Il Consiglio di Stato interviene a tutela dei portatori di handicap (Cons. Stato n. 6253/2012)

Redazione 05/12/12
Scarica PDF Stampa

FATTO

I signori ***************, ******** e *********** hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale la Sezione di Pescara del T.A.R. dell’Abruzzo ha respinto il ricorso dagli stessi proposto avverso il diniego opposto dal Comune di Loreto Aprutino alla loro domanda di permesso di costruire avente a oggetto l’installazione di un ascensore esterno a un immobile del quale essi sono comproprietari, inteso ad agevolare l’accesso e la mobilità in particolare della sig.ra D., affetta da gravi difficoltà di deambulazione a causa dell’età avanzata.

A sostegno dell’appello, gli istanti hanno dedotto:

1) difetto di motivazione per omessa pronuncia ed ultrapetizione circa il primo motivo di ricorso ad oggetto violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ.; eccesso di potere per difetto di istruttoria; falso presupposto di fatto e di diritto (in relazione alla censura con la quale si era denunciato come l’ascensore per cui è causa non potesse qualificarsi come “costruzione” ai sensi e per gli effetti dell’art. 873 cod. civ., e comunque non potesse il Comune denegare il permesso di costruire sulla scorta di un diritto rinunciabile dei proprietari confinanti, i quali non risultavano essersi mai opposti all’intervento);

2) difetto di motivazione in relazione al secondo motivo di ricorso portante violazione di legge ex art. 79, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, legge 9 gennaio 1989, nr. 13, d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, e art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; eccesso di potere per difetto di istruttoria; falso presupposto di fatto (in relazione all’avere il T.A.R. ritenuto non applicabile la deroga alle distanze prevista per l’ipotesi in cui fra i due edifici vi sia uno “spazio” o una “area di proprietà o di uso comune”);

3) illogicità, ultrapetizione, difetto di motivazione e contraddittorietà sul terzo motivo di ricorso portante violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 79, comma 2, del d.P.R. nr. 380 del 2001 e dell’art. 3, comma 2, della legge nr. 13 del 1989 e della legge 5 febbraio 1992, nr. 104, come interpretati alla luce dei principi ex artt. 2, 3, 32 e 42 Cost.; eccesso di potere per difetto di istruttoria; illogicità manifesta (in relazione alla prevalenza da assegnare al diritto alla salute ed alla vita di relazione dei soggetti portatori di handicap, in funzione dei quali è stata adottata la normativa sull’eliminazione delle cc.dd. barriere architettoniche).

In conclusione, parte appellante ha reiterato l’istanza risarcitoria già formulata nel ricorso introduttivo.

Si è costituito il Comune di Loreto Aprutino, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento del gravame e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Alla camera di consiglio del 5 giugno 2012, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questa è stata differita sull’accordo delle parti, per essere abbinata alla trattazione del merito.

Entrambe le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 16 ottobre 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo all’installazione di un ascensore esterno all’immobile sito in Loreto Aprutino alla via (omissis); detto impianto dovrebbe servire a risolvere i problemi di accesso e mobilità della sig.ra ********, residente nell’immobile in questione ed una degli odierni appellanti, la quale a causa dell’età avanzata e delle conseguenti difficoltà di deambulazione ha serie difficoltà ad uscire e rientrare presso la propria abitazione sita al terzo piano.

Tuttavia, la richiesta di permesso di costruire intesa alla realizzazione del predetto ascensore è stata respinta dall’Amministrazione comunale col provvedimento gravato in prime cure nel presente giudizio: secondo il Comune, all’intervento osterebbe il disposto dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, a mente del quale in tema di realizzazione di opere finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche – e facendo eccezione all’ordinario regime di deroga alle norme sulle distanze – “è fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”.

Con la sentenza qui appellata, il T.A.R. dell’Abruzzo ha respinto il ricorso proposto dagli istanti avverso il diniego, evidenziando:

– che la tutela della salute e della vita di relazione dei soggetti portatori di handicap, pur rappresentando un valore di primaria importanza, non è assoluta e incondizionata, ma può subire limitazioni in ragione della tutela di valori di pari rilevanza;

– che, in particolare, il comma 2 dell’art. 79 testé citato dimostrerebbe che, a fronte di un’ordinaria prevalenza delle ragioni del portatore di handicap sugli interessi eventualmente contrastanti dei soggetti residenti nel medesimo edificio, non altrettanto potrebbe dirsi per gli immobili limitrofi, laddove il legislatore avrebbe ritenuto di assegnare prevalenza al loro diritto alla salute in funzione del quale risulta posta la norma di cui all’art. 873 cod. civ. (la cui ratio, come è noto, è quella di evitare la creazione di intercapedini dannose o pericolose);

– che nella specie, premesso che la realizzazione dell’ascensore avrebbe comportato il mancato rispetto della distanza minima di tre metri dal fabbricato confinante, non vi sarebbe spazio alcuno per un’applicazione dell’eccezione prevista dall’ultima parte della disposizione, atteso che fra i due immobili esiste sì un cortile, ma tale cortile non risulta essere in comproprietà fra di essi né risulta l’esistenza di servitù di passaggio comune.

2. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato nei sensi e nei limiti appresso precisati.

3. Innanzi tutto, il Collegio reputa fondato il primo motivo di appello nella parte in cui si sostiene l’estraneità dell’ascensore oggetto della richiesta di permesso di costruire alla nozione di “costruzione” di cui all’art. 873 cod. civ., e quindi l’inapplicabilità ad esso delle disposizioni in tema di distanze dallo stesso poste.

Ed invero, alla stregua della giurisprudenza più recente l’impianto di ascensore – al pari di quelli serventi alle condotte idriche, termiche etc. dell’edificio principale – rientra fra i volumi tecnici o impianti tecnologici strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell’immobile (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 2011, nr. 2566).

4. Ma, anche al di là di quanto sopra, appare condivisibile l’impostazione sviluppata nel secondo mezzo, secondo cui, nell’interpretazione dell’eccezione alla regola del rispetto delle distanze posta dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001, non può prescindersi dal tener conto dell’inserimento della norma – come già rilevato – all’interno della disciplina volta all’eliminazione delle barriere architettoniche nell’interesse dei soggetti portatori di handicap.

Ciò rileva non solo e non tanto ai fini di un astratto bilanciamento di interessi, come quello cui ha proceduto il primo giudice (e al quale gli odierni appellanti, soprattutto col terzo mezzo, contrappongono un opposto bilanciamento), quanto soprattutto nell’accezione da dare a locuzioni ed espressioni tecniche impiegate dal legislatore, quali quella di “spazio o area di proprietà o di uso comune”, le quali non possono essere recepite in un’ottica strettamente civilistica, ma vanno calate nell’ambito della normativa tecnica esistente in subiecta materia.

Sotto tale profilo, soccorre il d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, contenente la normativa regolamentare a suo tempo adottata in attuazione della legge 9 gennaio 1989, nr. 13, e che ancora oggi costituisce il riferimento dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001 (nel quale la predetta legge è confluita).

L’art. 2 del citato decreto contiene una serie di definizioni tecniche utili all’applicazione della normativa de qua e, in particolare, qualifica come “spazio esterno (…) l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici” (lett. F) e come “parti comuni dell’edificio (…) quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità immobiliari” (lett. E).

Applicando tali coordinate interpretative all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, risulta chiaro come il legislatore, nel far riferimento a spazi o aree “di proprietà o di uso comune”, ha inteso richiamare non soltanto il dato giuridico dell’esistenza di una comproprietà o di una servitù di uso comune, ma anche il semplice dato materiale dell’esistenza di uno spazio comunque denominato, che per le sue caratteristiche si presti a essere impiegato dai residenti di entrambi gli immobili confinanti; ed è appena il caso di aggiungere che la definizione della lettera E non presuppone affatto che le “unità immobiliari” cui essa fa riferimento debbano necessariamente essere parte di un medesimo edificio (ché, anzi, dal combinato disposto di detta definizione con quella di cui alla successiva lettera F si ricava che uno spazio esterno comune può certamente interessare anche “più edifici”).

Con riguardo al caso di specie, se è vero che il cortile esistente fra i due immobili e nel quale dovrebbe insistere l’ascensore per cui è causa non risulta essere in comproprietà fra i due condomini, non risulta però contraddetto l’assunto degli appellanti secondo cui esso risulta de facto utilizzato materialmente e per la sua interezza dai residenti di entrambi gli immobili; per vero, il T.A.R. si è limitato a rilevare l’esistenza di un confine catastale che dividerebbe a metà il cortile medesimo, senza però che questo risulti tagliato da muro o recinzioni (unico elemento che sarebbe idoneo a escluderne l’ “uso comune” nel senso sopra precisato).

Ne discende che non poteva il Comune denegare il rilascio del permesso di costruire per il mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 873 cod. cov., applicandosi in ogni caso l’ulteriore deroga di cui all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001.

5. I rilievi fin qui svolti, essendo di per sé sufficienti a fondare l’accoglimento del ricorso di primo grado, esonerano dall’esame delle ulteriori doglianze sviluppate dagli appellanti.

6. Va invece respinta l’istanza risarcitoria formulata a conclusione del ricorso introduttivo e reiterata nell’appello.

Al riguardo, va in primo luogo evidenziato che la presente decisione non comporta quale conseguenza la necessaria spettanza agli istanti del “bene della vita” costituito dal permesso di costruire, ma soltanto l’obbligo di riesame della richiesta ad aedificandum da parte del Comune (il quale, beninteso, risulterà vincolato soltanto dai principi enunciati nella presente sentenza).

In secondo luogo, il pregiudizio alla mobilità e alla vita di relazione della ricorrente sig.ra ******* di cui si chiede il ristoro risulta soltanto apoditticamente affermato, ma per nulla provato (neanche nell’an).

7. In considerazione della relativa novità delle questioni esaminate e della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012

Redazione