Il creditore non è obbligato a chiedere la cancellazione delle ipoteche una volta che si è estinto il debito (Cass. n. 15435/2013)

Redazione 20/06/13
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Grosseto il 18 novembre 2002 rigettava la domanda proposta contro la OMNIA CONSUL s.r.l. da L.S. e volta ad ottenere il risarcimento dei danni asseritamene subiti per mancata cancellazione di ipoteche per il periodo successivo all’estinzione del suo debito avvenuta dopo il settembre 1998.
Nell’occasione il Tribunale riteneva la domanda sfornita di fondamento probatorio poiché le prove orali capitolate dalla L. si palesavano inammissibili per difetto di specificità e compensava le spese per metà.
Su gravame della L. la Corte di appello di Firenze il 20 marzo 2007 ha confermato la sentenza di prime cure.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la L. affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso la OMNIA CONSUL s.p.a.
La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo (p.6 ric.) la ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe respinto la domanda risarcitoria sul presupposto che mancasse la prova, di cui ella era onerata, del pregiudizio alla libera commerciabilità del bene, derivante dall’omessa cancellazione della ipoteca.
Ad illustrazione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto (p.11):
La mancata cancellazione dell’ipoteca cui il creditore era obbligato ex art. 2882 c.c., cui è seguita la pronuncia giudiziale di cancellazione ex art. 2884 c.c., produce di per sé, ex art. 2043 c.c., un danno al debitore che è da considerarsi in re ipsa, senza che il debitore sia onerato della prova in concreto di aver deciso di alienare il bene e di essere stato impossibilitato a farlo per la presenza del vincolo, quindi di aver sofferto pregiudizio alla libera circolabilità e commerciabilità del bene, in danno in questione, per quanto riguarda l’ammontare, per quanto riguarda l’ammontare, potrà essere quantificato equitativamente dal giudice, ove ne ricorrano i presupposti, che vi procede quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione in applicazione dell’art. 1226 cod.civ, norma che presuppone l’esistenza ontologica del danno.
In altri termini, la ricorrente sostiene che la mancata cancellazione dell’ipoteca, cui è obbligato il creditore ex art.2882 c.c., produce di per sé un danno, per cui il debitore è esonerato dalla prova in concreto di avere deciso di alienare il bene e di essere stato impossibilitato a farlo per la presenza del vincolo e, quindi, è esonerato dalla prova di avere sofferto pregiudizio alla libera commerciabilità dello stesso, per cui il danno, ricorrendone i presupposti, ben avrebbe potuto essere liquidato equitativamente.
2.-Con il secondo motivo (p.12) la ricorrente lamenta la “estrema genericità e lacunosità” della motivazione con la quale il giudice dell’appello ha interpretato con “eccessivo formalismo” l’art.244 c.p.c, disattendendo, a suo avviso, l’indirizzo giurisprudenziale per cui i dettagli possono e devono essere oggetto della dialettica processuale, dovendosi limitare il capitolo di prova a descrivere i dati essenziali che devono essere presenti.
Ad illustrazione del motivo vengono formulati i seguenti quesiti di diritto (p.26-28):
Il vizio di nullità della sentenza e del procedimento per la violazione dell’art. 244 c.p.c. consiste nel fatto che la Corte di appello ha dichiarato inammissibili le richieste di prove testimoniali ritualmente dedotte perché eccessivamente generiche, disattendendo il principio per il quale la necessità di una indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all’oggetto della prova, cosicché, qualora questa riguardi un comportamento o un’attività che si frazioni in circostanze molteplici, è sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attività, in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso, spettando peraltro al difensore e al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttori, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali, l’eventuale individuazione dei dettagli. Il vizio di motivazione si rinviene nel fatto che la Corte ha disatteso le richieste di prove considerando le stesse generiche, senza un attento, specifico e dettagliato esame delle stesse, delle circostanze che esse intendevano provare, della possibilità di una loro migliore specificazione in sede di esame dei testi, della possibilità di dare un contenuto dettagliato delle stesse con il semplice raffronto con i documenti e gli atti di causa, esprimendo nelle stesse un giudizio generale e superficiale, privo di concretezza e di riferimento specifico ai motivi per i quali ogni singolo capitolo (o gruppi di capitoli riguardanti la stessa circostanza da provare) fosso inammissibili.
La disposizione dell’art.244 c.p.c. sulla necessità di un’indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in senso rigorosamente formalistico, ma in relazione all’oggetto della prova, cosicché, qualora questa riguardi un comportamento o un’attività che si frazioni in circostanze molteplici è sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attività in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso, spettando peraltro al difensore e al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttorio, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali l’eventuale indicazione dei dettagli.
3.-Osserva il Collegio che entrambe le censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto rivolte a contestare, in quanto erronea, la decisione impugnata sul difetto probatorio per genericità della prova dedotta.
3.1.- In ordine al primo motivo va affermato che la obbligazione del creditore di prestare il proprio consenso alla cancellazione dell’ipoteca, una volta che il debito si è estinto, riveste natura contrattuale, per cui doveva l’attuale ricorrente dare la prova di aver subito il danno, posto che il creditore non è obbligato a chiedere di sua iniziativa la cancellazione, gravando l’adempimento dell’obbligo al consenso su chiunque vi abbia interesse e a maggior ragione sul proprietario dell’immobile (Cass. n. 10893/99).
