Il Comune non può limitare la localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale in assenza di una plausibile ragione giustificativa (Cons. Stato n. 1873/2013)

Redazione 04/04/13
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FATTO

La società Vodafone Omnitel N.V., operante sul territorio nazionale nell’ambito delle reti di telecomunicazioni per l’espletamento del servizio pubblico radiomobile di telefonia cellulare, presentava in data 24.9.2004, ai sensi dell’art 86 e 87 D. l.vo 259/2003, una istanza al comune di Brugherio per la realizzazione di una nuova stazione radio base con potenza in antenna inferiore a 300W da collocarsi in via Marzabotto, ottenendo dall’A.R.P.A. in data 18.10.2004 parere favorevole.

Alcuni giorni dopo, il consiglio comunale, nella seduta del 28.9.2004, deliberava con atto n. 71 alcune modifiche al regolamento edilizio, introducendo in particolare l’art 46-ter “impianti per telefonia mobile”, in cui disponeva il divieto di installazione di impianti di telecomunicazione e radiodiffusione di altezza pari o superiore alla distanza dalla più vicina parete delle costruzioni circostanti o alla metà della distanza dal confine con le strade o terreni liberi privati.

In data 13.12.2004, con nota prot. n. 47081, il Comune richiedeva alla soc. Vodafone Omnitel N.V. una integrazione documentale in virtù del nuovo articolo 46-ter del regolamento edilizio, dichiarando sospeso il termine di cui all’art 87, comma 9, del D. L.vo n. 259/2004.

La ricorrente contestava la richiesta rilevando la tardività della stessa.

Poiché non interveniva nel termine di 90 giorni dalla presentazione della domanda alcun diniego, la società ricorrente, sull’assunto che in data 24.12.2004 si era formato il silenzio-assenso, dava avvio ai lavori.

L’amministrazione comunale, con la nota del 20.1.2005 prot. 2245, sul rilievo che erano entrate in vigore le modifiche al regolamento edilizio il giorno 24.11.2004 e che il titolo edilizio si era formato in contrasto con le previsioni urbanistiche, dichiarava la decadenza del silenzio-assenso.

Seguiva poi l’ordinanza n. 14 del 31.1.2005, avente ad oggetto l’ordine di sospensione dei lavori.

La ricorrente impugnava quindi davanti al Tar Lombardia, sede di Milano, l’ordinanza n. 14 del 31.1.2005 avente ad oggetto l’ordine di sospensione dei lavori, la nota prot. 2245 del 20.1.2005 con cui veniva dichiarata la decadenza del silenzio-assenso per l’installazione di una stazione base a Brugherio, la nota prot. 47081 del 13.12.2004 avente ad oggetto la richiesta di integrazione documentale in merito alla DIA presentata in data 27.9.2004 per la nuova stazione base, la delibera del consiglio comunale n. 71 del 28.9.2004 di approvazione del regolamento edilizio ed il verbale di sopralluogo prot. n. 3813 del 31.1.2005, deducendo vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere.

Si costituiva in giudizio il comune intimato chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Tar lo accoglieva, rilevando che la circostanza che la potenza dell’impianto de qua non superava i 300W consentiva di localizzare il medesimo prescindendo da una specifica previsione urbanistica, in virtù dell’art. 4, co. 7, della legge regionale della Lombardia n. 11/2001, secondo cui “gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza totale non superiore a 300 **** (…), non richiedono specifica regolamentazione urbanistica” e ritenendo pertanto illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducevano nel territorio comunale divieti di installazione per simili impianti, stante la chiara disposizione dell’art. 4, comma 7, cit., che ha previsto per essi un regime “semplificato”, escludendo ogni possibilità di disciplina a livello comunale.

Nell’atto di appello il Comune di Brugherio impugna la sentenza del Tar nella sola parte relativa all’annullamento dell’articolo 46-ter del regolamento edilizio comunale deducendo numerosi motivi di gravame e chiedendo in via subordinata che venga sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 86, co. 3, del d.lgs. n. 259/203 per violazione dell’art. 41 co.2 lett. d) della legge delega n.166/2002 e degli artt. 86-95 del d.lgs. 259/2003 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost..

Si è costituita la società Vodafone Omnitel N.V. chiedendo la reiezione dell’appello.

Sono state depositate ulteriori memorie difensive.

