I versamenti sospetti sui conti bancari del contribuente non sono prova della commissione del reato fiscale per il quale si indaga (Cass. pen. n. 7078/2013)

Redazione 13/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Messina ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in data 10/02/2012, finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità di P. S.. Nell’ordinanza si osserva che il P. è indagato dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, afferenti ai redditi relativi agli anni 2006, 2007 e 2008 per avere indicato nelle corrispondenti dichiarazioni elementi attivi inferiori a quelli reali per un ammontare di circa un milione di Euro per ciascuna annualità.

Il sequestro è stato limitato dal G.I.P. alle dichiarazioni presentate negli anni 2008 e 2009, stante la irretroattività della norma che ha esteso l’applicabilità dell’art. 322 ter c.p., ai reati tributari, per un importo complessivo pari e fino alla concorrenza di Euro 1.296.979,03. L’evasione fiscale è stata riferita dagli accertamenti della GG.FF. a compensi professionali, percepiti dal P. per lo svolgimento della sua attività di consulente contabile e fiscale, sfuggiti a tassazione. L’ordinanza, pur dando atto della inutilizzabilità in sede penale delle presunzioni legali, operanti in materia tributaria, che consentono di contabilizzare in sede di determinazione del reddito imponibile le movimentazioni bancarie attive e passive, sommandole, ha ravvisato la sussistenza del fumus dei reati oggetto dell’incolpazione sulla base delle complessive risultanze delle indagini effettuate dalla GG.FF., che non risultano scalfite dalle ragioni economiche alternative o concorrenti allegate dall’indagato, considerata anche la incompatibilità di un compiuto accertamento sul punto in sede di riesame.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, tramite i difensori, l’indagato che la denuncia con cinque mezzi di annullamento.

2.1 Violazione dell’art. 321 c.p.p., art. 27 Cost., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, con riferimento al fumus del reato per mancato superamento della soglia di punibilità.

Si ribadisce che le presunzioni legali operanti in materia tributaria non risultano utilizzabili in sede penale, con la conseguenza che il Tribunale del riesame avrebbe dovuto scorporare dagli elementi attivi oggetto di omessa dichiarazione le movimentazioni passive registrate nei rapporti bancari. Si fa rilevare che il ricorrente non svolge un’attività commerciale con riferimento alla quale possa operare la presunzione della corrispondenza dei prelievi bancari ad acquisti in nero, cui faccia seguito una vendita di analoga specie. L’ordinanza ha ritenuto applicabili al procedimento penale le presunzioni di reddito stabilite dalla legge tributarla in considerazione della sommarietà del giudizio cautelare. Il giudice penale, invece, deve accertare in via autonoma, sulla base degli elementi di prova acquisiti, l’esistenza del reato ed, in particolare, il superamento della soglia di punibilità, che all’epoca dei fatti corrispondeva ad un ammontare dell’imposta evasa di Euro 103.291,37 congiuntamente al superamento del dieci per cento degli elementi attivi nascosti al fisco ovvero di quelli passivi fittizi o comunque superiore a 2.000.000 di Euro.

2.1 Violazione dell’art. 321 c.p.p., art. 27 Cost., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, nonchè dell’art. 391 bis c.p.p..

Il Tribunale dei riesame ha attribuito valore di mera affermazione labiale alle dichiarazioni di S.S., con il quale l’indagato condivide lo studio, circa la riconducibilità del tenore di affari ad entrambi nella misura del 50%. Tali dichiarazioni erano state assunte dal difensore ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., con la conseguenza che alle stesse doveva essere attribuito pieno valore di prova. Le dichiarazioni del teste inoltre trovano riscontro nella cointestazione dei conti correnti. Dalle stesse indagini della GG.FF. inoltre è emerso che lo studio professionale annoverava solo 150 clienti, cui erano riconducibili onorari per un ammontare sostanzialmente corrispondente a quanto dichiarato.

2.3 Violazione dell’art. 321 c.p.p., art. 322 ter c.p., e carenza assoluta di motivazione.

Con la memoria difensiva depositata dinanzi al Tribunale del riesame era stato dedotto che i beni sottoposti a sequestro erano stati assegnati alla moglie, separata, ed ai figli dell’indagato con la conseguenza che gli stessi non erano nella disponibilità del P.. L’ordinanza è totalmente carente di motivazione sul punto.

2.4 Violazione dell’art. 321 c.p.p., art. 322 ter c.p., e carenza assoluta di motivazione.

Gli organi inquirenti, disattendendo le indicazioni contenute nel decreto di sequestro hanno sottoposto alla misura reale beni immobili per un valore complessivo superiore a quello indicato nel provvedimento. Tale situazione era stata documentata dinanzi al Tribunale del riesame mediante la produzione di una consulenza, ma l’ordinanza è totalmente carente di motivazione sul punto.

