I versamenti sospetti sul conto corrente della colf fanno scattare una condanna per evasione fiscale al contribuente (Cass. pen. n. 3438/2013)

Redazione 23/01/13
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RITENUTO IN FATTO

 

1.1 Con ordinanza del 5 gennaio 2012 il Tribunale di Padova – Sezione per il Riesame – rigettava la richiesta di riesame formulata nell’interesse di R. G., indagato per il reato di cui all’art. 3 del D.lvo 74/00, così confermando il decreto di convalida di sequestro emesso dal P.M. presso quel Tribunale in data 16 dicembre 2011.

1.2 Osservava il Tribunale, quanto al fumus commissi delicti che esistevano elementi sufficienti per ritenere concretizzata l’imputazione, sia pure allo stato provvisoria, formulata dal P.M. non solo con riferimento agli elementi costitutivi del reato ipotizzato ma anche in ordine al superamento della c.d. “soglia dl punibilità”; riteneva poi provata la pertinenza delle core rispetto al reato contestato di evasione fiscale.

1.3 Per l’annullamento del detto provvedimento ricorre l’imputato personalmente deducendo con un primo motivo violazione di legge per erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti; con un secondo motivo, violazione di legge per insussistenza del rapporto di pertinenzialità rispetto al reato ipotizzato; con un terzo motivo deduce violazione di legge per omessa motivazione anche con riferimento al problema relativo al superamento della c.d. “soglia di punibilità”.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto sostanzialmente incentrato su censure in fatto improponibili in sede di legittimità. Al fine di una migliore comprensione dei termini della vicenda sottoposta all’esame di questa Corte, va detto che in data 16 dicembre 2011 all’esito di indagini che vedano il R. indagato per il reato di cui all’art. 3 del D.L.vo 74/00, il P.M. procedente convalidava il sequestro operato dalla Guardia di Finanza di alcuni beni tra i quali un p.c. di pertinenza di tale C. S.; altro p.c. di pertinenza dello stesso indagato e numerose fatture rintracciate nell’abitazione del R. La contestazione del reato fiscale ipotizzato dal P.M originava dal presupposto che sul c/c intestato alla signora C. (collaboratrice domestica dell’indagato), sarebbero affluite consistenti somme di denaro per un ammontare di € 284.902,00 riconducibili all’imputato, ed aventi causali diverse rispetto a quelle lecite indicate dall’indagato. Tali somme venivano ritenute invece provento del reato di evasione fiscale in relazione alla compravendita di prodotti farmacologici ad uso dermatologico e la documentazione contabile prodotta dall’indagato non veniva ritenuta sufficiente a smentire tale assunto. Ricordava poi il Tribunale che la somma affluita su conto corrente intestato a terza persona ma riconducibile all’indagato, per il suo notevole importo superava I- allo stato delle indagini – la c.d. soglia di punibilità. Quanto al rapporto pertinenziale tra le cose sequestrate (in particolare il p.c. di proprietà di C. S.) il Tribunale lo riteneva sussistente al pari del rapporto intercorrente tra l’altro p.c., di proprietà dell’indagato ed il reato fiscale in considerazione della documentazione archiviata telepaticamente verosimilmente contenuta nei due computers. Ed altrettanto riteneva il Tribunale con riferimento ai rapporto pertinenziale tra la restante documentazione sequestrata e il reato ipotizzato proprio perché necessaria “per verificare il complesso dei rapporti commerciali intrattenuti dall’indagato ed il carattere effettivo e/o fittizio degli stessi” (pag. 4 del provvedimento impugnato).

