Il cambiamento della destinazione d’uso di un immobile necessita di un’apposita autorizzazione (Cons. Stato n. 2527/2012)

Redazione 25/05/12
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LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota n. 0001617 del 17 febbraio 2011 con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti chiede il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario indicato in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Sabato Malinconico;

 

Premesso:
Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto il 17 febbraio 2010 la signora X ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensiva, l’ordinanza n. 51 del 26 ottobre 2009, notificata il 28 ottobre successivo, con la quale il dirigente l’ufficio tecnico del comune di (omissis) ingiungeva alla predetta di rimuovere nel termine di 90 giorni dalla notifica del provvedimento, tutte le opere realizzate senza titolo abilitativo e di ripristinare lo stato dei luoghi.
La menzionata ordinanza veniva adottata perché la signora X, quale proprietaria di una unità immobiliare sita in territorio del comune di (omissis) alla Via (omissis) e censita in catasto fabbricati dello stesso comune al foglio 94, particella n. 835, sub 21, cat. a/20m il 2 luglio 2009, comunicava all’ente il cambio d’uso senza opere della predetta unità immobiliare e il relativo cambio di categoria catastale da A/10 (ufficio) in A/3 (abitazione) allegando una relazione tecnica descrittiva dell’immobile a firma del geom. (omissis).
A seguito di tale comunicazione lo sportello unico per l’edilizia del Comune il 10 luglio 2009 comunicava l’avvio del procedimento a norma degli artt. 7 e 8 della l. n. 241/90 e s.m.i. in quanto la detta comunicazione veniva erroneamente assimilata a una d.i.a. ai sensi del d.P.R. n. 380/2001, tant’è che successivamente il responsabile del procedimento e il tecnico istruttore chiedevano all’interessata con atto n. 6203 del 28 luglio 2009, notificato il 3 agosto successivo, una integrazione della documentazione. Successivamente, a seguito di sopralluogo effettuato dalla polizia municipale di (omissis) veniva redatto verbale di accertamento a norma dell’art. 394 c.p.p. per violazione della normativa edilizia atteso che risultava mutata la destinazione d’uso dei locali in questione senza alcun titolo abilitativo, in quanto la destinazione di detti locali veniva trasformata da ufficio ad abitazione nell’ambito di un complesso direzionale su area destinata dal p.r.g. vigente a zona D5 – area per attrezzature turistiche e direzionali, con conseguente violazione degli artt. 31 e 44 del d.P.R. n. 380/2001 citato; a seguito dell’invio di detto verbale al sindaco ed ai competenti uffici comunali il 28 ottobre 2009 veniva notificata alla signora X. l’ingiunzione di cui all’impugnata ordinanza avverso la quale la ricorrente deduce le seguenti censure:
-erroneità dei presupposti: nel caso di specie, sostiene l’interessata, i provvedimenti assunti dall’Amministrazione sfociati nell’ordinanza contestata sono fondati sull’erroneo presupposto che si fosse in presenza di una d.i.a. per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile in questione da ufficio ad abitazione mentre si trattava di una semplice comunicazione di avvenuta variazione catastale per cambio d’uso senza opere e, quindi, meramente funzionale tenuto conto che la ricorrente non ha realizzato alcuna opera comportante modificazione di impianti idrico-fognanti o del gas né abbattimento e ricostruzione di tramezzature.
La ricorrente illustra con dovizia di riferimenti tecnici, normativi e giurisprudenziali l’istituto in questione del cambio d’uso senza opere per affermare che tale fattispecie, in base alla normativa edilizia nazionale e regionale in vigore e delle norme di attuazione degli strumenti urbanistici comunali (a partire dalla legge n. 47 del 1985) in mancanza di norme regionali e comunali, non richiede alcuna autorizzazione o altro provvedimento abilitativo ma costituisce una attività libera. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione nei casi in cui tale fattispecie fosse stata disciplinata dalla normativa regionale e recepita dai Comuni (soggiunge l’interessata) non costituiva più reato ma comportava solo una sanzione amministrativa; nella evoluzione normativa successiva la materia veniva poi attribuita alla legge regionale, che, in definitiva, deve regolare i casi e le fattispecie di cambio o di destinazione con o senza opere, cosicché in mancanza della disciplina regionale mentre i cambi d’uso con opere vengono attratti nella ordinaria disciplina del T.U. dell’edilizia e quindi assoggettati agli artt. 6, 10 e 22 del d.P.R. n. 380/2001, quelli senza opera, avendo carattere meramente funzionale (non comportando cioè l’esecuzione di alcuna opera per abilitare il fabbricato strutturalmente ad un uso diverso da quello originario), costituiscono in re ipsa – ad avviso della ricorrente – attività libera non soggetta ad alcun provvedimento, neppure ad autorizzazione gratuita, salvo i casi in cui sia dettata una diversa disciplina dalla Regione. Nei sensi ora indicati la ricorrente richiama talune pronunce giurisprudenziali e particolarmente la n. 231 del 10 marzo 1999 della Sez. V del Consiglio di Stato, e la n. 2586 del 14 maggio 2003 sempre della Sez. V del Consiglio di Stato e la n. 1040 del 7 marzo 2002 del TAR Puglia, Sezione di Lecce. Nel caso di specie, pertanto, non avendo la Regione Puglia legiferato nella materia de qua e stante la normativa nazionale sui cambi d’uso dettata dal T.U. dell’edilizia citato (in particolare art. 32 del d.P.R. n. 380/2001) la signora Y., a conclusione di una ampia illustrazione di possibili soluzioni tecniche utilizzabili per realizzare cambi di destinazione degli immobili nell’ambito degli standards fissati dai Comuni con gli strumenti urbanistici locali, ribadisce il proprio assunto sottolineando che la problematica in argomento era già stata oggetto di valutazione da parte dell’ufficio avvocatura del Comune di (omissis), il quale in data 22 giugno 2007, in riscontro ad una specifica richiesta di parere legale “per cambio d’uso senza opere edilizie”, si sarebbe espresso nel senso che “per il mutamento di destinazione d’uso funzionale non occorre alcun provvedimento abilitativo sebbene l’uso non sia conforme alla strumentazione urbanistica”. Nell’affermare che a tale orientamento interno dell’Amministrazione tutti gli uffici comunali coinvolti nel controllo delle attività edilizie sarebbero tenuti ad uniformarsi, da ultimo fa riserva di produrre motivi aggiunti a seguito delle controdeduzioni e del deposito da parte della Amministrazione degli atti del procedimento e avanza istanza di acquisizione degli scritti difensivi con assegnazione di un congruo termine per replicare.
Il Comune di (omissis) ha prodotto in data 26 luglio 2010 una nota prot. 85015/10 con la quale controdeduce rinviando senza ulteriormente argomentare ad un parere legale espresso in data 22 giugno 2007 nell’ambito di un diverso procedimento avente ad oggetto un’analoga vicenda di cambio d’uso senza opere, del quale recepisce integralmente le conclusioni. Con il suindicato parere l’Amministrazione, in sostanza, aderiva all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in assenza di una regolamentazione da parte della Regione, il cambio di destinazione d’uso senza opere ” costituisce un’attività libera, non soggetta neppure ad autorizzazione gratuita (C.d.S., Sez. V, n. 231 del 10 marzo 1999; TAR Puglia, Lecce, n. 1040 del 7 marzo 2002, ecc.)”.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota del 14 settembre 2011 n. 0008675, inviata per conoscenza anche a questo Consiglio di Stato, trasmessa alla ricorrente e al Comune di (omissis) copia della relazione ministeriale assegnando il termine di 15 gg. dal ricevimento per eventuali repliche, con successiva comunicazione del 21 novembre 2011 ha dato atto della mancata presentazione di memorie di replica da parte della ricorrente alla relazione istruttoria confermando le argomentazioni svolte con la stessa relazione ministeriale.
