Fruizione agevolazione tributarie acquisto prima casa: non si applica se l’abitazione oggetto di compravendita è considerata di lusso (Cass. n. 21791/2012)

Redazione 05/12/12
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Fatto

L’ufficio di Como dell’Agenzia delle entrate emise nei confronti di D.M.L. un avviso di liquidazione e di irrogazione di sanzioni, scaturente dalla revoca dei benefici fiscali applicali in occasione dell’acquisto, avvenuto nel 2001, di un’abitazione sita nel Comune di (omissis), giacchè le caratteristiche dell’immobile lo collocavano nel novero delle abitazioni di lusso, giusta il decreto ministeriale 2 agosto 1969, conformemente al parere espresso dall’ufficio del territorio di Como.
li contribuente impugnò l’avviso e la Commissione tributaria provinciale respinse il ricorso, rimarcando che l’edificio è ubicato in un luogo che rientra nella zona A4, deputata dal piano regolatore a “verde privato tutelato” e che risponde al parametro “parco privato” contemplato dal D.M. 2 agosto 1969, art. 1.
A seguito di appello, la Commissione tributaria regionale, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, facendo leva sul D.M. 2 agosto 1969, art. 1, a norma del quale vanno considerate abitazioni di lusso, tra le altre, quelle edificate su aree destinate dagli strumenti urbanistici a parco privato, indipendentemente dalla struttura e dalla consistenza dell’immobile e, nel caso, in questione, l’edificio è ubicato in zona A4, adibito a “verde pubblico tutelato”. La sentenza ha aggiunto che è del tutto irrilevante la circostanza che il piano regolatore ed il D.M. 2 agosto 1969, siano intervenuti in un momento successivo a quello della costruzione dell’edificio.
Ricorre D.M.L. per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, affidando il ricorso a tre mezzi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Diritto

