Gara di appalto – Requisiti generali – Mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna ai fini della comprova del requisito di moralità professionale – Integra autonoma causa di esclusione del concorrente (Cons. Stato n. 4392/2013)

Redazione 02/09/13
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FATTO e DIRITTO

1.- Le società appellanti, partecipanti in associazione temporanea d’imprese alla gara d’appalto indetta nel 2007 dall’Inail per l’affidamento per cinque anni del servizio di vigilanza presso gli immobili nella disponibilità dell’istituto in Roma, impugnano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 27 marzo 2009 n. 3215 nella parte in cui ha respinto l’originario ricorso di esse appellanti, disattendendo la connessa richiesta risarcitoria.
Assumono le appellanti, in un primo momento rimaste aggiudicatarie della gara d’appalto, che inopinatamente l’Istituto appellato avrebbe disposto, in autotutela, il ritiro della aggiudicazione
in loro favore, disponendo per l’aggiudicazione della stessa gara alla società Security Service s.r.l., seconda graduata.
A base dell’annullamento della originaria aggiudicazione, l’istituto appellato avrebbe addotto la motivazione del sopravvenuto accertamento di precedenti penali, non dichiarati in sede di domanda partecipativa, a carico del legale rappresentante della Italpol Vigilanza Roma s.r.l., mandante del raggruppamento d’imprese costituito con Centralpol s.r.l. e Sogest s.r.l..
Deducono le appellanti che, in ragione del riferimento, contenuto nella clausola del bando partecipativo relativa ai requisiti di ammissione, all’art. 38 del d.lgs. 163 del 2006 ( recante il Codice dei contratti pubblici) avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione, in quanto incidenti sul requisito di capacità generale, soltanto le condanne penali per reati “gravi”, laddove nella fattispecie in esame i titoli di reato risultanti dal casellario giudiziario erano tutti riferibili ad ipotesi contravvenzionali, assai risalenti nel tempo, per le quali era peraltro intervenuta depenalizzazione ovvero declaratoria giudiziale di estinzione dei reati. Tali peculiari connotazioni delle fattispecie di reato rendevano insussistente, a parere delle appellanti, l’obbligo dichiarativo, di tal che senz’altro illegittimo avrebbe dovuto ritenersi il provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione.
Concludono le appellanti per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della impugnata sentenza, del
ricorso di primo grado, con consequenziale annullamento, per quanto di ragione, degli atti in quella sede impugnati e, in ogni caso, per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subìti dalle appellanti in conseguenza dell’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione in loro favore.
Si è costituito in giudizio l’Inail nonché la società privata appellata per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno illustrato con memorie le loro rispettive tesi difensive.
All’udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto per quanto di ragione.
3.- Va osservato, anzitutto, che essendo allo stato attuale già stata esperita la gara ed integralmente eseguito il contratto stipulato con la nuova aggiudicataria Security Service s.r.l., la violazione dell’interesse della parte appellante all’aggiudicazione dell’appalto ed all’esecuzione in proprio ( nella sua composizione plurisoggettiva) della commessa non potrebbe più trovare riparazione in forma specifica, ma soltanto nella forma del risarcimento del danno per equivalente. Cionondimeno, anche nella prospettiva della eventuale riparazione del danno per equivalente, va preliminarmente condotto l’esame sulla legittimità dell’azione amministrativa consistita nel ritiro dell’aggiudicazione in favore dell’odierno raggruppamento appellante e nella finalizzazione della procedura di gara con la appellata Security Service s.r.l..
4.- Sempre in via preliminare, il Collegio rileva che si possa prescindere dall’esame del primo motivo di censura, afferente la questione dell’omessa comunicazione d’avvio del procedimento di annullamento della aggiudicazione, in quanto l’appello e, per riflesso, il ricorso di primo grado, risultano fondati quanto alla principale questione di merito che viene portata allo scrutinio giurisdizionale.
5.- Ed invero, la sezione ritiene non condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado riguardo alla (contestata) legittimità del segmento di gara contrassegnato dall’annullamento della originaria aggiudicazione e dall’affidamento del servizio di vigilanza oggetto di gara alla seconda graduata Security Service s.r.l.
