Giudizio abbreviato: no alla modifica dell’imputazione da furto a ricettazione se non permette il pieno esercizio della difesa (Cass. pen. n. 1625/2013)

Redazione 14/01/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 31/10/2011, la Corte di Appello di Cagliari confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Lanusei in data 04/11/2010 con la quale M.A. era stato condannato per il reato di ricettazione di una betoniera di proprietà di C. P., cosi diversamente qualificata l’originaria imputazione di furto aggravato ex art. 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 7, a lui ascritta. La Corte di Appello confermava altresì l’impugnata sentenza relativamente alle statuizioni a favore della costituita parte civile.

2. Avverso la suddetta sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

2.1. NULLITA’ DELLA DECISIONE IMPUGNATA E DI QUELLA DI PRIMO grado per avere la Corte territoriale violato il principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza: secondo il ricorrente, poichè la difesa aveva chiesto il giudizio abbreviato allo stato degli atti ex art. 438 c.p.p., comma 1, e non, come aveva affermato il giudice di primo grado alla pag. 2 della sentenza, quello “condizionato”, sia il Tribunale sia la Corte di Appello, non avrebbero dato la possibilità all’imputato di revocare eventualmente la richiesta di definizione allo stato degli atti con conseguente prosecuzione del processo nelle forme ordinarie. Sostiene il ricorrente che i giudici di merito non avrebbero potuto condannarlo per il reato di ricettazione senza previamente informarlo in modo da metterlo in condizione di difendersi con specifico riferimento alla diversa imputazione; in alternativa, avrebbero dovuto disporre la trasmissione degli atti al P.M. ex art. 423 c.p.p..

Inoltre, secondo il ricorrente, la differente qualificazione giuridica del fatto sarebbe avvenuta sul presupposto di due ulteriori violazioni.

Innanzitutto, la Corte avrebbe violato l’art. 27 Cost., commi 1 e 2, avendo ritenuto corretta la diversa qualificazione del fatto originariamente contestato sulla base di una illegittima valutazione del silenzio serbato dall’imputato: secondo la difesa, il mutamento della qualificazione giuridica della fattispecie in ricettazione sarebbe stato motivato valorizzando la mancanza di una dichiarazione confessoria da parte del M. in relazione al furto contestatogli.

In secondo luogo, sarebbe stato violato l’art. 63 c.p.p., comma 2, in quanto la Corte di merito aveva giustificato la diversa qualificazione del fatto utilizzando le dichiarazioni autoaccusanti rese dal M. alla Polizia Giudiziaria, non verbalizzate ma semplicemente specificate nella C.N.R., sulle modalità di acquisto della betoniera asseritamente sottratta al C.: il ricorrente sostiene che tali dichiarazioni sarebbero inutilizzabili perchè, nel momento in cui erano state rese, si sarebbero dovute assicurare al M. le garanzie difensive necessariamente connesse alla sua sostanziale qualità di persona indagata.

2.2. Insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p.p., n. 7, in quanto la betoniera era stata sottratta da un terreno di proprietà della parte offesa di cui la stessa non aveva neppure descritto le caratteristiche: in conseguenza di ciò, la Corte avrebbe dovuto dichiarare non doversi procedere per mancanza di querela.

2.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, e art. 533 c.p.p., comma 1, e contraddittoria e illogica motivazione per avere la Corte di Appello condannato l’odierno ricorrente nonostante l’assoluta inconsistenza delle prove a suo carico. La difesa rileva che le caratteristiche della betoniera descritte dal C. erano del tutto generiche, trattandosi di un bene privo di segni identificativi, in possesso del M. ben prima del furto ed avente ammaccature derivanti dall’uso non certo esclusive, peraltro coperte da una recente verniciatura. Il ricorrente, inoltre, evidenzia che il G.I.P. del Tribunale di Lanusei, stante l’incertezza in ordine all’individuazione del mezzo, aveva revocato il provvedimento di restituzione già disposto in precedenza in favore del C. dal P.M.. Ancora, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazione le dichiarazioni rese dal sig. D., il quale aveva riferito che l’imputato deteneva quella betoniera, di cui aveva descritto le caratteristiche, da ben prima che si perpetrasse il furto in danno del C., senza motivare alcunchè riguardo a tale circostanza. Infine, il comportamento del C. desterebbe delle perplessità in quanto avrebbe denunciato il furto solo circa quattro mesi dopo la sottrazione della betoniera e si sarebbe recato spontaneamente in caserma per riferire di avere trovato in circostanze casuali il bene presso l’abitazione del genero del M.: secondo il ricorrente, la ritardata denuncia potrebbe essere spiegata soltanto con l’intento, da parte della persona offesa, di identificare “a tutti i costi e con notevoli forzature” la betoniera del M. con quella sottrattagli.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.

