Gara di appalto- Informativa antimafia atipica- Non ha carattere direttamente interdittivo – Rilevanza delle circostanze sintomatiche ed indiziarie (Cons. Stato, n. 5698/2013)

Redazione 28/11/13
Scarica PDF Stampa

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3940 del 2013, proposto da:
Ecocart s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. ************, con domicilio eletto presso ***************** in Roma, via Alcide ********** n.35;
contro
Asia Napoli s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ***************** e ************, con domicilio eletto presso *************** in Roma, via E.Glori n.30/40;
nei confronti di
U.T.G. – Prefettura di Napoli, Ministero dell’ Interno in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI SEZIONE I n. 02147/2013

Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Asia Napoli Spa, di U.T.G. – Prefettura di Napoli e del Ministero dell’ Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2013 il Cons. *************** e uditi per le parti gli avvocati Ricca, **** e dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente impugnava davanti al Tar Campania, sede di Napoli, il provvedimento dell’ASIA Napoli s.p.a. prot. n. 8553/ACU/FC/ga del 1° giugno 2012, con il quale era stata disposta la risoluzione dei contratti stipulati con la medesima società a seguito delle aggiudicazioni relative alle gare n. 199/DA/10 e n. 206/DA/11 e la nota della medesima ASIA Napoli prot. n. 5161/ACU/FC/ga del 3 aprile 2012 con la quale era stato comunicato l’avvio del procedimento finalizzato alla risoluzione contrattuale; impugnava altresì l’informativa della Prefettura di Napoli prot. n. I/5192/Area 1/Ter/O.S.P. del 14 marzo 2012, recante elementi valutabili a carico della società ricorrente ai sensi dell’art. 1 septies del d.l. n. 629/1982, sulla cui base era stato emanato il provvedimento di risoluzione contrattuale sopra citato.
Avverso il provvedimento di risoluzione e la presupposta informativa, la ricorrente deduceva la violazione della normativa in tema di informazioni antimafia e del protocollo di legalità, nonché la violazione della legge sul procedimento amministrativo.
In particolare la ricorrente sosteneva che:
– vi sarebbero stati vari vizi del procedimento in violazione dell’art. 7, 3 co.4 della legge n. 241/1990;
– la stazione appaltante non aveva inoltrato la richiesta di informativa nei termini di legge, “dal momento che la stessa doveva essere esperita immediatamente, una volta ricevuta la richiesta di partecipazione al bando da parte dell’Ecocart” con conseguente “violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.p.r. 252/98 e dell’art. 1 septies del d.l. n. 629/82 in riferimento all’applicazione delle penali previste dal protocollo di legalità stipulato con la Prefettura di Napoli”;
– la stazione appaltante aveva risolto i contratti, non sulla base di controindicazioni evidenziate all’interno della informativa prefettizia, bensì sulla scorta di un’autonoma valutazione di un procedimento penale in corso, in violazione del protocollo di legalità;
– nessuno degli altri soci della Ecocart, ad eccezione del socio condannato, aveva precedenti penali o procedimenti penali in corso;
– l’autorità prefettizia, nell’emettere l’informativa atipica, aveva travisato la portata delle risultanze processuali emerse a carico del socio condannato il quale aveva ottenuto la sospensione condizionale della pena e non era stato sottoposto a misure interdittive di carattere giudiziario, con conseguente inconfigurabilità di un suo legame con i circuiti dell’eco-mafia;
– il provvedimento di risoluzione era affetto da difetto di motivazione sotto il profilo dell’omessa valutazione delle circostanze evidenziate nell’informativa prefettizia, essendosi limitato a richiamare quest’ultima “senza dire nulla sul suo contenuto”.
Il Tar riteneva che tutte le suddette censure non meritassero accoglimento respingendo il ricorso e compensando le spese del giudizio.
Nell’atto di appello la società ricorrente deduce la erroneità della sentenza sotto molteplici profili.
Nel primo motivo si lamenta il fatto che il primo giudice avesse dichiarato inammissibili le doglianze sviluppate nella memorie depositate in vista della udienza di trattazione non avvedendosi che tali memorie si limitavano a meglio esplicitare il quarto motivo del ricorso introduttivo.
Con il secondo motivo si ribadisce la erroneità della sentenza in quanto i motivi aggiunti erano stati notificati a tutte le parti in occasione all’appello cautelare davanti al Consiglio di Stato.
