Guida il gommone ad alta velocità e scontrandosi con un altro natante provoca la morte di un passeggero: risponde di omicidio colposo (Cass. pen. n. 27944/2013)

Redazione 26/06/13
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RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 7 giugno 2010 il G.U.P. del Tribunale di Napoli, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava A. C. colpevole del delitto di omicidio colposo in danno di P. C. e lo condannava alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale pari ad euro centomila e al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili.
Al A. C. era stato contestato il reato di cui all’articolo 589 c. 1 e c. 2 c.p., perché, alla guida di un gommone, percorrendo lo specchio d’acqua antistante la località di Nisida, a circa 250 metri dalla costa, per colpa consistita nel non aver osservato il vigente limite di velocità di 10 nodi, viaggiando invece alla velocità di venti nodi, nell’avere conservato la predetta velocità di marcia pur in presenza di visuale quasi integralmente compromessa dall’elevazione della prua del natante, determinata dall’elevata velocità, nell’avere omesso di verificare la presenza di altre imbarcazioni lungo la propria direzione di marcia, collideva contro l’imbarcazione da diporto ormeggiata nel predetto specchio d’acqua, a bordo della quale erano presenti P. C. ed B. E., procurando la morte di P. C., presente a bordo della predetta imbarcazione da diporto, avvenuta in seguito alle lesioni riportate nel sinistro.
Avverso la decisione del G.U.P. del Tribunale di Napoli ha proposto appello il difensore dell’imputato. La Corte di Appello di Napoli in data l9.04.20l2, con la sentenza oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava l’imputato al pagamento delle spese processuali del grado e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile liquidate come in dispositivo.
Avverso la predetta sentenza A. C., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento e la censurava per i seguenti motivi:
1) Inosservanza della legge processuale in relazione alla corretta applicazione delle norme disciplinanti l’interrogatorio di persona sottoposta alle indagini, ovvero le sommarie informazioni assunte da persona informata sui fatti che rende dichiarazioni auto indizianti; conseguente declaratoria di inutilizzabilità delle propalazioni rese in relazione agli articoli 63, 64, 191, 350, 364 c.p.p. e 24 e 111 Cost., in riferimento all’art. 589 c.p., Secondo la difesa infatti erroneamente il G.I.P. e la Corte territoriale avevano posto a base del proprio convincimento il verbale di sommarie informazioni rese dall’imputato in data 12 agosto 2009 davanti alla polizia giudiziaria. L’esame avrebbe dovuto essere interrotto per avere “la persona informata” reso dichiarazioni auto indizianti.
2) Inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale a proposito alla corretta individuazione dei limiti del mezzo di prova della testimonianza in relazione agli articoli 191, 194, 220, 351 c.p.p. e 589 c.p.. Sosteneva sul punto la difesa del ricorrente che l’asserita violazione delle norme che disciplinano la circolazione dei natanti, e in particolare l’eccessiva velocità, era stata desunta dalle dichiarazioni rese dall’imputato e dalle deposizioni di alcuni bagnanti. Tuttavia, secondo la difesa, il giudice non poteva tener conto sul punto delle valutazioni di tali persone, ma avrebbe dovuto espletare un accertamento tecnico che accertasse l’effettiva velocità tenuta dall’imputato.
3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione ai requisiti occorrenti per la concessione delle attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere concesse all’imputato, nonché erroneo utilizzo dei parametri di cui all’art. 133 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

OSSERVA LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti motivi di ricorso non sono fondati.
Per quanto attiene al primo motivo, si osserva che, come si legge nella sentenza emessa nel giudizio di primo grado che, con quella di appello, costituisce un unico compendio motivazionale, e altresì nella sentenza impugnata, l’imputato in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero in data 16.10.2010, alla presenza del difensore di fiducia, ha confermato quanto affermato davanti alla polizia giudiziaria al momento del fatto, in particolare ha confermato la circostanza che egli teneva una velocità di circa 20 nodi (mentre il limite era pari a circa 10 nodi) e la circostanza che il gommone da lui condotto “presenta una prua molto alta, e quindi in fase di accelerazione dei motori la prua si impenna e si riduce notevolmente la visuale, come è successo prima del sinistro” (cfr. pag. 5 e 15 della sentenza di primo grado). Entrambe le sentenze di primo e secondo grado hanno poi evidenziato che i molti testimoni escussi hanno dichiarato, confermando quanto dichiarato dall’imputato, che il A C. procedeva a forte velocità, con la prua completamente fuori dall’acqua, tanto che, per la violenza dell’impatto, il gommone “era salito per quasi la metà della sua lunghezza sull’imbarcazione investita, per poi scivolare in mare da poppa”.
La sentenza di primo grado ha evidenziato poi come dall’esame dei rilievi fotografici eseguiti sia sul natante occupato dalla coppia E/C, sia sul gommone si evinceva chiaramente l’entità dei danni subiti dall’imbarcazione investita, tali da dare conto, unitamente alla gravità e alla tipologia dei danni cagionati alla vittima, dell’elevata velocità della barca investitrice, senz’altro non conforme alla normativa vigente.
Sulla base di tali argomentazioni di entrambe le sentenze appare all’evidenza infondata la doglianza della difesa del ricorrente, che riteneva necessario un accertamento tecnico per accertare la velocità tenuta da gommone guidato dal A. C.
Assolutamente adeguata e congrua è poi la motivazione della sentenza impugnata a proposito del diniego delle circostanze attenuanti generiche e dell’entità della pena, in considerazione appunto della gravità della condotta, delle circostanze dell’azione, del comportamento tenuto dall’imputato, che non aveva dimostrato nessuna resipiscenza, preoccupandosi invece di indicare, contrariamente al vero, la presenza di altra persona a bordo del natante, anche se solo a fini assicurativi.
Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.06.2013

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