2. Dagli atti di causa, la vicenda processuale in esame può essere riassunta nei termini che seguono.

Il M. era tratto a giudizio per il “delitto di cui all’art. 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 7, perchè, al fine di trame profitto, s’impossessava di una betoniera di proprietà di C.P.;

fatto aggravato perchè commesso su cose esposte per necessità alla pubblica fede. In (omissis)”.

Il difensore, munito di procura speciale, richiedeva che il processo fosse definito con il rito abbreviato allo stato degli atti non formulando alcuna istanza probatoria.

Il giudice, peraltro, disponeva l’esame testimoniale degli agenti di P.G. che avevano proceduto al sequestro e redatto il relativo verbale.

All’esito della discussione, il P.m. chiedeva la condanna a mesi due di reclusione ed Euro 50,00 per il reato di furto, mentre il difensore concludeva per l’assoluzione.

Con sentenza pronunciata in data 4/11/2010, il giudice monocratico del Tribunale di Lanusei, riqualificava il fatto in ricettazione e condannava l’imputato alla pena di mesi dieci, giorni venti di reclusione ed Euro 90,00 di multa. Il giudice escludeva che “potesse sussistere una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perchè il contenuto essenziale della seconda imputazione doveva ritenersi compreso nella più ampia previsione dell’originaria contestazione di furto” (cfr pag. 2 sentenza di appello).

La suddetta sentenza, nonostante l’appello dell’imputato che aveva dedotto, fra l’altro, la violazione dell’art. 522 c.p.p., era confermata dalla Corte di Appello la quale respingeva la suddetta doglianza osservando che: a) l’imputato non aveva mai confessato di aver rubato la betoniera in questione; b) non era configurabile alcuna violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza in quanto “la qualificazione ha costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito ed è stata presa in considerazione, avendo l’imputato sostenuto di avere acquistato la betoniera da persona di cui non ha voluto o saputo indicare il nominativo, sulla base di un annuncio pubblicato sul giornale (omissis)” (cfr pag. 4 sentenza).

Va osservato che la suddetta dichiarazione la Corte l’ha tratta dalla Comunicazione della Notizia di Reato datata (omissis) nella quale la P.G. scriveva che il M. aveva sostenuto di avere acquistato la betoniera “mediante un annuncio gratuito sul giornale (omissis) da un signore di (omissis) non meglio identificato…”: sul punto, peraltro, il ricorrente, ha obiettato che “dalla lettura della c.n.r. non si capisce neppure se dette dichiarazioni siano state rese spontaneamente o meno. Ciò che conta è che così facendo la Corte di Appello ha completamente obliterato i principi… di assoluta inutilizzabilità delle dichiarazioni (“spontanee dichiarazioni”) di persona nella veste di cui all’art. 63 c.p.p., che facciano riferimento a fatti, dati o circostanze che abbiano un rapporto processuale con quelli per cui si procede”: cfr pag. 8 ricorso.

3. Nella presente fattispecie confluiscono una serie di principi che è opportuno rammentare tornando utili alla decisione.

4. L’art. 521 c.p.p., stabilisce che il giudice può dare al fatto storico una definizione giuridica diversa da quella dell’imputazione, purchè il fatto non ecceda la sua competenza nè risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anzichè monocratica.

La ratio del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, va rinvenuta nel diritto di difesa e del contraddittorio sul contenuto dell’accusa, non potendo l’imputato “essere giudicato e condannato per fatti relativamente ai quali non sia stato in condizioni di difendersi”: ex plurimis Cass. 21094/2004, rv. 229021.