2.5 Violazione dell’art. 321 c.p.p., art. 322 ter c.p., e carenza assoluta di motivazione.

Il Tribunale del riesame ha condiviso le deduzioni difensive in ordine alla esclusione dal computo dei presunti compensi percepiti dal ricorrente di quanto rilevato o versato per conto delle due società di cui è stato liquidatore, nonchè di quanto riconducibile al coniuge del P., esercente un’attività commerciale in proprio. L’ordinanza, però non ha ridotto proporzionalmente l’ammontare della somma con riferimento alla quale doveva essere eseguito il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito vengono precisati.

2. E’ certamente corretta l’affermazione dei ricorrenti, secondo la quale la presunzione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), che configura come ricavi o compensi i prelevamenti, ove non ne sia indicato il soggetto beneficiario, e gli importi riscossi, non costituisce piena prova ai fini dell’accertamento dei reati tributari.

La giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell’affermare che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa, (sez. 3, Sentenza n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089; Conformi: sentenza n, 8445 del 1991 Rv. 188010, n. 21213 del 2008 Rv. 239984; sez. 3, 18/05/2011 n. 36396, Mariutti, RV 251280).

E’ stato, però, altresì affermato il valore indiziario delle predette presunzioni ovvero dei dati di fatto che le sottendono (sez. 3, sentenza n. 2246 del 01/02/1996, *****, Rv. 205395), sicchè ben può essere fondata su di esse l’applicazione di una misura cautelare reale.

In materia di misure cautelari reali è noto, infatti, che, ai fini della applicazione della misura, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ex art. 273 c.p.p., (tra le tante sez. un. sentenza n. 7 del 2000, *******, RV 215840; sez. 6, sentenza n. 36710 del 2008, *****, RV 241511), essendo sufficiente l’esistenza del fumus del reato secondo la prospettazione della pubblica accusa sulla base della indicazione di dati fattuali che si configurino coerenti con l’ipotesi criminosa.

E’ stato, inoltre precisato dalla giurisprudenza civile di questa Corte, in tema di accertamento delle Imposte sui redditi, che “la presunzione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, – secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito – ha portata generale, nonostante l’utilizzo (nella versione applicabile “ratione temporis”) dell’accezione “ricavi” e non anche di quella “compensi” ed è applicabile, quindi, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale”. (Sez. 5, Sentenza n. 14041 del 27/06/2011, Agenzia Entrate (Avv. **********) contro *********** (*****), RV. 618446; Massime precedenti Conformi: N. 4601 del 2002 Rv. 553380, N. 430 del 2008 Rv. 601632, N. 11750 del 2008 Rv. 603214).

Sicchè si palesano destituite di fondamento le argomentazioni difensive in ordine alla non riferibilità della natura degli accertamenti effettuati dalla GG.FF. al tipo di attività professionale svolta dall’indagato.

E’ evidente, infine, che le risultanze delle investigazioni difensive assunte ex art. 391 bis c.p.p., non possono essere valutate in sede cautelare reale, necessitando di una compiuta disamina, unitamente a tutte le altre risultanze delle indagini effettuate dalla pubblica accusa, che è necessariamente riservata alla sede di merito.

I primi due motivi di ricorso sono, pertanto, infondati.

3. In ordine agli ulteriori motivi di gravame deve essere precisato che è compito del Tribunale del riesame fissare i limiti della somma sequestrabile in funzione della confisca per equivalente sulla base degli elementi fattuali di cui dispone (sez. 3, 12/10/2011 n. 1893 del 2012, RV 251797), mentre compete alla sede esecutiva la valutazione dell’eventuale eccedenza di quanto sequestrato ovvero la disponibilità da parte di terzi dei beni oggetto del sequestro, con la conseguenza che l’interessato o il terzo devono chiedere al P.M. la riduzione del sequestro ovvero la restituzione di quanto risultasse nella disponibilità altrui.

Orbene, dall’ordinanza emerge che lo stesso Tribunale del riesame ha ritenuto fondati i rilievi difensivi in ordine alla esclusione dal computo dei presunti compensi, oggetto di evasione fiscale, delle somme versate dell’indagato per conto delle due società di cui è stato liquidatore, nonchè di quanto riconduciate a redditi del coniuge del P., pur avendo precisato che in ogni caso risulta superata abbondantemente la soglia di punibilità.

Tali rilievi avrebbero dovuto, però, indurre il giudice del riesame a ridurre proporzionalmente l’importo sequestrabile ai fini della confisca per equivalente.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente alla verifica della proporzionalità della somma di cui è stato disposto il sequestro rispetto al profitto dell’evasione fiscale. Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla verifica della proporzionalità del sequestro e rinvia al Tribunale di Messina.

Rigetta nel resto il ricorso.

Redazione