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Nell’atto di appello il Comune di Brugherio impugna la sentenza del Tar nella parte in cui ha annullato l’art. 46-ter, primo co., del regolamento edilizio del comune deducendo:

-la finalità del sopradetto art. 46-ter, primo co., è quella di minimizzare l’impatto urbanistico degli impianti nel contesto urbano perseguendo in specie ragioni di sicurezza e di decoro urbano;

-le modifiche al regolamento edilizio comunale sono state adottate nell’ambito della potestà attribuita dal legislatore ex art. 8, ultimo co., della legge n. 36/2001, ove è sancito che i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti per cui tale potestà urbanistica particolare è una facoltà legittimamente rimessa ai comuni;

-contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, la legge regionale lombarda n.11 dell’11 maggio 2001, art. 4, co.7, non ha introdotto un regime semplificato e comunque deve essere coordinata con l’art. 8 della legge quadro n.36/2001;

-il regime giuridico delle infrastrutture di telecomunicazione non è identico a quello delle opere di urbanizzazione primaria;

-l’art.86, co.3 e ss., del codice comunicazioni elettroniche sarebbe incostituzionale per contrasto con l’art. 41, co.2, lett. d), della legge di delega n. 166/2002;

– gli articoli da 86 a 95 dello stesso codice sarebbero incostituzionali per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.;

-la società ricorrente ben poteva ubicare l’impianto in altra parte del territorio comunale nel mero rispetto dell’altezza pari alla distanza dagli edifici vicini.

2. La Sezione ritiene che tali argomentazioni non siano condivisibili e che la sentenza appellata meriti conferma.

Il diniego di autorizzazione impugnato in primo grado è stato adottato in applicazione della previsione del regolamento edilizio del Comune di Brugherio annullato dal Tar, che, all’art 46-ter primo co., con riferimento agli impianti per telefonia mobile, dispone che “non è consentito installare impianti di telecomunicazione e radiodiffusione di altezza pari o superiore alla distanza dalla più vicina parete delle costruzioni circostanti o alla metà della distanza dal confine con le strade o terreni liberi privati”.

Il comune di Brugherio, nell’atto di appello, afferma che tale previsione regolamentare è legittima, essendosi limitata a dare concreta attuazione alla previsione dell’art.8, sesto e ultimo co., della legge n. 36/2001, a norma del quale i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Osserva il Collegio che la legittimità di disposizioni di regolamenti comunali che hanno disciplinato la collocazione di impianti di telefonia nel territorio comunale è stata oggetto di frequente esame da parte del giudice amministrativo sia in primo che in secondo grado.

In proposito occorre ricordare che la invocata norma dell’ultimo comma dell’art. 8 cit. deve essere coordinata con l’art. 8, co. 1, lett. a), della stessa legge, che attribuisce alle regioni l’esercizio delle funzioni relative alla individuazione dei siti di trasmissione degli impianti per telefonia mobile.

L’art. 3 della stessa legge n.36 precisa poi che devono essere indicati dalle leggi regionali, secondo le competenze definite dall’art.8, i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizioni e le incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili.

La legge regionale della Lombardia n.11/2001 all’art. 4 e la successiva deliberazione della giunta regionale n.735/2001 hanno dettato il criterio di localizzazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare di potenza inferiore a 300 W (come quella richiesta dalla Vodafone Omnitel), stabilendo che tali impianti non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica (art. 4, co. 7).

Risulta quindi evidente che l’atto regolamentare comunale si è posto in contrasto con la legge regionale, che, in aderenza alla legge n. 36/2001 ( art.8, co. 1 e 4 ), ha esercitato direttamente ed esaustivamente il potere di localizzazione per tali impianti di potenza inferiore a 300W; il regolamento comunale non avrebbe potuto pertanto prescindere ( così come ha invece in realtà fatto ) dalla previsione della legge regionale in ordine ai criteri generali cui necessariamente conformarsi, potendo al più introdurre misure integrative e specifiche in ordine a tale localizzazione.

Si aggiunga poi che i criteri posti dalla delibera di Giunta Regionale n.7351/2001 imponevano la suddivisione in zone del territorio comunale, ma non consentivano divieti di installazione a distanze fisse, né la previsione dell’osservanza di limiti di altezza minima in rapporto a quella degli edifici circostanti, rispetto ai quali non veniva prevista alcuna distanza; in realtà, l’art. 4, comma 7, l. reg. Lombardia n. 4 del 2001 priva di qualsivoglia rilevanza urbanistica ( salvi i divieti di cui al comma 8 ) gli impianti di telecomunicazioni inferiori a 300W, sì da impedire l’introduzione di ogni misura di natura tipicamente urbanistica (distanze, altezze, quote, ecc.), quale, nel caso di specie, l’introduzione di altezze degli stessi in relazione alle distanze rispetto alle abitazioni..