2. Tanto precisato, nel termini in cui le censure risultano formulate esse attengono ad una alternativa ricostruzione della vicenda rispetto a quella operata dal Tribunale. Giova rammentare che a norma dell’art. 325 c.p.p., il provvedimento impugnato è ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge. La difesa ricorrente ha sostenuto anzitutto la ricorrenza di tale vizio dl legittimità nelle forme dell’erronea applicazione della legge processuale penale, ritenendo non potersi configurare il fumus commissi delicti per l’asserito mancato superamento della soglia di punibilità: ma va osservato che i rilievi difensivi si basano su una ricostruzione diversa « rispetto a quella operata dal Tribunale — in ordine alla provenienza delle somme. In modo analitico infatti il Tribunale ha escluso che tali somme potessero ricondursi ad operazioni commerciali lecite, dopo aver preso in esame la documentazione prodotta dalla difesa (in particolare i bonifici esteri eseguiti dal R. in favore della (omissis) e le fatture relative al prodotto farmacologico (omissis) emessa da una società diversa da quella ora indicata, vale a dire la (omissis) di Dallas). Ancora, il ricorrente cerca di ricondurre nell’area della erronea applicazione della legge penale la valutazione operata dal Tribunale laddove si afferma la sussistenza di ricavi e redditi per complessivi € 280.000,00 senza tenere conto dei costi e calcolando quindi gli importi al lordo e non al netto. Ma anche tale genere di censure — a fronte della analitica motivazione del Tribunale (che ha tenuto conto dell’ammontare di somme affluite sul conto corrente intestato alla collaboratrice domestica dell’indagato ma ritenute di pertinenza dell’indagato che non ha sostanzialmente contestato la circostanza) — si risolvono in motivi in fatto non proponibili in questa sede. Peraltro il Tribunale – in sede di riesame di provvedimento cautelare emesso per un reato tributario non è tenuto ad accertare l’imponibile e l’imposta evasa contestata al contribuente, in quanto l’accertamento incidentale proprio del giudizio di riesame non prevede l’esercizio di poteri istruttori da parte del giudice della cautela (Cass. Sez. 3^ 10.11.2011 n. 43595).

3. Altra censura riguarda l’asserita mancanza (o apparenza) di motivazione in merito al ritenuto superamento della soglia di punibilità: ora, secondo costante e risalente insegnamento di questa Corte, la violazione di legge concernente la motivazione trova il suo fondamento nella disciplina costituzionale di cui all’art. 111, commi 6 e 7 e consiste nella omissione totale della motivazione stessa ovvero nelle ipotesi di motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la prima, allorché si faccia ricorso ad espressioni di stile e/o stereotipate, e la seconda l’iter motivazionale poggia sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto. Rimangono, di conseguenza, escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione tutte le rimanenti ipotesi nelle quali la motivazione stessa si svolga in modo insufficiente e non del tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie. Nella nozione di violazione di legge per cui è soltanto proponibile il ricorso per cassazione deve poi farsi rientrare anche la mancanza di motivazione, alla quale vanno ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentativo del provvedimento siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici, da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (anche Cass., Sez. 1^. 9.5.2006, n. 19093; con riferimento particolare all’art. 325 c.p.p.: Cass., Sez. Un. 2801.2004, n. 5876).

4. Se cosi è, non può certo dirsi che nel caso in esame la motivazione censurata manchi ovvero risulti apparente e senza un filo logico, posto che il Tribunale ha analizzato il materiale emerso in esito alle indagini — nello stato provvisorio di esse — in modo coerente ed anzi si è dato carico di affrontare le varie questioni (soglia di punibilità compresa) alla luce delle argomentazioni difensive che ha poi disatteso in modo convincente: senza dire che ancora una volta le censure contenute nel ricorso si risolvono in vere e proprie doglianze dl fatto nella misura in cui tentano di ricostruire in modo alternativo le provenienze del denaro, le destinazioni e l’ammontare del reddito evaso, come indicato dal Tribunale.

5. Alla stregua di tali considerazioni il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, segue all’inammissibilità del ricorso, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e nonché al versamento della somma – ritenuta congrua – di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi lo stesso in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma 4 luglio 2012

Redazione