Sul punto, le Sezioni Unite hanno affermato che “per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione: SSUU 16/1996, rv. 205619.

Valorizzando, da una parte, la citata ratio del principio di correlazione e, dall’altra, il criterio teleologia) del mancato pregiudizio per la difesa dell’imputato, quale limitazione di derivazione giurisprudenziale del generale principio di cui all’art. 521 c.p.p., funzionale alla garanzia del contraddicono, il costante orientamento di legittimità afferma, quindi, che “non può ravvisarsi immutazione non consentita del fatto qualora quello ritenuto in sentenza, ancorchè diverso da quello contestato con l’imputazione, sia stato prospettato dallo stesso imputato quale elemento a sua discolpa ovvero per fame derivare, in via eventuale, una sua penale responsabilità per reato di gravità minore: in tal caso l’imputato si è fatto automaticamente carico del suo assunto ed in relazione al diverso fatto ha apprestato le sue difese”. Cass. 5777/1995, rv. 201673; Cass. 9178/1997, rv. 209363; Cass. 5329/2000, rv. 215903; Cass. 20118/2010, rv. 247330; Cass. 23288/2010, rv. 247761) In particolare, quanto alla possibilità di mutare la qualificazione giuridica dall’originaria imputazione di furto a quella di ricettazione, questa Corte ha ritenuto che “(…) qualora venga dedotta la violazione del principio di necessaria correlazione fra accusa contestata e sentenza, al fine di verificare se vi sia stata una trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito, non soltanto va apprezzato in concreto se nella contestazione, considerata nella sua interezza, non si rinvengano gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, ma anche se una tale trasformazione, sostituzione o variazione abbia realmente inciso sul diritto di difesa dell’imputato, e cioè se egli si sia trovato o meno nella condizione concreta di potersi difendere. E’ il caso di osservare che, sulla base delle considerazioni appena svolte, risulta ormai superato quell’orientamento giurisprudenziale, che, in tema di qualificazione giuridica del fatto come furto a quella di ricettazione e viceversa, si era espresso nel senso che è ammissibile e legittima solo la riqualificazione del fatto originariamente contestato come furto in quello di ricettazione e non il contrario, facendo leva sul criterio della “continenza del fatto” (rv 219818; rv 152273; rv 179538). Invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, condiviso dal Collegio, il criterio da applicare è quello “teleologico” del mancato pregiudizio per la difesa dell’imputato, quale limitazione di derivazione giurisprudenziale del generale principio di cui all’art. 521 c.p.p., funzionale alla garanzia del contraddittorio, con la precisazione che il criterio è operante a prescindere dalle strategie processuali dell’imputato e dalla opzione, dallo stesso eventualmente effettuata, di non fornire una propria versione dei fatti, atteso che la concreta possibilità di difendersi consiste non soltanto nella scelta di rispondere o meno alle domande delle parti, ma nell’insieme delle opzioni difensive che si esplicano in tutte le fasi e gli stati del giudizio (cfr. Cass. pen., Sez. 5^, 13/12/2007, n. 3161). Ne consegue che quando nel capo di imputazione originario siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizione di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di doverosa correlazione tra accusa e sentenza; risultando legittima in tale prospettiva non solo l’ipotesi (che qui ricorre) di riqualificazione del furto in ricettazione, ma anche quella opposta di riqualificazione della ricettazione come furto (Cass. n. 3161/2007 cit.)”: Cass. 38889/2008 riv 241446.

5. I suddetti principi sono stati ritenuti applicabili anche al giudizio abbreviato.

Si è, infatti, osservato che “il potere del giudice di dare in sentenza al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, previsto dall’art. 521 c.p.p., comma 1, è esercitarle anche con la sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato”, non rilevando “che in tale rito non sia applicabile, per l’esclusione fattane dall’art. 441 c.p.p., l’art. 423 c.p.p., in quanto tale ultima norma prevede soltanto la facoltà del pubblico ministero di modificare l’imputazione procedendo alla relativa contestazione, non avendo nulla a che vedere con l’autonomo ed esclusivo potere-dovere del giudice di dare al fatto una diversa definizione giuridica, contemplato dall’art. 521 c.p.p., comma 1, applicabile, benchè non specificamente richiamato in sede di giudizio abbreviato”: ex plurimis Cass. 9213/1996, rv. 206207.