Del resto, la Corte costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità di alcune leggi regionali, dopo avere chiarito che: “La fissazione a livello nazionale dei valori soglia, non derogabili da parte delle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui le competenze delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”, ha specificato, quanto alle discipline localizzative e territoriali, che “….. è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle regioni e degli Enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi” (cfr. Corte costituzionale 7 ottobre 2003, n. 307 e 7 novembre 2003, n. 331).

La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 co. 8 proprio della legge regionale Lombardia n.11/2011, come modificato dalla legge regionale n.6/2002, perché prevedeva una distanza di 75 metri da alcuni ambiti, trattandosi di “..un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni trasformandosi così da criteri di localizzazione in limitazioni alla localizzazione e dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge 36” (sentenza n.331/2003 cit.).

In linea con tale argomentare della Corte Costituzionale, questo Consiglio di Stato ha affermato che non è consentito al comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche quali distanze, altezze, ecc.., non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela dai rischi dell’elettromagnetismo (Cons. Stato, VI, 10 febbraio 2003 n. 673 e 30 maggio 2003, n. 2997).

E’ stato infatti rilevato che misure del genere si pongono in contrasto con la nozione di rete di telecomunicazione, che per definizione, segnatamente nelle ipotesi di trasmissione del segnale con più debole intensità, peculiare al sistema di telefonia cellulare, richiede un rapporto di contiguità e di capillarità dei sistemi di telecomunicazione su tutto il territorio.

Inoltre l’assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, co. terzo, del D.lgs. n. 259/2003) comporta che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell’insediamento abitativo e non da esso avulse con localizzazione lontana dai centri di utenza (Cons. Stato, VI, 10 febbraio 2003 n. 673 e 30 maggio 2003, n. 2997 cit. ); e tali manufatti – in quanto parte di una rete di infrastrutture, qualificate come opere di urbanizzazione primaria, nonché in quanto impianti tecnologici e volumi tecnici – non possono essere soggetti in linea di massima (salvo disposizioni peculiari) a limiti di altezza e cubatura.

Da tanto consegue che la potestà assegnata ai comuni dall’art. 8, co. Sesto, della legge n. 36/2001 deve tradursi nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche, ma non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale in assenza di una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, n. 331 del 15.10/07.11.2003; n. 307 del 07.10.2003).

3. Ne deriva che la controversa disposizione del regolamento edilizio di Brugherio, con la imposizione di distanze e altezze rispetto, non ad ambiti territoriali sensibili o di pregio, bensì rispetto a qualsiasi edificio del territorio comunale, viene a tradursi, per il suo carattere generalizzato, in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva invece allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con ********, su proposta del ministro dell’ambiente di concerto con il ministro della salute (Cons. Stato, VI, n. 4159 del 05.08.2005; n. 7274 del 20.12.2002; n. 3095 del 03.06.2002) e per quanto riguarda la individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti, ex art. 8, co. 6, della legge n. 36/2001, alle Regioni.

Correttamente, pertanto, il giudice di primo grado ha accertato l’illegittimo esercizio della potestà regolamentare di cui il comune dispone nella materia ed ha dichiarato l’illegittimità in via derivata della determinazione reiettiva della domanda di autorizzazione all’installazione di una stazione radiobase per telefonia mobile avanzata dalla società ricorrente in primo grado in quanto tale regolamento comunale non ha rispettato la previsione regionale che aveva escluso alcuna specifica regolamentazione urbanistica per gli impianti del genere di quello richiesto da Vodafone Omnitel.

4. L’appellante lamenta ancora la violazione dell’art. 4 co.11 della legge regionale n.11/2001 sostenendo che era causa ostativa alla realizzazione della stazione radio base l’omessa presentazione del piano di sviluppo della rete previsto dalla sopradetta legge regionale.

La censura è inammissibile in quanto introduce per la prima volta in appello una tardiva motivazione degli impugnati atti di reiezione della domanda di installazione di cui si tratta, per di più esulanti ormai dall’àmbito del devolutum a questo Giudice di appello, una volta che il Comune, come s’è detto, ha limitato l’impugnazione della sentenza alla sola declaratoria di illegittimità dell’art. 46-ter del REC.

5. Infine l’appellante assume la incostituzionalità dell’art.86 co.3 e seguenti del codice di comunicazioni elettroniche di cui al D.lgs 259/2003 per contrasto con l’art. 41, co. 2, lett. d), della legge delega n.166/2002.