Nella motivazione della pronuncia reiettiva, il giudice di primo grado ha sostenuto la legittimità del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione, già disposta in favore dell’odierna parte appellante, sull’assunto della incompletezza e della non veridicità della dichiarazione resa in sede di gara dell’amministratore di una delle società (********************** s.r.l.) partecipanti al raggruppamento temporaneo, e ciò a prescindere dalla gravità o meno dei titoli di reato non dichiarati, il cui apprezzamento spetta non al dichiarante ma in ogni caso alla amministrazione aggiudicatrice. Inoltre, i primi giudici hanno rilevato che se per le fattispecie di reato dichiarate estinte la mancata dichiarazione potrebbe ritenersi giustificabile, in quanto nel testo dell’art. 38 d.lgs. 163 del 2006, vigente all’epoca dell’esperimento della gara, la estinzione del reato era espressamente contemplata quale causa di esclusione dell’obbligo dichiarativo, tanto non potrebbe dirsi per i reati depenalizzati, in ordine ai quali nulla stabiliva ( all’epoca dei fatti) la appena richiamata disposizione normativa del Codice dei contratti.
6.- Il Collegio è di diverso avviso.
6.1- Il tema principale del decidere consiste nel verificare la legittimità del provvedimento col quale l’Inail, in esito alle risultanze del controllo ( successivo all’aggiudicazione) sui requisiti di capacità generale di cui all’art. 38, comma 3, del d.lgs n. 163 del 2006, dichiarati dall’originario raggruppamento d’imprese aggiudicatario, ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione in favore dell’odierna parte appellante sul rilievo che dal certificato del casellario giudiziale del rappresentante legale dell’Istituto Italpol Vigilanza Roma s.r.l. risulterebbero ” varie condanne per reati di diversa natura commessi negli anni dal 1973 al 1996″.
In effetti, dal certificato del casellario giudiziale emergevano, a carico del suindicato soggetto, tre condanne per reati commessi tra il 1973 ed il 1974 (per emissione di assegni a vuoto, violazione delle norme sul collocamento ed inosservanza dei limiti di velocità) in ordine ai quali era tuttavia intervenuta, in virtù delle disposizioni normative espressamente richiamate nel predetto certificato, la depenalizzazione delle fattispecie criminose. Quanto ai titoli di reato di cui ai nn. 4 e 5 del medesimo certificato giudiziale, oggetto dei decreti penali di condanna del Gip presso il Tribunale di Roma rispettivamente del 21 marzo 1995 e del 12 aprile 1996, risultava dallo stesso certificato che erano intervenuti distinti provvedimenti giudiziali dichiarativi dell’estinzione dei reati, ai sensi dell’art. 460, comma 5, del Codice di procedura penale.
6.2 – Il Collegio è ben consapevole che l’orientamento ormai costante di questo Consiglio di Stato ( cui anche la sezione ritiene di aderire) è nel senso che l’esistenza di dichiarazioni non veritiere sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna ai fini della comprova del requisito di moralità professionale, integri autonoma causa di esclusione del concorrente dalle procedure di gara, e ciò in quanto la valutazione circa la sussistenza del requisito di moralità professionale spetta esclusivamente alla stazione appaltante e non al partecipante, di tal che quest’ultimo non potrebbe mai omettere, nella dichiarazione sostitutiva da produrre in sede di gara, dati penalmente rilevanti che possano incidere sulla sua stessa partecipazione alla gara.
6.3- Tuttavia, è proprio quest’ultimo il profilo meritevole di approfondimento in quanto, a parer del Collegio, le condanne penali da dichiarare a comprova del requisito di moralità professionale devono, nell’attualità in cui vengono rese, necessariamente mantenere, quantomeno in astratto, una valenza pregiudizievole sul piano penale ( altrimenti non si spiegherebbe il riferimento alle condanne penali per gravi reati, contenuto nel codice dei contratti pubblici, quale indice sintomatico di mancanza di moralità professionale), soltanto in tali casi trovando giustificazione la valutazione, riservata in via esclusiva alla stazione appaltante, della concreta incidenza di quanto dichiarato sul diritto del concorrente di partecipare a pieno titolo alla gara.
6.4 -Nel caso in esame, è dirimente osservare che le condanne penali la cui dichiarazione risulta omessa si riferiscono a reati in parte qua dichiarati estinti dal giudice penale e, per altra parte, a reati già depenalizzati all’epoca della presentazione delle domande di gara.