E’ stato anche ritenuto che “sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, anche se inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un altro autonomo verbale”: ex plurimis Cass. 8675/2011 rv. 252279.

6. Nell’ambito della suddetta problematica, s’inserisce, ora, anche l’art. 6, comma 3, lett. a) e b), della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, a norma del quale “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, (…), da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…) 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di; a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessaria a preparare la sua difesa; (…)”.

Secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, la suddetta norma esige che l’imputato, una volta informato dell’accusa, sia anche messo in condizione di poter discutere su ogni profilo che investe i fatti contestatigli e la qualificazione giuridica ad essi attribuita.

La Corte Edu, nel caso Drassich vs Italia deciso in data 11/12/2007 – in un processo penale nel quale la Corte di Cassazione, riqualificando i fatti contestati, nella fattispecie di cui all’art. 319 ter c.p., aveva rigettato il ricorso dell’imputato condannato dai giudici di merito in relazione al diverso reato di cui all’art. 319 c.p. – in applicazione dell’art. 6, paragr. 3, ha affermato che: “…

le disposizioni del paragrafo 3 dell’articolo 6 rivelano la necessità di porre una cura particolare nel notificare l’accusa all’interessato.

Poichè l’atto d’accusa svolge un ruolo fondamentale nel procedimento penale, l’art. 6 p.3 a) riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti (********* e ***** e. Francia GC, n. 25444/94, 51, CEDU 1999- 11). La portata di questa disposizione deve essere valutata in particolare alla luce del più generale diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1 dell’art. 6 della Convenzione. In materia penale, una informazione precisa e completa delle accuse a carico di un imputato, e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti, è una condizione fondamentale dell’equità del processo. Peraltro, le cose non cambiano in materia civile, dato che la Corte ha affermato che il giudice deve rispettare il principio del contraddittorio e dare alle parti la possibilità di conoscere e discutere tutte le questioni fondamentali per l’esito del procedimento, in particolare quando esso rigetta un ricorso per cassazione o pone fine a una causa sulla base di un motivo sollevato d’ufficio (Clinique des Acacias e altri c. Francia, nn. 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, 38, 13 ottobre 2005; Prikyan e Angelova c. Bulgaria, n. 44624/98, 52, 16 febbraio 2006). Le disposizioni dell’art. 6 p.3 a) non impongono alcuna forma particolare per quanto riguarda il modo in cui l’imputato deve essere informato della natura e del motivo dell’accusa formulata nei suoi confronti. Esiste peraltro un legame tra i commi a) e b) dell’art. 6, p.3, e il diritto di essere informato della natura e del motivo dell’accusa deve essere considerato alla luce del diritto per l’imputato di preparare la sua difesa (********* e ***** c. Francia già cit., 52-54). Se i giudici di merito dispongono, quando tale diritto è loro riconosciuto nel diritto intemo, della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti”.

In particolare, la Corte Edu, nella suddetta sentenza, ha precisato che, al fine di verificare se vi sia stata o meno violazione della Convenzione, il giudice deve procedere ad un triplice accertamento:

a) deve, innanzitutto, verificare, in concreto “se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata”;

b) “la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti”;

c) quali siano state “le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente”.

Alla stregua dei suddetti principi, la Corte Edu, concluse che, nel caso Drassich, vi era stata violazione dell’art. 6 p.1 e 3 a) e b) della Convenzione.