L’appellante, dopo avere premesso che con la sentenza della Corte Costituzionale n.303 del 2003 era stata dichiarata la illegittimità del D.lgs. 198/2002 per violazione dell’art. 76 Cost. in relazione alla legge delega n.443/2001, rileva che il D.lgs. n. 259/2003 avrebbe omesso la previsione “..di una disposizione analoga a quella di cui all’art. 3 co.2 del D.lgs. 198/2002 attestante la compatibilità urbanistica ex lege degli impianti, la loro realizzabilità in qualsiasi parte del territorio comunale e la derogabilità degli strumenti urbanistici e delle diposizioni legislative e regolamentari vigenti”.

Sicché per il comune appellante, ove si sostenga l’assimilazione delle infrastrutture di telecomunicazioni alle opera di urbanizzazione primaria, così escludendo la fondamentale potestà regolamentare degli enti locali minori, ci si troverebbe al cospetto di una abrogazione implicita dell’art. 8, co. 6, della legge 36/2001, in violazione dell’art. 41 co.2, lett. d) della legge delega n.166/2002, che prescrive tra i suoi criteri direttivi vincolanti per l’organo esecutivo nazionale e tra i principi fondamentali per la creazione del codice delle telecomunicazioni elettroniche, quello della espressa abrogazione di tutte le diposizioni incompatibili.

Da qui la asserita incostituzionalità dell’art. 86 del D.lgs. 259/2003 per eccesso di delega.

Sarebbero poi del pari incostituzionali altre norme del codice (artt. 86-95) per violazione dell’art. 117 co.3 e 118 Cost. in quanto con tali disposizioni viene introdotta una disciplina statale di dettaglio in materie quali il governo del territorio, la tutela della salute e l’ordinamento delle telecomunicazioni già attribuite alla potestà concorrente delle regioni senza predisporre la necessaria intesa con le regioni stesse.

6. Tali questioni di costituzionalità, come esattamente rilevato dalla difesa della società appellata, sono inconferenti e non pertinenti rispetto alla fattispecie in esame, in quanto il regolamento comunale di cui trattasi, lungi dal confliggere con la normativa statale di riferimento ed in particolare con il codice delle comunicazioni elettroniche, si pone direttamente in contrasto con la legge regionale in materia di localizzazione degli impianti, quest’ultima non censurata sotto il profilo della compatibilità costituzionale, che ammette in qualsiasi parte del territorio ed anche in deroga agli strumenti urbanistici, la localizzazione degli impianti di telefonia cellulare con potenza inferiore a 300W.

Il disposto della legge regionale n. 11 del 2001, in piena armonia con la normativa di principio contenuta nel successivo d.lgs. n. 259/2003, ha voluto escludere, così, per le particolari caratteristiche tecniche di tali impianti, e per garantire una capillare diffusione sul territorio del segnale, limiti ( quale quello che viene qui in considerazione ) diversi da quelli stabiliti dal comma 8 dell’art. 4, dall’art. 6 e dall’art. 7 della legge regionale stessa.

Appare quindi irrilevante una doglianza che lamenta la incostituzionalità di disposizioni nazionali per il mancato coinvolgimento delle regioni, là dove è proprio la legge regionale a disciplinare la materia ed a rendere compatibile l’impianto e, per converso, illegittima la disposizione regolamentare introdotta dal Comune.

In ogni caso, sulla compatibilità della disciplina di cui agli articoli 86 e seguenti del codice delle comunicazioni elettroniche, approvato con D.Lgs. 1.8.2003, n. 259, si è già pronunziata la Corte Costituzionale, rilevando che la stessa può ritenersi conforme a criteri, di rilievo anche comunitario, di semplificazione amministrativa, con prevista confluenza in un solo procedimento di tutte le tematiche, rilevanti per le installazioni in questione, senza che sia cancellata l’incidenza delle installazioni stesse sotto il profilo urbanistico-edilizio, tenuto conto della concreta consistenza dell’intervento e senza esclusione delle conseguenze penali connesse ad ipotesi di abusivismo, ex art. 44 D.P.R. n. 380/01 (cfr. in tal senso Corte Cost. 28.3.2006, n. 259; Corte Cost. 18.5.2006, ord. n. 203; Cons. Stato , sez. VI, n. 2055 del 2010; VI, 21 giugno 2006, n. 3734).

7. In conclusione l’appello non merita accoglimento.

8. Sussistono giusti motivi, in relazione alla peculiarità delle questioni trattate, per compensare spese ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013

Redazione