Con il terzo motivo si sostiene che il Tar, in virtù degli “ampi poteri istruttori che gli sono conferiti ..avrebbe dovuto rilevare che la interdittiva antimafia atipica era stata abrogata dal codice antimafia” e che l’applicazione della interdittiva antimafia atipica per il reato ambientale ex art. 260 d.lgs. 152/2006 era stata introdotta solo nel 2010; “pertanto …trattandosi di un reato ascritto a ************** nel 2007, non poteva applicarsi al caso di specie” riferendosi a fatti di gran lunga precedenti alla modifica dell’art. 51 co.3 bis del c.p.p. richiamato dall’art. 10 del d.P.R. n.252/1998 per effetto della quale era stato considerato sintomatico della esistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa. Inoltre si non era tenuto conto che, in seguito, l’attività dell’appellante non aveva dato luogo a null’altro di penalmente rilevante, che l’ASIA non disponeva di alcuna discrezionalità riguardo ai reati di ecomafia, che nella informativa non era stato precisato che la condanna del ************** non era definitiva e la pena era stata sospesa, che la nomina di un soggetto con vari pregiudizi come liquidatore del Consorzio era stata effettuata in una assemblea in cui la società appellante era assente, che nulla di preciso era detto in relazione alle frequentazioni dei due fratelli ****** con soggetti considerati vicini a consorterie criminali.
Con il quarto motivo l’appellante reitera le censure di difetto di motivazione del provvedimento dell’ASIA già formulate in primo grado.
Con il quinto mezzo l’appellante rileva che “con scrittura autenticata dal Notaio ************* in Napoli del 28.2.2013 ..la Ecocart ha esercitato per giusta causa con effetti immediati il recesso dal Consorzio Italia Servizi”, in ogni caso la partecipazione al Consorzio il cui liquidatore aveva precedenti penali non valeva a denotare il pericolo di infiltrazioni nella compagine dell’appellante.
Con il sesto motivo l’appellante si duole della mancata giusta considerazione, da parte dei giudici di primo grado, della messa in liquidazione del Consorzio Italia Servizi.
Altri motivi erano riferiti a censure già formulate in primo grado riguardanti i vizi del procedimento dell’ASIA.
Si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura, Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, eccependo la nullità della notifica e la infondatezza dell’appello.
Si è costituita la società *********** insistendo per l’irricevibilità del ricorso in primo grado e per il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2013, dopo la discussione orale, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. La società ricorrente impugnava davanti al Tar Campania, Napoli, il provvedimento di risoluzione dei contratti già stipulati con l’ASIA Napoli s.p.a. (d’ora in poi ASIA) e la presupposta informativa atipica della Prefettura di Napoli.
L’informativa atipica era motivata sulla base di varie circostanze, rimesse alla valutazione dell’ASIA ed in specie in relazione al fatto che uno dei soci della Ecocart era stato condannato per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006, ossia attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, al fatto che tale socio, unitamente ad altro membro della compagine sociale, risultava intrattenere frequentazioni con soggetti controindicati ai fini antimafia, al fatto che la Ecocart risultava avere partecipazioni aziendali nell’ambito di un consorzio in scioglimento e liquidazione dal luglio 2010, il cui liquidatore era stato condannato per rapina in concorso, sequestro di persona ed altro.
La società appellante censura, sia la nota prefettizia contenente una informativa c.d. atipica, sia il provvedimento di risoluzione dei contratti dell’ASIA.
2. Va premesso che nel nostro ordinamento la informativa antimafia c.d. atipica (o supplementare), elaborata dalla prassi, rinviene il suo fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10, co. 9, del d.P.R. 252/1998 e dell’art. 1septies, del d.l. 629/1982, convertito in legge 726/1982, nonché nell’art. 10, co. 7, lett. c), del d.P.R. 252/1998.
La informativa c.d. atipica, a differenza di quella c.d. tipica, non ha carattere direttamente interdittivo, ma consente alla stazione appaltante l’attivazione di una valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali in relazione all’idoneità morale del contraente sicché la sua efficacia interdittiva può scaturire da una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria. (cfr. Cons. Stato, III, 14 settembre 2011, n. 5130; VI, 28 aprile 2010, n. 2441; I, 25 febbraio 2012, n. 4774).
3. La appellante lamenta, in generale, la erroneità, la carenza di motivazione e di istruttoria della nota prefettizia che non aveva fornito le necessarie precisazioni sul momento in cui era stato nominato il nuovo amministratore del Consorzio Italia Servizi, sul fatto che la sentenza di condanna del ************** non era definitiva e prevedeva la sospensione condizionale della pena, sul fatto che nessuna interdizione era stata pronunziata dal giudice penale nei confronti del **************, né nei confronti della Ecocart.