Va rilevato che, questa Corte di legittimità, ha poi precisato, proprio a seguito del caso Drassich, che:

– “In tema di correlazione tra sentenza ed accusa contestata, la regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza 11 dicembre 2007, ******** c. Italia), secondo cui la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio, è conforme al principio statuito dall’art. 111 Cost., comma 2, che investe non soltanto la formazione della prova, ma anche ogni questione che attiene la valutazione giuridica del fatto commesso. Ne consegue che si impone al giudice una interpretazione dell’art. 521 c.p.p., comma 1, adeguata al decisum del giudice Europeo e ai principi costituzionali sopra richiamati”: Cass. 45807/2008 riv 241754;

– la garanzia del contraddittorio in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto deve ritenersi assicurata anche quando venga operata dal giudice di primo grado nella sentenza pronunziata all’esito del giudizio abbreviato, in quanto con i motivi d’appello l’imputato è posto nelle condizioni di interloquire sulla stessa, richiedendo una sua rivalutazione e l’acquisizione di integrazioni probatorie utili a smentirne il fondamento: Cass. 10093/2012 Rv. 251961.

7. Resta ora da valutare se e come i suddetti principi di diritto siano stati applicati al concreto caso di specie.

L’osservazione preliminare dalla quale occorre partire è che l’imputato chiese che il processo si celebrasse con rito abbreviato incondizionato, non avendo richiesto l’ammissione di alcun mezzo di prova.

L’imputato chiese, quindi, di accedere ad un rito a “prova contratta” accettando che la sua vicenda processuale fosse definita alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciando a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge, invece, nelle forme ordinarie del dibattimento.

Ora, fermo restando che va confermato l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è possibile riqualificare il fatto da furto a ricettazione, quello che va verificato è se il diritto di difesa e del contraddittorio, nel caso di specie, sia o no stato violato.

L’esame, come stabilito dalla Corte Edu, deve svolgersi sotto un triplice profilo:

a) se, in concreto, fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti potesse essere riqualificata;

b) quali mezzi di difesa che l’imputato avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti;

c) quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena.

Al punto sub a), nonostante il contrario avviso dei giudici di merito, deve darsi risposta negativa.

L’imputato fu tratto a giudizio con uno specifico e puntuale capo d’imputazione nel quale, anche per come era stato formulato, è problematico ipotizzare che potesse in sè comprendere la diversa ipotesi della ricettazione.

La Corte territoriale sostiene che l’imputato ebbe modo di difendersi e trae questa conclusione da quanto scritto dalla P.G. nella notizia di reato.

In realtà, se è vero che, nel giudizio abbreviato, possono essere utilizzate anche le dichiarazioni “spontanee” rese dall’imputato, è anche vero che tale particolare principio va filtrato alla luce della regola di cui all’art. 521 c.p.p..

Nel caso di specie, infatti, l’imputato era stato messo conoscenza che era indagato di furto (e non di ricettazione), sicchè si limitò a negare l’addebito.

La Corte sostiene che tale circostanza sarebbe già di per sè idonea a far ritenere che l’imputato introdusse nella dialettica processuale, l’eventualità che il fatto (furto) potesse essere diversamente qualificato in ricettazione.

Sennonchè, deve ribattersi che la suddetta circostanza è del tutto neutra ai fini della qualificazione giuridica, essendosi l’imputato limitato ad esercitare il suo diritto primario di difesa che non può che esprimersi nel negare ogni responsabilità: negare l’addebito di furto non significa, di per sè, ammettere o introdurre nella dialettica processuale, la diversa e più grave ipotesi di ricettazione.

La Corte, ha, poi, sostenuto che “la qualificazione ha costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito ed è stata presa in considerazione, avendo l’imputato sostenuto di avere acquistato la betoniera da persona di cui non ha voluto o saputo indicare il nominativo, sulla base di un annuncio pubblicato sul giornale (OMISSIS)”.

Ma, sul punto, è difficile dare torto al ricorrente che, giustamente, ha obiettato che non si trattava di un vero e proprio esame nè di un’affermazione effettuata nella pienezza del contraddicono, ma di un’affermazione riportata dalla P.G. nella Comunicazione della Notizia di Reato datata 18/11/2005 dalla cui lettura non si capisce quando, come e in che contesto quelle dichiarazioni furono rese: ben altro valore, invece, avrebbero avuto dichiarazioni rese ratione cognita.

E che quelle dichiarazioni non avessero una particolare valenza autoaccusatoria, lo si desume dal fatto che lo stesso P.M., all’esito del giudizio, e nonostante l’integrazione probatoria disposta dal giudice ex officio, non ritenne di mutare la qualificazione giuridica, avendo insistito per la condanna dell’imputato per il reato di furto.