Il predetto Dicastero in merito al gravame, non ravvisando profili di illegittimità nell’atto in questa sede avversato, ritiene tuttavia non condivisibile la posizione espressa dal Comune resistente con il rinvio al parere legale richiamato; in particolare il Ministero, in riferimento al regime applicabile per il cambiamento di destinazione d’uso senza opere e alla tesi secondo la quale detta modifica funzionale sarebbe consentita secondo le norme vigenti mediante una mera comunicazione ex post ai competenti uffici comunali, sottolinea che la destinazione d’uso rappresenta e qualifica una connotazione dell’immobile e risponde a precise finalità di interesse pubblico di pianificazione o di attuazione della pianificazione del territorio; soggiunge altresì che l’organizzazione e la gestione del territorio comunale “vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (vedi Cass. Sez. III 7 marzo 2008 e Cass. Sez. III 2 luglio 2002)”.
Nel riassumere il quadro normativo vigente relativo alla disciplina del cambio di destinazione d’uso, l’Amministrazione riferente, anche con richiamo a ulteriori pronunce della giurisprudenza civile e amministrativa, perviene alla conclusione che, allorché manchi la disciplina regionale, non sarebbe logico affermare che il cambiamento di destinazione d’uso costituisca una attività del tutto libera e priva di vincoli, “essendo evidente che una simile lacuna legislativa non può comportare la vanificazione di ogni previsione urbanistica che disciplini l’uso nel territorio nel singolo comune” (v. C.d.St. n. 2561/2008) e che “una diversa soluzione non solo costituirebbe, in linea di principio, una inammissibile vulnerazione delle prerogative di autonomia e responsabilità sul territorio degli enti locali in parola, ma comporterebbe anche, in concreto, la violazione di regole generali finalizzate ad assicurare il corretto ed ordinato assetto del territorio, con conseguente inevitabile pericolo di pregiudizievoli modificazioni degli equilibri prefigurati dalla strumentazione urbanistica, come già in precedenza osservato dalla giurisprudenza (cfr. in senso conforme Cons. Stato, Sez. V, 10 luglio 2003 n. 4102; 3 gennaio 1998, n. 24, v. anche in senso analogo: sent. Cons. Stato 2 novembre 2005 n. 6436)”.
In definitiva il Ministero nel caso di specie non condivide il fatto che il Comune di (omissis), a fronte di una semplice comunicazione di avvenuto cambio di destinazione d’uso, possa prendere atto della situazione di fatto, peraltro, in contrasto con l’art. 18 del p.r.g. di detto Comune, il quale al comma 2 prevede che “quando l’intervento non richiede l’esecuzione di opere edilizie (cambio di destinazione o conversione d’uso) la domanda di autorizzazione deve essere corredata dal progetto …”.
Richiama ancora una volta la giurisprudenza civile che, “nelle more dell’approvazione regionale ed in assenza di ogni aggancio normativo, ha ritenuto che, con riferimento al cambio di destinazione d’uso di un immobile la d.i.a. è sufficiente se non si devono eseguire interventi edilizi (Corte di Cassazione, sentenza 22 novembre 2004, n. 22041)”.
Nel caso richiamato – soggiunge il Ministero – trovano applicazione gli articoli 8, 25 e 26 della legge n. 47 del 1985, che richiedeva per la modificazione d’uso degli immobili non seguiti da interventi edilizi, la semplice autorizzazione, poi sostituita per l’appunto dalla d.i.a.

Considerato:
La Sezione, esaminati gli atti relativi all’odierna impugnativa e preso atto delle circostanziate argomentazioni svolte sotto il profilo tecnico e normativo dal Ministero riferente nella relazione istruttoria, ritiene che le censure avanzate dalla ricorrente sono infondate. Nel caso de quo erroneamente la ricorrente (e anche il Comune sposa tale tesi) sostiene che il mutamento della destinazione d’uso di un immobile senza realizzazione di opere edilizie costituisca un’attività libera, mentre invece, secondo la giurisprudenza prevalente, occorre un’ apposita autorizzazione, ora d.i.a. Nel caso di specie la ricorrente ha modificato la destinazione di un immobile da ufficio (A10) in abitazione (A3) con una semplice comunicazione (erroneamente ritenuta dal Comune come richiesta di d.i.a.). In ogni caso il Comune contesta alla ricorrente la realizzazione di una cucina con funzione di impianto idraulico e applicazione di piastrelle. Talchè si evince che nel caso di specie comunque con il cambio d’uso risultano effettuate anche opere e questo elemento assume rilievo determinante e assorbente. Resta assorbita anche l’istanza cautelare.

 

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso in epigrafe debba essere respinto con assorbimento dell’istanza cautelare di sospensiva.

Redazione