4. Va premesso, quanto alla impugnativa della informativa prefettizia, che sebbene l’appello avverso la sentenza risulti notificato nei confronti dell’amministrazione statale appellata soltanto presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli nel cui distretto si trova il giudice territoriale che ha emanato la sentenza impugnata e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato, ai sensi dell’art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, la nullità della notificazione deve ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione evocata, dovendosi applicare la sanatoria prevista dall’art. 156 c.p.c. nell’ipotesi in cui l’amministrazione intimata si sia costituita in giudizio, sebbene non sia stata precedentemente effettuata presso l’ Avvocatura Generale dello Stato la notificazione del ricorso in appello al Consiglio di Stato.
5. Deve essere in primo luogo esaminata la eccezione di tardività del gravame riferita alla nota prefettizia.
L’eccezione è fondata.
Risulta infatti che la società appellante aveva avuto notizia degli estremi e del contenuto essenziale della nota prefettizia sin dal 3.4.2012, a seguito di specifica comunicazione dell’ASIA, mentre ha impugnato tale atto, unitamente alla risoluzione dell’ASIA, solo il 29.6.2012.
Occorre al riguardo evidenziare che la comunicazione della interdittiva, in relazione agli accordi contrattuali intercorsi con la stazione appaltante (artt. 21.1.lett.J del C.S.A. e 7 del contratto), sia essa tipica che atipica, determinava in via automatica la risoluzione del contratto. Gli accordi infatti prevedevano tale risoluzione “qualora a carico dell’impresa venga adottata una misura interdittiva dall’Autorità Prefettizia ovvero il Prefetto fornisca informazione antimafia ex art. 1 septies D.L. n.629/82”, quest’ultima integrante la informativa atipica.
Da qui la necessità, da parte della società, di immediata impugnazione della interdittiva al momento della conoscenza della sua esistenza che, quale ne fosse la qualificazione e anche nella ipotesi di interdittiva atipica, aveva portata preclusiva automatica, collocandosi in un rapporto di necessaria presupposizione con il successivo provvedimento dell’ASIA, determinando la necessità di risoluzione contrattuale al di là di ogni valutazione discrezionale della stazione appaltante.
Si richiama al riguardo l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo il quale, affinché il termine per impugnare inizi a decorrere, non è necessaria la conoscenza completa del contenuto del provvedimento e di tutti gli atti sulla cui base il medesimo è stato adottato; conosciuti infatti l’Autorità emanante, gli estremi dell’atto, il contenuto dispositivo e lesivo dell’atto, sull’interessato incombe l’onere dell’immediata impugnazione, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale dell’atto emergano ulteriori profili di illegittimità (ex plurimis Cons. Stato, VI, 1.2.2010 n.413).
Si aggiunga poi che, di norma, la interdittiva prefettizia è connotata da elementi di necessaria sinteticità in relazione alle indagini che la presuppongono coperte da riservatezza o dal segreto istruttorio.
L’interessata aveva quindi l’onere di impugnare immediatamente la interdittiva di cui aveva avuto tempestiva comunicazione da parte dell’ASIA, che pur astrattamente qualificabile come atto endoprocedimentale, in concreto determinava un arresto preclusivo nei suoi confronti obbligando la stazione appaltante alla risoluzione contrattuale e ledendo con immediatezza ed attualità la sua sfera giuridica, salvo proporre motivi aggiunti alla conoscenza integrale del provvedimento e all’adozione dell’atto della stazione appaltante.
Non possono quindi trovare ingresso nel presente giudizio le censure, variamente articolate nell’atto di appello, avverso la interdittiva ed in specie in ordine alla necessità, da parte del Prefetto, di pronunziare una interdittiva tipica e non atipica venendo in rilievo un reato ambientale, come tale determinante un effetto preclusivo immediato di contrarre (sul punto si tornerà), tali censure infatti avrebbero dovuto essere proposte tempestivamente all’atto della conoscenza del contenuto della interdittiva.
6. Ferma e assorbente tale pronunzia di irricevibilità, vanno rilevati ulteriori profili di inammissibilità di molte delle censure dedotte nel lungo appello in quanto, come sarà evidenziato nel prosieguo, l’appellante si limita, per alcuni motivi, a riprodurre sic et simpliciter le censure formulate in primo grado non evidenziando gli errori in iudicando che sarebbero stati commessi dal primo giudice, per altri, addirittura a formulare motivi in relazione a censure mai dedotte in primo grado in violazione del principio di divieto di nuovi motivi in appello.