Nel caso in esame premesso che le ipoteche relative agli anni 1978 e 1979 in cui la OMNIA CONSUL si era surrogata ai vecchi creditori dopo aver pagato i debiti della L. non furono rinnovate, va detto che alla scadenza del ventennio era necessario il consenso del creditore ex art. 2878 c.c. per la cancellazione perché la iscrizione era pregiudizievole per il proprietario ipotecato, ma nella specie, non c’è stata alcuna mancanza illegittima.
Del resto, la illustrazione del primo motivo ed il relativo quesito non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale “fino all’ottobre 1998 la persistenza delle iscrizioni ipotecarie era assolutamente legittima” (p.4 sentenza impugnata).
In tal modo argomentando, il giudice dell’appello anche se invia concisa, mostra di avere esaminato la documentazione e di avere considerato che dalla stessa emergeva quanto dedotto dall’attuale resistente, ossia che se ci è stato un mancato consenso alla cancellazione, tale mancanza non era illegittima per il semplice fatto che residuava un saldo di debito a carico della stessa L. , allorché nell’illustrare il secondo motivo afferma che” si evinceva dai documenti prodotti in atti” il fatto che fossero fallite le trattative per l’acquisto di un immobile di sua proprietà, posto in Orbetello e questa circostanza si riferiva al momento in cui la OMNIA CONSUL era stata quasi integralmente soddisfatta del credito con il versamento della somma di ben 200 milioni di lire; mentre rimaneva un saldo di circa 53 milioni di lire e ciononostante la stessa si era rifiutata di collaborare per la cancellazione, nonostante che parte del ricavato della vendita sarebbe servito per sanare definitivamente l’esposizione debitoria (p. 23-24 ricorso).
In altri termini, non essendo stato estinto il debito nella sua totalità, legittimo fu il mancato consenso.
3.2-Venendo al secondo motivo, proprio la natura contrattuale dell’obbligazione del creditore avrebbe dovuto indurre la ricorrente a provare l’asserito danno, che non è in re ipsa, considerato che la stessa ricorrente riferisce che dai documenti prodotti si evince che i capitoli di prova riguardavano l’anno 1997 e i testi indicati avrebbero dovuto dichiarare che essi erano interessati all’acquisto di un suo immobile, acquisto che condizionavano alla cancellazione e che la OMNIA CONSUL si sarebbe rifiutata di procedere alla cancellazione (p.23 ricorso), ma nulla di più sostiene su quell’asserito rifiuto, limitandosi ad evidenziare la esistenza di trattative che non sarebbero andate a buon fine e su cui i testi avrebbero dovuto testimoniare.
Ne consegue che la valutazione del giudice dell’appello di estrema genericità del capitolo di prova anche per ciò che attiene la conoscenza delle circostanze ivi descritte non merita censura.
Non solo, ma come è noto, l’obbligazione del creditore a prestare il proprio consenso nelle forme prescritte dalla legge (artt. 2882 comma 2, 2821 e 2835 c.c.) alla cancellazione, dovendo in caso contrario rispondere dei danni ed, altresì di attivarsi nei modi più adeguati alle circostanze, affinché il consenso cosi prestato pervenga al debitore, nasce solo a seguito dell’estinzione dell’intero debito, potendo egli, eventualmente rinunciare a tale integrale adempimento, in base ad una scelta di opportunità ed in tal modo derogando alla disciplina codicistica, non avendo la normativa in parte qua natura di norma imperativa.
Infatti, il creditore non è obbligato di sua iniziativa a chiedere detta cancellazione, mentre, per converso, grava su chiunque vi abbia interesse l’onere di chiedere la cancellazione e, quindi, in primo luogo sul debitore, proprietario dell’immobile soggetto a vincolo (Cass. n.10893/99).
Da quanto finora osservato, si evince, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, che non vi è stato alcun fatto colposo del creditore, allorché ha ritenuto di “non collaborare” con la debitrice, che avrebbe dovuto provare questo suo asserito controdiritto ex art. 2697 c.c. (controdiritto che nel caso in esame non si può ritenere configurabile né risulta configurato).
4.-Con il terzo motivo (p.28) in estrema sintesi, la ricorrente assume che se fosse stata esaminata la documentazione prodotta si sarebbe pervenuto ad una decisione diversa.
I documenti proverebbero la presenza di soggetti interessati all’acquisto dei beni in concomitanza con la soddisfazione integrale del credito.
Ciò affermando la ricorrente riconosce che il credito non era del tutto estinto e, peraltro, si tratta di documenti (p.31 ricorso), come fa rilevare la resistente (p.12), tutti anteriori al maggio 1998 quando il debito fu definitivamente saldato e, quindi, implicitamente il giudice dell’appello li ha ritenuti irrilevanti e non li ha esaminati, non essendo egli tenuto ad esaminare quelle produzioni che non offrano efficacia probatoria ai presupposti di fatto su cui si sostanzia la pretesa.
Ne risulta che il richiamo a Cass. n. 9368/06 non risulta di conforto alla tesi profilata e sostenuta con la censura.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1900 di cui Euro 200 per spese, oltre accessori come per legge.

Redazione