I compensi che spettano agli amministratori dei beni sottoposti al sequestro non si applicano gli usi locali (Cass. pen. n. 35634/2013)

Redazione 27/08/13
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Svolgimento del processo

1. Con provvedimento assunto all’udienza camerale del 7 dicembre 2010 (la cui motivazione è stata depositata il 30 novembre 2011) la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma dei decreti finali di liquidazione dei compensi n. 49/10, 50/10, 51/10, adottati il 29 marzo 2010 dal locale Tribunale – sezione misure di prevenzione – ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2-octies, comma 7, rideterminava gli onorari spettanti all’avv. C.A., al dott. M.F. e al dott. L.D., nominati custodi e amministratori nell’ambito del procedimento di prevenzione n. 2708 (e successivamente revocati con provvedimento in data 13 gennaio 2010).

2.La Corte argomentava che la procedura seguita nei decreti del 24 aprile 2009 e del 5 giugno 2009, aventi ad oggetto la liquidazione dei compensi (applicazione dello scaglione previsto dalla circolare interna del 17 settembre 1996 così come aggiornata il 19 luglio 2002, nonchè da quella in data 23 luglio 2008), consistente nella divisione del valore complessivo del patrimonio amministrato (pari a circa dodicimila Euro) per il numero degli amministratori appariva coerente con le circolari interne e, in particolare, con quella del luglio 2008. Quest’ultima stabiliva che, “nel caso in cui siano nominati più amministratori per un’unica procedura, i compensi saranno determinati dividendo il valore dei beni sequestrati o confiscati per il numero degli amministratori e applicando il relativo scaglione, con una maggiorazione non superiore al 40%, salva la possibilità dell’aumento o della diminuzione nella misura indicata dal comma precedente ed in base ai criteri specificamente enunciati”.

A diverse conclusioni si doveva, invece, pervenire per i provvedimenti del 12 novembre 2009 e del 29 marzo 2010 nei quali, in contraddizione con l’indicazione contenuta nella circolare interna di aggiornamento, il valore del compendio amministrato era stato considerato, per ciascuno dei professionisti, nella sua totalità.

La presenza di un’azienda (l’impresa “Azzurra Costruzioni Geom. Pelle Antonio” indicata al n. 208 del provvedimento cautelare) all’interno del patrimonio amministrato non comportava l’applicazione della relativa fascia di appartenenza, in quanto, in caso di composizione “mista” del patrimonio, doveva aversi riguardo alla componente prevalente, avendo semmai cura di operare, all’interno del range previsto, un aumento in relazione alla presenza, percentualmente minoritaria, di beni la cui gestione avrebbe dovuto essere retribuita in misura più elevata. Nella concreta fattispecie sottoposta all’esame della Corte territoriale tutte le aziende, eccezion fatta, appunto, per l’impresa “Azzurra Costruzioni Geom. Pelle Antonio”, erano state dissequestrate o, comunque, risultavano inattive a partire dal settembre 2008. Tale conclusione appariva conforme alla previsione contenuta nella circolare sulla liquidazione dei compensi agli amministratori giudiziali del 16 luglio 2008, nella quale, si prevedeva quanto segue: “nel caso, non infrequente, che siano oggetto di sequestro cautelare o confisca patrimoni misti, che comprendano cioè anche beni non aziendali, beni aziendali gestiti indirettamente e beni aziendali gestiti direttamente, si applicherà il criterio prevalente con riferimento alla gestione più onerosa, maggiorato di una percentuale dal 10 al 25% per ogni altra tipologia di gestione meno onerosa, valutata sulla base degli scaglioni, sino ad un massimo del 50%”. L’attività svolta dai professionisti aveva natura quasi esclusivamente amministrativa e non aveva assunto connotazioni gestorie, eccezion fatta per l’unica azienda non dissequestrata (l’impresa individuale “Azzurra Costruzioni geom. Pelle Antonio”).