7.Anche ad entrare nel merito e concentrando preliminarmente l’esame sulle censure, variamente articolate, di carenza di motivazione, di istruttoria e di travisamento della interdittiva e del provvedimento dell’ASIA, osserva il Collegio che la Prefettura ha messo a disposizione dell’ASIA, elementi istruttori, sia pur sintetici, la cui oggettiva veridicità, in relazione in specie alla condanna per reato ambientale commesso dal socio della Ecocart, non può essere messa in discussione, elementi che, al più, era nella discrezionalità della stazione appaltante, ove necessario, approfondire acquisendo ulteriori atti.
D’altro canto il provvedimento dell’ASIA si è conformato all’orientamento della Prefettura che qualificava la interdittiva, “ai sensi dell’art. 1 septies del DL 629/82” come atipica, quindi riteneva che, in relazione al reato di cui all’art. 260 del d.lgs 152/2006 indicato dalla Prefettura, non potesse che pronunziarsi la risoluzione contrattuale trattandosi di un reato tipizzato dalla stessa normativa di settore come reato sensibile ai fini antimafia (cfr. art. 10, co. 7, lett. a) del d.P.R. n. 252/1998 letto in combinazione con l’art. 51, co. 3-bis, del codice di procedura penale) assumendo una particolare significatività in termini di esposizione ai fenomeni infiltrativi della criminalità. Il provvedimento dell’ASIA, atto meramente consequenziale, non può quindi considerarsi censurabile anche sotto il profilo istruttorio e della motivazione proprio perché adottato sulla base delle indicazioni formulate dalla Prefettura.
8. Nel primo motivo dedotto l’appellante sostiene la erroneità del punto 4) della sentenza che aveva dichiarato inammissibili alcune delle censure dedotte in primo grado sul rilievo che il Tar, erroneamente, avrebbe ritenuto le memorie difensive del 20 luglio 2012, 1° e 18 marzo 2013 inammissibili in quanto ampliative del thema decidendum e come tali da formulare con motivi aggiunti mentre non erano state notificate alle controparti in spregio alle regole del contraddittorio processuale.
8.1. Va sottolineato che con il quarto motivo del ricorso introduttivo davanti al Tar si contestava che sia la informativa prefettizia, sia la risoluzione dell’ASIA, erano illegittime per carenza o insufficienza della motivazione, erroneità ed insussistenza dei presupposti e travisamento, in specie perché, nel riferire la circostanza relativa alla condanna riportata dal signor **************, non era stato puntualizzato che non si trattava di sentenza definitiva e che era stata concessa la sospensione della pena.
Osserva il Collegio che le memorie depositate in vista della udienza di trattazione davanti al Tar, in alcune parti miravano ad illustrare i motivi del ricorso originario, ma in altre parti, innovavano le originarie doglianze presentando uno sviluppo argomentativo che alterava sensibilmente quanto formulato nel ricorso introduttivo introducendo vere e proprie nuove censure, segnatamente in ordine alla (già evidenziata) mancata emanazione, da parte della Prefettura, della interdittiva tipica in relazione al reato ambientale commesso dal ******, per il fatto che il reato del ****** era stato commesso prima della introduzione nell’art.51 co.3 bis c.p.p. dell’art. 260 d.lgs. 152/2006 e sulla mancanza di poteri discrezionali in capo all’ASIA trattandosi di un reato ambientale che avrebbe dovuto indirizzare la Prefettura alla adozione di una interdittiva tipica.
Pertanto correttamente il primo giudice ha dichiarato inammissibili i motivi dedotti con la note soprarichiamate.
8.2. Né ha pregio l’affermazione dell’appellante (nel secondo motivo) che le memorie ricalcavano il contenuto dell’appello cautelare avverso la ordinanza di sospensiva, in primo luogo perché oggetto della impugnativa cautelare in appello, non era il provvedimento del Prefetto o dell’ASIA, impugnati in primo grado, bensì la ordinanza cautelare del Tar, in secondo luogo in quanto il giudice di primo grado non ha potuto conoscere e quindi esaminare le doglianze formulate in appello dalla ricorrente dovendo limitarsi agli atti processuali rimessi al suo esame.
9. Tardiva e inammissibile, per non essere stata formulata in primo grado, è la doglianza secondo la quale il reato commesso dal ****** (nel 2007), per essere antecedente alla entrata in vigore della novella legislativa che rendeva tale reato sintomo tipico della infiltrazione mafiosa, non poteva rilevare nel procedimento in relazione al principio di irretroattività delle norme penali.