Questo Consiglio di Stato ( Cons. St., V sez., 23 luglio 2009 n.4594) ha già statuito, sia pure in relazione a distinta gara d’appalto, la irrilevanza delle dichiarazioni omesse da ********************** s.r.l. in relazione alle medesime fattispecie di reato che vengono in rilievo anche nel presente giudizio. Il Collegio non ravvisa ragioni, sul punto, per discostarsi da tale specifico precedente.
6.5- In ordine alla categoria dei reati estinti, va osservato che il giudice di primo grado sembra condividere la tesi della insussistenza di un obbligo dichiarativo in capo all’amministratore della mandante Italpol posto che l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, già nel testo vigente all’epoca della gara per cui è giudizio, aveva espressamente previsto che non andassero dichiarate le condanne per reati estinti (il riferimento, contenuto nel testo dell’art. 38 all’epoca vigente, era ai casi di estinzione di cui all’art. 445, comma 2, del Cod. proc. pen.) .
Il Collegio ritiene che non possano esservi dubbi sul fatto che, anche nelle ipotesi di reati estinti ai sensi dell’art. 460 del cod. proc. pen., non sussistesse, già all’epoca dello svolgimento della gara de qua, alcun obbligo dichiarativo ai fini della dimostrazione del requisito di moralità professionale.
L’art. 460, comma 5, del codice di procedura penale, con affermazione speculare rispetto a quella contenuta nell’art. 445, comma 2, dello stesso codice ( dettato specificamente in tema di applicazione della pena su richiesta) stabilisce infatti che “il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena”.
La ratio delle disposizioni processuali appena citate è identica ( tant’è che la nuova formulazione dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici ha eliminato ogni riferimento specifico all’art. 445 c.p.p., facendo generico riferimento ai casi in cui il reato sia stato dichiarato estinto dopo la condanna) e quindi non vi è ragione di ritenere che possano soggiacere a discipline diverse riguardo all’esenzione dell’obbligo dichiarativo. Di tal che appare pacifico che ove il giudice accerti, come nel caso in esame, che nei due anni successivi alla condanna l’imputato non ha commesso altre contravvenzioni della stessa indole, dichiara l’estinzione del reato, in tal modo determinando la cessazione di ogni effetto penale della condanna.
Nel caso, quindi, di condanne penali per reati già dichiarati estinti alla data di presentazione della domanda di gara appare pacifico che il soggetto partecipante non sia tenuto a ricomprendere anche dette condanne nella relativa dichiarazione, tanto essendo peraltro contemplato dall’art. 38 d.lgs. n.163 del 2006; in tal caso è il legislatore ad aver eliso ogni discrezionalità sussistente in capo alla stazione appaltante in ordine alla possibilità di riconnettere rilevanza alla condanna penale ai fini della partecipazione alla gara del concorrente che ne sia gravato.
6.6 – A conclusioni analoghe deve pervenirsi, a parer del Collegio, in ordine alla omessa dichiarazione delle condanne relative a fattispecie di reato depenalizzate.
In ordine a tale profilo del ricorso il Tar ha argomentato la decisione reiettiva sulla base del rilievo formale secondo cui, all’epoca di espletamento della gara, la intervenuta depenalizzazione del reato oggetto di condanna non escludeva l’obbligo dichiarativo ( infatti, soltanto con la modifica, introdotta ad opera del d.l. n. 70 del 2011,al testo dell’art. 38 cit. si è, tra l’altro, stabilito che “l’esclusione [dalla partecipazione, ndr] o il divieto [di partecipare, ndr] non operano quando il reato è stato depenalizzato”.
Il Collegio ritiene tuttavia che a tale novella legislativa non possa attribuirsi portata innovativa, ma piuttosto chiarificatrice e dichiarativa di ciò che, anche in epoca precedente, doveva pacificamente ammettersi in applicazione dei principi generali del diritto: infatti, l’abrogatio criminis non soltanto è causa di estinzione del reato e della pena ma, trovando applicazione anche ai fatti di reato pregressi alla sua entrata in vigore ( secondo il principio, codificato all’art. 2 Cod. pen., di eccezionale retroattività della legge penale più favorevole), fa cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna.