Infine, l’entità del compenso complessivamente liquidato appariva conforme alle circolari del 17 settembre 1996 e del 23 luglio 2008 e ai parametri in esse stabiliti, essendo incontestabile la maggiore facilità di un incarico affidato ad una pluralità di professionisti.

3. Avverso il suddetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il comune difensore di fiducia, l’avv. C. A. e i dott. M.F. e L.D., i quali, anche mediante una memoria difensiva, formulano le seguenti censure.

Deducono violazione ed erronea applicazione della L. n. 575 del 1965, art. 2-octies, comma 4, (abrogato dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 120, comma 1, lett. b, e sostituito dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 42, comma 4), tuttora applicabile in virtù del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 117, atteso che le tabelle predisposte dall’ufficio giudiziario non hanno le caratteristiche dell’uso normativo e che il ricorso agli usi (o alle tariffe locali) è riservato alle sole ipotesi in cui sia nominato amministratore un soggetto che non esercita attività professionale e per il quale non è, quindi, prevista una tariffa professionale. Nel caso in esame, atteso che i ricorrenti sono professionisti iscritti nei rispettivi ordini professionali, i giudici territoriali avrebbero dovuto tenere conto delle relative tariffe professionali, contemperandole con gli altri parametri indicati dalla L. n. 575 del 1965, art. 2-octies, comma 4.

I tariffali previsti rispettivamente per gli avvocati e per i dottori commercialisti (D.M. 8 settembre 2004, n. 127, artt. 7 e 3; art. 11 D.M. 2 settembre 2010, n. 169) disciplinano espressamente l’ipotesi del conferimento dell’incarico ad una pluralità di professionisti, ma, ai fini della determinazione del compenso, non contengono alcun riferimento ad un abbattimento del valore e all’applicazione di uno scaglione diverso rispetto a quello corrispondente al valore effettivo dell’affare. In ipotesi di conferimento di incarico collegiale l’ordinamento prevede, quindi, che la liquidazione del compenso sia effettuata mediante l’individuazione del compenso spettante al professionista singolo e l’aumento di una determinata percentuale, ma non l’abbattimento del valore della controversia ossia il ricorso ad un criterio analogo a quello della “scomposizione” fatto proprio dal Tribunale del Reggio Calabria ed erroneamente ritenuto conforme a criteri di ragionevolezza dalla Corte territoriale.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il suo esame impone una triplice premessa.

1. Ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 117, comma 1, le disposizioni contenute nel libro 1 del citato D.Lgs. non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entra in vigore del decreto, sia stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi continuano ad applicarsi le norme previgenti. Nel caso di specie, pertanto, le disposizioni cui occorre fare riferimento non sono quelle introdotte dal D.Lgs. n. 159 del 2011, bensì quelle contenute nella L. n. 575 del 1965.

2. E’ ammissibile il ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 2, avverso il decreto della Corte d’appello che, in sede di gravame avverso il provvedimento adottato dal Tribunale ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2- octies, comma 7, (aggiunto dal D.L. 14 giugno 1989, n. 230, art. 3, convertito nella L. 4 agosto 1989, n. 282), provveda alla liquidazione finale delle spettanze dei professionisti, nominati custodi ed amministratori nell’ambito di un procedimento di prevenzione a seguito di sequestro dei beni. Si tratta, infatti, di un provvedimento che risolve con carattere di definitività una controversia relativa ad un diritto soggettivo.

Attesa la funzione meramente strumentale e accessoria rispetto alla misura ablatoria reale assolta dal decreto finale di liquidazione, la disciplina del termine per proporre ricorso per cassazione cui occorre avere riguardo è quella prevista dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), (quindici giorni decorrenti dalla comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito del decreto, emesso all’esito di una procedura camerale), e non quella contenuta nell’art. 680 c.p.p. (cui rinvia la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, a sua volta richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3-ter, comma 2) che regola esclusivamente il regime delle impugnazioni avverso i provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione (Sez. 6, n. 992 del 19 marzo 1998).

