, in concreto, il Tar abbia esercitato correttamente il proprio sindacato (seppur nel ristretto ambito prima tratteggiato).

2.4. A tal riguardo, va rammentato che la sentenza gravata ha individuato una fondamentale criticità nella delibera reiettiva gravata.

Essa riposava nel sostanziale travisamento, in punto di fatto, della “risposta” fornita dal Segretariato del Censis al Consiglio Superiore con nota del 3.2.2004.

Ivi, infatti, si era chiarito che trattavasi di una attività di consulenza nell’ambito di un progetto di riforma, comportante un limitato impegno non soggetto a cadenze temporali fisse.

La motivazione reiettiva che costituiva l’interfaccia di tale nota, però, muoveva dalla definizione del rapporto quale “consulenza”, paventando da questa rischi all’autonomia ed indipendenza del Magistrato e si appuntava sull’entità del compenso stabilito, di fatto “reinterpretando” la predetta nota.

2.5. Ritiene il Collegio che la sentenza non sia esatta e che la delibera del Csm gravata fosse immune da vizi.

2.5.1. Invero la nota del 3.2.2004 in oggetto proveniente dal Segretariato del Cesis si era soffermata sulla natura dell’attività richiesta al Magistrato (interpretazione di norme giuridiche, in un quadro di aspirazione alla riforma complessiva del sistema) e la definizione di “consulenza” ivi fornita appare del tutto neutra.

Tale attività (che costituisce il proprium di un rapporto “collaborativo esterno” richiesto ad un magistrato), doveva essere prestata in collocazione esterna alla struttura (allo stesso non era richiesta alcuna continuativa presenza in situ).

Sennonché il Consiglio Superiore, con valutazione che non appare abnorme e che pertanto non è, in concreto, giudizialmente aggredibile con successo, ha vagliato i contenuti dell’incarico ed ha ritenuto che lo stesso, per come prospettato, non sfuggisse a margini di contraddittorietà/ambiguità; e che ciò potesse introdurre rischi per l’autonomia ed indipendenza del Magistrato.

2.5.2. La reiezione non appare apodittica con riferimento al parametro del compenso pattuito, in quanto, effettivamente, coglie una contraddizione tra l’entità dell’impegno prospettato (in tesi, assai modesto) e l’importo del compenso assegnato.

Di qui, il fondamento della reiezione. Un simile compenso si sarebbe potuto giustificare se l’impegno richiesto fosse stato maggiore (e se così fosse, si sarebbero potute profilare problematiche di altra natura ed una doverosa valutazione sulla conciliabilità di tale impegno con quello magistratuale).

A fronte dell’impegno prospettato, esso appare sproporzionato (rectius: non appare né abnorme né illogica la valutazione dell’Amministrazione in tal senso).

2.5.3. Non ritiene, appunto, il Collegio che la detta valutazione del Csm presentasse margini di abnormità od illogicità.

Invero la previsione del compenso e la proporzione di quest’ultimo all’onere richiesto deve necessariamente essere rapportata ad un unico elemento: il presumibile impegno di studio ed elaborazione richiesto all’incaricato.

La circostanza che esso non prospetti una penetrante ed impegnativa attività “giuridica” non muta i termini della tipologia di incarico (che rimane pur sempre una “consulenza”, legata ad una tempistica non prefissata e senza obbligo di presenza), ma ben implica che si vagli la corrispondenza tra impegno richiesto e compenso prefissato.

Da tale carenza di corrispondenza ben si potevano ex se trarre elementi per disattendere la richiesta, ipotizzando una previsione di compenso di natura “eccessiva” rapportata all’impegno descritto.

Non v’è alcun atteggiamento di sfiducia espressa verso quanto attestato nella predetta nota del Segretariato del Cesis: quest’ultima non è stata “sindacata” espressamente, né formalmente dal Csm; e neppure sono state poste in dubbio le affermazioni contenute nella citata nota.

V’è una valutazione – soggettiva è ovvio, ma non certo abnorme- e pienamente rientrante nella discrezionalità dell’Amministrazione, che il Tar avrebbe potuto demolire unicamente laddove vi avesse evidenziato profili di manifesta illogicità.

Non è la reiezione, quindi, che appare illogica, laddove ha colto, si ripete, la sproporzione impegno/compenso, ma è semmai la sentenza che appare contraddittoria, laddove, pur non evidenziando profili di manifesta illogicità, ha accolto il mezzo di primo grado.

In termini più stringenti, la delibera reiettiva afferma che: o l’impegno richiesto al magistrato è maggiore (ed allora l’entità del compenso sarebbe giustificabile, ma l’incarico impingerebbe sulla ordinaria attività del Giudice), ovvero l’impegno richiesto è effettivamente quello ipotizzato (ed allora il compenso sembra eccessivo, e quindi introdurrebbe un rischio alle prerogative di indipendenza, di fatto preconizzando una “chiamata di favore”). La circostanza che non fosse stata nominata una commissione e che ci si fosse affidati ad un unico Magistrato – anche se particolarmente esperto sotto il profilo giuridico -implicava che questi sarebbe stato l’unico terminale ricettivo dei quesiti giuridici da approfondire nella delicata materia.

Alla luce di ciò, non essendo meglio chiariti connotati della supposta attività complessiva di studio tendente ad elaborare progetti di riforma sistemici, pare al Collegio che neppure possa considerarsi errato il ragionamento ipotetico svolto dal Csm.

La reiezione, dunque, si fonda su elementi non abnormi, dimostrati, e valuta in chiave reiettiva un elemento (trattavasi di consulenza “individuale” e non afferente ad una attività da espletarsi in seno ad una commissione) che non è distonico rispetto a detta valutazione negativa.

3. L’appello va pertanto accolto e la sentenza va riformata, con reiezione del ricorso di primo grado.

4. Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e, pertanto, l’appellato deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore dell’ appellante amministrazione, in misura che appare equo quantificare in Euro 5000,00 (Euro cinquemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della gravata decisione, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellato al pagamento delle spese processuali del doppio grado in favore dell’appellante amministrazione, nella misura di Euro 5000,00 (Euro cinquemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi di (omissis), manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013

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