1.- Col primo motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il contribuente lamenta la violazione del D.M. 2 agosto 1969, art. 1, nonchè l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio. Deduce che l’art. 1 del Decreto Ministeriale in questione non può essere applicato ad immobili costruiti antecedentemente alla sua entrata in vigore e che, comunque, ai sensi della norma in questione, si devono considerare di lusso i soli immobili costruiti in data successiva all’adozione del piano regolatore.
Il ricorrente sostiene, sul punto, che l’applicazione del Decreto Ministeriale del 1969 e della regolamentazione in esso contenuta per l’individuazione del regime fiscale cui va assoggettata l’abitazione in questione, costruita nel 1930, violerebbe il principio di irretroattività della legge.
1.1.- Su quest’ultimo aspetto, giova precisare che la controversia verte non già sull’applicazione di una norma tributaria sfavorevole entrata in vigore successivamente al verificarsi della fattispecie alla quale essa sia stata applicata dall’amministrazione, sibbene sull’applicabilità di una norma tributaria favorevole, quella che detta i presupposti per la fruizione dei benefici fiscali concernenti l’acquisto della prima casa. Ma, ancor prima di ciò, occorre rilevare che la norma potrebbe essere considerata retroattiva soltanto se essa avesse collegato anche per il passato gli effetti giuridici previsti alle situazioni di fatto da essa contemplate, mentre non è mai qualificabile come retroattiva una norma che attribuisca per il futuro determinati effetti giuridici a situazioni di fatto ad essa preesistenti.
Nella specie, comunque, la norma impositiva applicabile va individuata in quella dettata dal D.L. 22 maggio 1993, n. 155, art. 16, (convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 243), il quale, con il comma 1, lett. a), ha introdotto nell’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) il seguente comma: “se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al D.M. dei lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota 2 bis): 4%” (il testo è poi rimasto invariato, salva la riduzione dell’aliquota al 3% a decorrere dal 1 gennaio 2000). Anche per tale norma vale quanto si è detto: essa – secondo il normale operare dei principi generali in materia di successioni di leggi nel tempo – si applica ovviamente soltanto ai periodi di imposta successivi alla sua entrata in vigore, ma si applica, per detti periodi di imposta, a tutti i fatti da essa contemplati e successivi alla sua entrata in vigore, pur se riguardanti situazioni ad essa preesistenti.
Mal posta, dunque, è la questione della pretesa violazione del principio della irretroattività della legge, in quanto il presupposto di applicazione della norma, che va ad integrare la fattispecie che deve necessariamente preesistere alla sua entrata in vigore, è l’acquisto, non già la costruzione dell’abitazione.
1.2.- Ciò posto, va rilevato che questa Corte, nell’affrontare questione analoga a quella oggetto del presente ricorso, ha già affermato (Cassazione 28 luglio 2010, n. 17600) il principio secondo il quale “la fruizione delle agevolazioni tributarie derivanti dall’acquisto della prima casa è collegata dal D.L. numero 12 del 1985, art. 2, come convertito dalla L. n. 118 del 1985, alla possibilità di includere gli immobili trasferiti fra le abitazioni non di lusso secondo i criteri di cui al D.M. 2 agosto 1969; a questa conclusione si deve pervenire anche nella vigenza dell’articolo della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 243 del 1993, senza che si possa attribuire rilievo contrario al fatto che nella nuova disposizione non sia stato riprodotto l’inciso indipendentemente dalla data della loro costruzione, dovendo ribadirsi il principio che, secondo ragionevolezza ed equità contributiva, al fine di stabilire la spettanza o meno dell’agevolazione, occorre fare riferimento alla nozione di abitazione non di lusso vigente al momento dell’acquisto, e non a quello della costruzione”.
1.3.- In particolare, quanto alla rilevanza del fatto che la nuova disposizione dettata dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, che ha modificato l’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, non abbia riprodotto l’inciso “indipendentemente dalla data della loro costruzione”, la Corte ha chiarito che la norma in esame va intesa nel senso che essa opera, al fine di individuare le caratteristiche delle abitazioni “non di lusso” (ai cui atti di trasferimento si può applicare il beneficio fiscale in questione), un rinvio non all’intero testo del D.M. 2 agosto 1969, bensì ai soli “criteri” in esso contenuti, ossia ai requisiti (dettati negli articoli da 1 a 8 del provvedimento) al cospetto dei quali le abitazioni acquistano la qualifica “di lusso”. Si deve ritenere, quindi, che il rinvio non comprenda l’articolo 10, norma di natura transitoria, la cui portata applicativa, destinata a regolamentare la fase di passaggio dalla disciplina dettata dal previgente D.M. 4 dicembre 1961, al D.M. 2 agosto 1969, ha in ciò esaurito la sua funzione e si deve considerare ormai sostanzialmente caducata.
Pertanto, alla soppressione, nel D.L. n. 155 del 1993, art. 16, dell’inciso sopra riportato (contenuto nel previgente D.L. n. 12 del 1985, art. 2), non si può attribuire alcun significato ermeneutico, contenendo esso una precisazione che evidentemente il legislatore del 1993 ha ritenuto – e che effettivamente era – superflua.
1.4.- Giova quindi ribadire che il principio secondo il quale, al fine di stabilire la spettanza o meno dell’agevolazione in questione, occorre fare riferimento alla nozione di abitazione “non di lusso” vigente al momento dell’acquisto, e non a quello della costruzione, risponde anche ad evidenti criteri di ragionevolezza e di equità contributiva. Il motivo va in conseguenza respinto, con l’applicazione del seguente principio di diritto: “L’applicazione dell’agevolazione fiscale contemplata per l’acquisto della prima casa postula che l’abitazione sia considerata non di lusso al momento dell’acquisto, e non già in quello della costruzione”.
2.- Col secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il contribuente lamenta l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che non vi sia corrispondenza tra la qualificazione di verde privato contenuta nel piano regolatore del comune di (omissis) e la qualificazione di parco privato contenuta nel D.M. 2 agosto 1969, art. 1. Rileva la Corte che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità;
ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (principio pacifico.
Vedi, tra le pronunce più recenti, Cass., ordinanza 28 marzo 2012, n. 5024; Cass. 15 aprile 2011, n. 8639).
Nel nostro caso, la sentenza impugnata, con motivazione logicamente sviluppata e dunque in questa sede incensurabile, ha ritenuto che l’edificio in questione “…è ubicato in “zona A4 – verde pubblico tutelato – caratterizzato dalla presenza di parchi e giardini di particolare pregio ambientale, con alberi di alto fusto ed essenze pregiate… “.
Ne discende il rigetto del motivo.
3.- Col terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il contribuente ha denunciato la violazione dell’art. 91 c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, lamentando l’illegittimità della liquidazione delle spese in complessivi Euro 1200,00, eseguita dalla Commissione tributaria regionale in forma globale, cumulando indistintamente quanto dovuto a titolo di onorari, di diritti e di rimborsi.
Il motivo è infondato per carenza d’interesse.
Questa Corte ha già avuto occasione di specificare (vedi, in particolare, Cass., 8 marzo 2007, n. 5318), che effettivamente la liquidazione delle spese processuali non può essere compiuta in modo globale per spese, competenze di procuratore e onorari di avvocato, dovendo invece essere eseguita in modo tale da porre la parte interessata in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle e così darle la possibilità di denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe; non è, tuttavia, ammissibile, per carenza di interesse, censurare tale liquidazione ove non sia stato specificamente dedotto che la liquidazione globale arreca un pregiudizio alla parte soccombente, in quanto attributiva di una somma superiore ai massimi, essendo quindi irrilevante la mera allegazione della violazione dei criteri formali per la liquidazione delle spese.
Nel nostro caso, appunto, la parte si è limitata a lamentare le modalità di liquidazione, senza neanche allegare la sussistenza di uno specifico pregiudizio da tale liquidazione derivante, mentre l’accertamento di tale violazione sarebbe stato forse non comodo, ma comunque possibile e facile, dato che la parte soccombente aveva partecipato al processo e quindi era a conoscenza diretta dei termini fattuali rilevanti per la determinazione di diritti, onorari e spese.
Del resto, per una causa che lo stesso ricorso dichiara di valore compreso tra 52 mila e 260 mila Euro, la liquidazione dei diritti e degli onorari in Euro 1.200 appare in realtà più suscettibile di aver violato i minimi che i massimi tariffari. Il motivo si manifesta quindi come espressione di un mero causidico formalismo.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese di questa fase, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte:
– respinge il ricorso;
– condanna il contribuente alla rifusione delle spese di questa fase, liquidate in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 17 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2012

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