Pertanto, anche in tal caso, l’esclusione dell’obbligo di dichiarare una condanna per reato depenalizzato discende dalla definitiva irrilevanza penale sancita dal legislatore al fatto di reato depenalizzato, onde anche in tal caso la possibilità di apprezzarne la gravità e quindi la rilevanza ai fini della partecipazione ad una gara pubblica risulta esclusa ex ante dal provvedimento legislativo a contenuto abrogativo. A fronte di tale elemento dirimente, non potrebbe neppure invocarsi, a giustificazione della posizione dell’Istituto appellato, la giurisprudenza sul tema del cosiddetto falso innocuo ( v., tra le altre, Cons. St., III, 16 marzo 2012, n. 1471; VI, 8 luglio 2010, n. 4436), secondo cui il principio della completezza della dichiarazione si imporrebbe a tutela del buon andamento dell’amministrazione e dovrebbe pertanto sempre trovare adeguata sanzione procedimentale.
In realtà, per quanto detto, in ipotesi di reato già depenalizzato al momento della produzione della documentazione di gara, la omessa indicazione della relativa sentenza di condanna non integra gli estremi della dichiarazione incompleta, stante la sicura irrilevanza del dato omesso nella dichiarazione ai fini partecipativi. Ritiene, in definitiva, il Collegio che, nei casi di condanne per reati estinti o depenalizzati la omissione dichiarativa non incida sulla tematica della completezza della dichiarazione in funzione dell’esercizio della discrezionalità amministrativa sulla gravità della condanna e della sua rilevanza o meno ai fini partecipativi; è il fatto stesso della condanna ad essere divenuto, per effetto di una valutazione operata a monte dal legislatore, tamquam non esset, e tanto sia agli effetti penali, sia agli effetti extrapenali, in relazione a quelle fattispecie normative – come appunto l’art. 38 cit. – in cui la condanna penale è assunta ad elemento paradigmatico di una possibile pericolosità o quantomeno inaffidabilità morale del soggetto che ne sia stato colpito.
7.- Discende da quanto detto che, nella conclamata ricorrenza dei suindicati fenomeni dell’estinzione o della depenalizzazione del reato, l’obbligo del partecipante di dichiarare le condanne penali per “reati gravi” non ricomprenda le condanne per reati estinti o depenalizzati, non già per il fatto che quei fenomeni estintivi siano ex se sintomatici della “non gravità” dei reati, quanto piuttosto in ragione dell’effetto privativo che l’abrogatio criminis (ovvero il provvedimento giudiziale dichiarativo della estinzione del reato) opera sul potere della stazione appaltante di apprezzare la incidenza, ai fini partecipativi, delle sentenze di condanna cui si riferiscono quei fatti di reato.
8.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’annullamento dell’aggiudicazione disposto dall’appellata Inail nei confronti dell’odierna parte appellante va ritenuto illegittimo, in quanto adottato sulla base di un unico e, per quanto fin qui detto, erroneo presupposto giuridico.
9.- Tenuto conto del fatto che il contratto ha avuto esecuzione, come dianzi anticipato, alla odierna parte appellante deve essere riconosciuto, per equivalente, il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione ed esecuzione del servizio.
Nel caso in esame è conclamata, per quanto fin qui detto, l’illegittimità del provvedimento di annullamento della aggiudicazione della ricorrente dalla gara d’appalto indicata.
E’ altresì acclarato che il ritiro dell’aggiudicazione per una omessa dichiarazione riferibile a reati estinti o depenalizzati integri una violazione grave delle regole partecipative poste in base alla normativa comunitaria e nazionale sui contratti pubblici.
Sul piano dell’imputabilità della violazione va osservato che, in base al diritto dell’UE, non è ammesso che il diritto al risarcimento del danno per violazione delle norme in materia di appalti pubblici sia subordinato al carattere colpevole di tale violazione (Corte giust. UE, 30 settembre 2010 C-314/09, **********).
Alla luce dei rilievi che precedono il fatto dell’istituto appellato che, senza peraltro comunicare preventivamente al raggruppamento temporaneo aggiudicatario l’avvio del procedimento di ritiro dell’aggiudicazione, ne ha disposto l’annullamento in evidente carenza delle condizioni giuridiche per farvi luogo, dando negativo rilievo ad una dichiarazione asseritamente incompleta ed omissiva, ma in concreto pienamente conforme al dettato dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici ( espressamente richiamato dalla lex specialis di gara) come sopra correttamente interpretato è ad esso imputabile anche soggettivamente.