Si può, quindi, affermare che, nel caso di specie, non era prevedibile per il ricorrente, anche all’esito del processo, che l’accusa di furto, inizialmente formulata nei suoi confronti, potesse essere riqualificata in quella di ricettazione.

Quanto al punto sub b) – ossia quali mezzi di difesa l’imputato avrebbe potuto invocare in grado di appello – va premesso che, come si è detto, il M. aveva chiesto di accedere al rito abbreviato incondizionato.

In relazione a tale forma di giudizio, questa Corte di legittimità ha costantemente enunciato i seguenti principi:

– la celebrazione del rito abbreviato, se non impedisce al giudice di appello di esercitare i suoi poteri d’ufficio di integrazione probatoria, esclude che esista un diritto dell’imputato giudicato con rito abbreviato alla richiesta di rinnovazione del dibattimento ed un obbligo per il giudice di motivare la reiezione della richiesta di rinnovare il dibattimento. Infatti, con la richiesta di essere giudicato alla stato degli atti l’imputato ha rinunziato all’acquisizione di ulteriori prove, tranne quelle alla cui acquisizione, eventualmente, il giudizio abbreviato era stato subordinato: Cass. 3609/2011 Rv. 249161; Cass. 15296/2004 Rv. 228535; Cass. 15573/2005 Rv. 233956;

– il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri officiosi di rinnovazione dell’istruttoria, sollecitato a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, dall’imputato che abbia optato per il giudizio abbreviato “senza integrazione probatoria”, non costituisce un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d): Cass. 7485/2008 Rv. 242905; Cass. 25659/2009 Rv. 244163.

Ciò, quindi, sta a significare che l’imputato non solo non aveva alcuna possibilità di dedurre (nuove) prove a suo discarico nel giudizio di appello ma non avrebbe avuto, in caso di diniego da parte del giudice di appello, neppure la possibilità di censurare la decisione in sede di legittimità: invero, una cosa è dedurre prove, altra cosa è potersi limitare a sollecitare il giudice di appello ad assumerle d’ufficio e non avere neppure la possibilità di censurare la decisione eventualmente negativa.

E’ del tutto irrilevante, poi, che, nel caso in esame, l’imputato non abbia dedotto alcuna prova perchè ciò che rileva è che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello nel rito abbreviato incondizionato rappresenta, in virtù del descritto meccanismo processuale, di per sè, una evidentissima compressione del diritto di difesa tale da frustrare, in pratica, ogni diritto di difesa nell’ipotesi in cui venga mutata, ex officio, la qualificazione giuridica del fatto.

Infine, quanto al punto sub c) – ossia se e quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena – è appena il caso di rilevare che il reato di furto è meno grave della ricettazione, tant’è che, a fronte di una richiesta di condanna da parte del P.M. di mesi due ed Euro 50,00 di multa, l’imputato si è ritrovato condannato ad una pena di mesi dieci, giorni venti di reclusione ed Euro 90,00 di multa.

8. In conclusione, entrambe le sentenze vanno annullate e gli atti trasmessi al P.M. presso il Tribunale di Lanusei alla stregua del seguente principio di diritto: “Deve ritenersi violato il principio del giusto processo, sotto il profilo del diritto alla difesa e del contraddittorio, ove, all’esito del giudizio abbreviato incondizionato, l’originaria imputazione di furto venga riqualificata in ricettazione se, in concreto, per l’imputato non fosse sufficientemente prevedibile che l’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti potesse essere riqualificata e, quindi, non sia stato messo in concreto nella possibilità di difendersi. Le genetiche affermazioni dell’imputato riportate nella comunicazione di notizia di reato redatta dalla Polizia Giudiziaria, non possono – nel giudizio abbreviato incondizionato -essere valorizzate ai danni dell’imputato in relazione al diverso e più grave reato di ricettazione, ove, sulle medesime, non sia stata attivata alcuna forma di contraddittorio”.

P.Q.M.

ANNULLA la sentenza impugnata e quella di primo grado e DISPONE trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei.

Redazione