Finanziamenti comunitari per l’agricoltura: sequestro beni motivando sul periculum (Cass. pen. n. 32956/2012)

Redazione 22/08/12
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Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria confermava il sequestro preventivo disposto nei confronti di A.D. in data 15 febbraio 2012 in relazione al reato di cui all’art. 316 ter c.p. per aver il ricorrente conseguito contributi comunitari quali aiuti alla produzione nel settore agricolo negli anni 2006, 2008 e 2009 dichiarando falsamente la assenza di cause ostative, laddove, ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 10, A. non poteva accedere a contributi in quanto destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, divenuta irrevocabile l’1 giugno 1992, nonchè condannato per il reato di associazione mafiosa. Il sequestro preventivo aveva ad oggetto terreni agricoli di proprietà del ricorrente, o comunque nella sua disponibilità, in quanto utilizzati per il conseguimento dei contributi comunitari.

Il Tribunale del Riesame confermava la configurabilità del reato in questione ricorrendo la violazione di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 10 per il solo fatto della applicazione della misura di prevenzione e della precedente condanna e, escluso che vi fosse immediata evidenza della pretesa buona fede del ricorrente, confermava il pericolo che la “libera disponibilità dei terreni possa reiterare la condotta ascrittagli, ovvero aggravare o protrarre le conseguenze del reato, continuando a presentare ulteriori domande di aiuto comunitario sul presupposto della proprietà – disponibilità di terreni coltivati ad uliveto”.

Contro tale provvedimento propone ricorso il difensore affermando, con unico motivo, la violazione di legge ed il difetto di motivazione quanto alla qualificazione del fatto ed ai requisiti per il sequestro preventivo.

La difesa osserva che la L. n. 575 del 1965, art. 10, che pone il divieto di accedere ai contributi pubblici per i destinatari di misure di prevenzione o i soggetti condannati con sentenza definitiva o quantomeno confermata in appello per uno dei reati di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, è stato introdotto nell’attuale formulazione nel 1990, laddove i fatti che hanno dato luogo sia alla condanna che alla misura di prevenzione erano stati commessi nel (omissis);

ritiene, quindi, che la nuova formulazione del citato art. 10 debba valere solo per il futuro e non per le condotte precedenti al (omissis).

E, in ogni caso, ricorreva palesemente la buona fede del ricorrente in quanto nella stessa documentazione da utilizzare per la richiesta di erogazione dei contributi non vi era richiesta di indicare i precedenti penali mentre la produzione del certificato antimafia era prevista solo per finanziamenti di importi maggiori rispetto a quelli richiesti dall’ A..

La difesa deduce inoltre che la motivazione è assente anche in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari; l’ A. non ha più la disponibilità dei terreni e le domande di contributi sono presentate dal figlio.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Si rammenta che, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., il ricorso per cassazione in materia di sequestro preventivo non è proponibile per il vizio di motivazione ma solo per violazione di legge, rientrando però in tale ultimo vizio l’ipotesi di motivazione totalmente omessa o meramente apparente.

Innanzitutto va confermata l’applicabilità della disposizione di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 10 che testualmente prevede che, al momento della richiesta di ammissione al finanziamento, non debbano risultare condanne o applicazione di misure di prevenzione per fatti di mafia; a quando risalgano tali provvedimenti o i fatti in essi giudicati è, invece, irrilevante.

Quanto agli argomenti relativi alla pretesa buona fede del ricorrente, non è questione valutabile in questa sede; sussistono obiettivamente le condizioni del reato mentre la parte si limita ad indicare elementi che potrebbero indurre, allo stato, solo un dubbio su un possibile errore che escluda l’elemento psicologico; in tale modo, però, la difesa introduce una questione di difetto di motivazione non deducibile in questa sede, come già detto e, dei resto, la questione risulterebbe comunque ininfluente poichè l’art. 321 cod. proc. pen. richiede la presenza di mero “fumus” di reato.

Il tema della buona fede può, comunque, incidere sull’accertamento del pericolo di aggravamento o reiterazione della condotta.

Per altro profilo il ricorso è, invece, fondato, essendovi totale assenza di motivazione del provvedimento impugnato in tema di esigenze cautelari; tale assenza è particolarmente rilevante perchè nel caso di specie la pericolosità non è insita al bene in sequestro e si imponeva una specifica valutazione di pericolosità.

Sopra si è trascritta l’intera motivazione del Tribunale sulle esigenze cautelari, ictu oculi meramente apparente, perchè altro non fa che riportare la formula normativa, senza alcuna caratterizzazione rispetto al caso concreto; e, se in talune ipotesi di sequestro rispetto a oggetti obiettivamente pericolosi si può affermare che la pericolosità sia un dato pacifico, ciò non avviene nel caso di specie in cui innanzitutto i beni in sequestro non hanno specifica attitudine alla commissione del dato reato e, dopo l’accertamento in sede amministrativa della assenza in capo ad A.D. delle condizioni per il finanziamento, si doveva tenere conto se effettivamente il medesimo ente potesse essere indotto in errore e nuovamente riconoscergli i contributi.

Vi sono, poi, anche altri elementi che andavano valutati e rendono ancor più evidente la carenza assoluta di motivazione:

– non sembra dubbio che i contributi siano stati ricevuti a fronte di una effettiva attività di coltivazione e la difesa riferisce di aver fornito documentazione, non valutata nell’ordinanza, da cui emergerebbe che, con la cessione di disponibilità del fondo, sono stati concessi regolarmente i contributi in favore del figlio; questo escluderebbe ogni possibilità di commissione di nuove ed analoghe condotte;

– le condizioni di fatto non escludono la possibilità di errore che, ancorchè non esoneri da responsabilità per il reato, è condizione da valutare al fine di affermare la concreta probabilità che A., dopo che gli è stata rappresentata la irregolarità del suo accesso ai contributi, intenda nuovamente chiederne.

L’ordinanza deve quindi essere annullata in ragione della violazione di legge per omissione della motivazione sul periculum e, in conseguenza, si deve procedere ad un nuovo esame che tenga conto degli elementi, già in atti, astrattamente idonei ad incidere sul pericolo di nuove condotte.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

Redazione