10. -Venendo alla quantificazione del danno, il Collegio è dell’avviso che tale danno possa essere anzitutto determinato facendo riferimento all’utile d’impresa che il raggruppamento temporaneo appellante avrebbe tratto dalla esecuzione del servizio. Considerato che tale danno va determinato in concreto, l’Inail provvederà alla sua liquidazione tenendo conto della voce di utile desumibile dalla offerta economica presentata in sede di gara dalla odierna parte appellante, di modo che sia certo che il raggruppamento appellante riceva , a tal titolo, nulla di più dell’utile di impresa che aveva programmato di realizzare con la esecuzione del contratto.
10.1- Quanto ai profili del danno curriculare e del danno all’immagine, ritiene il Collegio che parte ricorrente abbia certamente risentito pregiudizio, anche sotto tale riguardo, dalla mancata aggiudicazione, tenuto conto della maggiore qualificazione professionale che sarebbe derivata alla ricorrente dall’esecuzione dell’appalto in questione, anche ai fini della spendibilità in altre e ulteriori gare pubbliche di un più significativo profilo curriculare (es. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751; VI, 11 gennaio 2010, n. 20; 21 settembre 2010, n. 7004; VI, 18 marzo 2011, n. 1681) nonché delle negative ricadute sul piano reputazionale sull’immagine delle imprese predette.
D’altra parte, per escludere in radice il danno curriculare è necessario che la stazione appaltante fornisca in positivo la dimostrazione che le commesse aliunde conseguite da parte dell’impresa le hanno fatto conseguire eguale qualificazione curricolare: in presenza di una tale prova, effettivamente, una tal voce di danno non spetterebbe, perché si risolverebbe in una iniusta locupletatio.
Il Collegio ritiene pertanto che il danno curriculare ed il danno all’immagine nel caso in esame sussistano e che vadano in concreto riconosciuti al raggruppamento di imprese appellante; e tuttavia, in difetto di specifica dimostrazione riguardo ad un danno di maggiore entità subìto a tal titolo, per la liquidazione di tali voci di danno si stima equo contenere la loro determinazione nella misura onnicomprensiva pari all’1% di quanto liquidato, in base ai suindicati parametri, a titolo di lucro cessante ( i.e., di utile d’impresa),.
10.2- Quanto al c.d. danno emergente, ed in particolare alle spese sostenute per la partecipazione alla gara, il Collegio considera che le stesse non sono risarcibili in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto.
Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto implica per le imprese la sopportazione di costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione, come questa Sezione ha avuto modo di precisare (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2002, n. 4435; 9 giugno 2008, n. 2751), si qualificano come danno emergente risarcibile solo nell’ipotesi dell’impresa illegittimamente esclusa da una gara d’appalto perché, in relazione a questo profilo dell’illegittimità procedimentale, viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o, come nella specie, per aggiudicazione illegittimamente annullata) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che la stessa avrebbe tratto dall’aggiudicazione e dall’esecuzione del servizio.
10.3- Consegue da quanto detto che il riconoscimento dell’utile di esercizio, unitamente al danno all’immagine ed al profilo curriculare, rappresentino, nel caso in esame, modalità integralmente riparatoria del danno risentito dal raggruppamento appellante per effetto della mancata aggiudicazione definitiva del servizio oggetto di gara.
L’Inail provvederà a liquidare il danno sulla base dell’accertamento preventivo dell’utile d’impresa sulla base delle indicazioni desumibili dall’offerta economica a suo tempo prodotta dal raggruppamento temporaneo appellante; tale importo sarà poi maggiorato dell’1% del suo valore, in considerazione della necessità di risarcire anche il danno all’immagine ed al curriculum professionale dei partecipanti al raggruppamento d’imprese.
La somma così determinata, in quanto espressiva di un debito di valore, andrà poi ulteriormente maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali ( da calcolarsi sulle somme rivalutate anno per anno), con decorrenza dalla data di ultimazione del servizio di vigilanza oggetto d’appalto e fino al soddisfo.
11.- In conclusione, il ricorso in appello va accolto nei sensi e limiti di cui innanzi e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto negli stessi limiti il ricorso proposto in primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della particolarità della controversia trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello ( r.g.n. 4451/09), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013

Redazione