Ha diritto alla retribuzione il lavoratore assente per un dottorato di ricerca anche se in materie non attinenti all’impiego (Cass. n. 2422/2013)

Redazione 01/02/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12/6 – 30/7/07 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione proposta dal Policlinico (omissis) avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Pavia, che l’aveva condannato a corrispondere alla dipendente D. B. il trattamento retributivo maturato nel periodo di tre anni in cui quest’ultima era stata posta in collocamento straordinario per la frequentazione di un corso di dottorato di ricerca in psicologia, confermando la sentenza gravata e condannando l’appellante alle spese del grado.

Ha spiegato la Corte che sia l’interpretazione letterale della L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, che aveva apportato modifiche alla L. n. 476 del 1984, art. 2, che quella sistematica escludevano che la condizione per ottenere il congedo retribuito fosse da ricercare, come erroneamente sostenuto dall’appellante, in un collegamento funzionale del dottorato di ricerca con le mansioni svolte dal dipendente ammesso al relativo corso. Invero, secondo i giudici d’appello, la novità introdotta dalla finanziaria del 2002 era stata quella di consentire ai pubblici dipendenti di beneficiare di un congedo straordinario retribuito per l’intero periodo del dottorato, anche in caso di rinuncia alla borsa di studio, con la garanzia della clausola di stabilità, imposta al dipendente per i due anni successivi al conseguimento del dottorato, pena la restituzione degli importi erogati nel periodo di aspettativa.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico (omissis) che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso D.B..

La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo motivo la difesa della Fondazione ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 476 del 1984, art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, in relazione all’art. 12 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3), riproponendo, nel contempo, la questione di legittimità costituzionale della suddetta norma per asserita violazione degli artt. 3 e 97 Cost., ed in particolare per contrasto col principio del buon andamento dell’azione della pubblica amministrazione, in quanto sostiene che l’efficienza e l’economicità di quest’ultima verrebbero ad essere pregiudicate dall’applicazione della norma oggetto di causa, secondo la contestata interpretazione fornitane dalla Corte territoriale. A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se, considerati anche gli artt. 3 e 97 Cost., la L. n. 476 del 1984, art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, debba essere interpretato nel senso che il diritto del dipendente pubblico al congedo straordinario retribuito sorge in modo assoluto ed incondizionato, a prescindere dall’oggetto del corso di dottorato di ricerca, ovvero se, diversamente, la norma di legge succitata debba essere interpretata nel senso che il diritto al congedo straordinario retribuito sorge solo quando l’oggetto del corso di dottorato presenti un’obiettiva connessione con le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, vale a dire con l’attività concretamente svolta all’interno dell’Amministrazione di appartenenza, sì da determinare un’utilità per la medesima”.

Col secondo motivo è dedotta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente essendo sostanzialmente unica la questione sottoposta all’esame di questa Corte.

Il ricorso è infondato.

Invero, la L. 13 agosto 1984, n. 476, art. 2, integrato dal comma 57 della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 52, prevede che il dipendente pubblico ammesso a corsi di dottorato è collocato a domanda in congedo straordinario senza assegni (utile a tutti i fini di progressione di carriera, quiescenza e previdenza) nel caso fruisca di una borsa di studio; nel caso i corsi di dottorato non prevedano borse di studio o in caso il dipendente vi rinunci, il dipendente in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro, salva la ripetizione degli importi qualora, dopo il conseguimento del dottorato, il dipendente decida di interrompere, nei due anni successivi, il rapporto di lavoro.

Tale norma, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 18 maggio 1995, n. 201, regola la condizione di chi è ammesso ai corsi di dottorato ed è titolare di un rapporto di pubblico impiego, senza distinzione alcuna quanto all’amministrazione di appartenenza.

Ciò in ragione di rendere effettivo, secondo il giudice delle leggi, lo svolgimento delle attività richieste per la prosecuzione degli studi destinati all’approfondimento delle metodologie per la ricerca e la formazione scientifica: attività e studi che rispondono all’interesse, costituzionalmente rilevante, della ricerca scientifica.

In questo contesto, secondo la Corte costituzionale, la disposizione relativa al congedo straordinario ha carattere di norma speciale, che disciplina un aspetto considerato necessariamente connesso all’attività di studio e di ricerca nell’ambito delle strutture destinate ai corsi di dottorato, con effetti consequenziali sullo stato giuridico del dipendente ammesso ai corsi. La disposizione considerata fa quindi corpo con la materia della ricerca scientifica e dell’Università. Successivamente, la L. 30 dicembre 2010, n. 240, art. 19, comma 3, ha apportato una parziale modifica alla L. n. 476 del 1984, predetto art. 2, comma 1, stabilendo che al primo periodo, dopo le parole “è collocato a domanda” sono inserite le seguenti: “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione”.

Pertanto, la fattispecie delineata nella L. n. 476 del 1984, art. 2, con le modifiche sopra riportate, non può essere interpretata se non nel senso che deve essere garantita quanto più possibile la salvezza dei valori ai quali è ispirata la sua “ratio”, che non è volta a disciplinare un istituto particolare del pubblico impiego, ma ad introdurre una disciplina speciale, applicabile a tutti i pubblici dipendenti, nell’ottica dell’interesse costituzionalmente protetto della ricerca scientifica, altrimenti impedito nella sua attuazione dall’esistenza di una rapporto di pubblico impiego.

Orbene, se si ha riguardo alla “ratio”, si deve dire che il legislatore, nella comparazione degli interessi pubblici, ha valutato preminente quello della ricerca scientifica e, se si ha riguardo alla lettera della norma, si rileva agevolmente che essa dispone che ad una certa situazione soggettiva (pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca che ne fa domanda), consegue un determinato provvedimento amministrativo (collocamento in congedo straordinario), compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione, senza alcuna previsione di condizionamento dell’autorizzazione al congedo straordinario al fatto che l’oggetto del corso del dottorato di ricerca debba presentare una connessione con le mansioni svolte, così come tenta di sostenere infondatamente la ricorrente.

Da tutto ciò può dedursi che la norma in questione contempera il diritto allo studio del pubblico dipendente con l’interesse della pubblica amministrazione, che abbia ritenuto compatibile con le proprie esigenze quelle del lavoratore a conseguire il dottorato di ricerca, stabilendo una condizione di stabilità del rapporto di pubblico impiego attraverso la previsione della permanenza in servizio del dipendente medesimo presso l’amministrazione di appartenenza per almeno due anni, una volta conseguito il dottorato, pena la restituzione degli importi percepiti. Ne consegue che la garanzia, così attuata, del perseguimento dell’interesse generale alla professionalizzazione dei dipendenti pubblici, anch’esso strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione, esclude in radice qualsiasi profilo di incostituzionalità della norma in esame.

Il ricorso va, quindi, rigettato.

La particolare natura della questione trattata induce questa Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Redazione