La censura è comunque infondata in relazione ai caratteri tipicizzati della interdittiva prefettizia e alla possibilità della stessa, più volte sottolineata dalla giurisprudenza, di desumere elementi di controindicazione per contrarre con l’amministrazione, da qualunque elemento indiziario all’uopo rilevante. Ed infatti la misura interdittiva non deve necessariamente essere collegata ad accertamenti in sede penale sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da qualsiasi altra circostanza sintomatica ed indiziaria, da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze (ex plurimis Cons. Stato, VI, 21 luglio 2011 n.444): nel caso in esame l’elemento di controindicazione derivava proprio dalla natura del reato in sé considerato, commesso dal ******, in epoca non risalente nel tempo e dalla condanna in primo grado subita e non dalle conseguenze che successive disposizioni legislative facevano derivare dalla condanna.
10. Venendo poi alle considerazioni sviluppate nel quarto, nel sesto, ottavo motivo in ordine alla necessità di configurare come atipica, e non come tipica, la informativa fondata su reati commessi ex art. 51 co. 3 bis c.p.p. in materia ambientale, l’appellante omette di contestualizzare il provvedimento prefettizio che nella prima parte aveva evidenziato una serie di elementi favorevoli alla società, -non risultando procedimenti in corso per la applicazione di misure di prevenzione, né la sussistenza delle cause di divieto di sospensione o decadenza sancite dall’art. 10 della legge 575/65 con riferimento alle previsioni del d.lgs. n.490/94, né misure cautelari o ” che rechino una condanna anche definitiva per taluno dei delitti ..dell’art.51 co. 3 bis del codice di procedura penale”-, nella seconda parte in una sorta di bilanciamento, evidenziava altri elementi di controindicazione a contrarre, in specie in relazione alla condanna del ************** e alle sue frequentazioni insieme al fratello.
In ogni caso sfugge al Collegio l’interesse alla censura ed infatti la qualificazione come tipica della interdittiva avrebbe determinato conseguenze ancora più lesive sulla posizione giuridica della società appellante: in sede di ipotetica riedizione del provvedimento, ora per allora, la Prefettura, proprio tenendo conto del reato ambientale, non potrebbe certo pronunziarsi in senso favorevole per la appellante e quindi identica se non più radicale sarebbe la conseguenza quanto alla risoluzione contrattuale con la stazione appaltante.
12. Con il settimo motivo si lamenta che l’ASIA non avrebbe esperito la richiesta di informativa nei termini di legge che avrebbe dovuto essere inoltrata immediatamente, una volta ricevuta la richiesta di partecipazione al bando da parte dell’Ecocart.
Le considerazioni del Tar per respingere la censura meritano conferma.
L’ASIA aveva infatti chiesto alla Prefettura di Napoli il rilascio delle informazioni antimafia sul conto della società ricorrente dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipula dei relativi contratti, sulla base dell’art. 10, co. 1, del d.P.R. n. 252/1998, non essendo prescritto che le stazioni appaltanti attivino il procedimento informativo già al momento dell’avvio delle operazioni di gara, una volta ricevute le domande di partecipazione dei concorrenti.
In ogni caso, il mancato rispetto dei termini previsti per l’emissione delle informative prefettizie non si riverbera in illegittimità delle informative stesse e dei conseguenti provvedimenti degli enti richiedenti, attesa la funzione meramente ordinatoria di tali termini la cui inosservanza non comporta alcuna decadenza dai relativi poteri (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2010 n. 8224).
13. Nell’ottavo motivo di ricorso si insiste nel sostenere che l’**** avrebbe dovuto continuare il rapporto in essere in quanto nelle “fattispecie evidenziate su cui poteva decidere solo la Prefettura non era stata applicata l’interdittiva tipica che a questa competeva”. Sul punto si è già trattato rilevando che a fronte di un reato ambientale l’ASIA non poteva che risolvere il contratto.
14. Nel nono motivo si sostiene che l’**** avrebbe violato l’articolo 10 della legge 241/90 per non avere dedotto in ordine alle note presentate dalla appellante del 23.4.2012.
Come correttamente rilevato dal Tar l’ASIA, nel richiamare con i provvedimenti gravati il principio secondo il quale la condanna ex art. 260 del d.lgs. 152/2006 è di per sé ostativa essendo elemento sintomatico di permeabilità mafiosa ha in tutta evidenza riscontrato puntualmente le deduzioni Ecocart.
15. In conclusione la sentenza del Tar deve essere confermata e l’appello respinto.
16. In relazione alla peculiarità della fattispecie spese ed onorari possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2013

Redazione