3. Il provvedimento suscettibile di impugnazione è soltanto il decreto finale di liquidazione dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario di beni sequestrati (L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-octies e succ. modifiche), mentre non è autonomamente ricorribile il decreto di liquidazione interinale di un acconto effettuato su richiesta dell’amministratore, trattandosi di impugnazione non prevista dalla legge e, comunque, di atto i cui effetti possono essere modificati con ulteriori provvedimenti di acconto e con quello di liquidazione finale.

4. Tanto premesso, il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso, che ha carattere logicamente preliminare ed assorbente rispetto agli altri, sia fondato.

Dall’interpretazione letterale della L. n. 575 del 1965, art. 2- octies e successive modifiche si evince che il legislatore ha fissato una serie di parametri oggettivi e predeterminati cui il Tribunale deve attenersi nel procedere (tra l’altro) alla liquidazione finale dei compensi in favore dei custodi e degli amministratori dei beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione:

a) il valore commerciale del patrimonio amministrato; b) l’opera prestata; c) i risultati ottenuti; d) la sollecitudine con la quale sono state svolte le operazioni di amministrazione; e) le tariffe professionali o locali; f) gli usi.

Il riferimento alle tariffe professionali o locali e agli usi deve essere correlato, in una prospettiva esegetica di tipo logico- sistematico, con il disposto della L. n. 575 del 1965, art. 2- septies, comma 5, e successive modifiche che autorizza l’Autorità giudiziaria a scegliere l’amministratore, oltre che tra i professionisti iscritti in appositi albi, anche fra le persone che “abbiano comprovata esperienza nell’amministrazione di beni del genere di quelli sequestrati”.

La lettura coordinata delle due disposizioni in precedenza richiamate consente di affermare che l’art. 2-octies, avuto riguardo alla sua ampia e diversificata portata applicativa e alla sua ratio, nonchè alla sua collocazione topografica, elenca in maniera onnicomprensiva e necessariamente generalizzata i criteri che devono guidare l’attività del giudice (tra l’altro) nella liquidazione finale dei compensi. Tenuto conto, però, della varietà delle figure professionali su cui può cadere la scelta motivata dell’Autorità giudiziaria e del loro differente inquadramento normativo, è indubbio che il richiamo alle tariffe professionali assume una valenza univoca solo con riguardo a quelle categorie i cui compensi siano oggetto di specifica disciplina. Viceversa, il rinvio alle tariffe locali o agli usi trova la sua ragione di essere con esclusivo riferimento alla nomina, quale amministratore, di una persona non inquadrata in alcuna delle categorie per le quali è dettata un’apposita disciplina riguardante la liquidazione delle spettanze (cfr. in senso conforme Sez. 2, n. 34030 del 19 settembre 2002).

5. Il provvedimento impugnato non ha fatto corretta applicazione di questi principi. Infatti, nella determinazione finali dei compensi spettanti agli amministratori dei beni sottoposti a sequestro nell’ambito del procedimento di prevenzione, ha omesso di considerare la qualità di avvocato del dott. C.A. e di dottore commercialista dei dott. M.F. e L.D., tutti professionisti per i quali i regolamenti adottati con appositi Decreti del Ministro della Giustizia (D.M. Giustizia 2 settembre 2010, n. 169 e D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127), nel disciplinare l’ipotesi del conferimento dell’incarico ad una pluralità di professionisti, dettano regole difformi rispetto al “criterio di scomposizione” seguito dalla Corte territoriale in ottemperanza alle circolari interne del Dirigente dell’Ufficio giudiziario, circolari che in nessun caso possono prevalere sulla normativa secondaria che stabilisce i criteri di liquidazione finale dei compensi in favore di professionisti appartenenti a categorie per le quali esista al riguardo un’apposita disciplina.

Per tutte queste ragioni s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2013.

Redazione