Favoreggimaneto dell’immigrazione illegale nel territorio dello Stato – Sussistenza (Cass. pen. n. 16120/2012)

Redazione 02/05/12
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Massima

La condotta di chi fornisce appoggio logistico e procura fittizie istanze all’ingresso in Italia per lavoro subordinato stagionale corredate da altrettanto fittizie comunicazioni di cessione di fabbricato e dichiarazioni di sistemazioni alloggiative, il tutto dietro la percezione di un compenso in denaro, versato dai cittadini extracomunitari contattati, integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale nel territorio dello Stato previsto dall’art. 12, c. 5, d.lgs. n. 286 del 1998. Il fatto, poi, che le istanze di avviamento al lavoro siano state inoltrate direttamente dai titolari delle varie aziende non impedisce di configurare la responsabilità in capo all’odierno imputato che ha agito in combinazione con i predetti, quale che sia la loro posizione anche per la mancanza del necessario elemento soggettivo. (a cura del **************)

 

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale in sede, condannando l’imputato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 160.000,00 di multa, oltre che all’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e all’interdizione legale durante la pena per il reato di cui all’art. 81 cpv, art. 112 cod. pen. e L. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 3, 3 bis lett. a), b), c), come modificata dalla L. n. 189 del 2002, art. 11 per aver favorito, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e al solo fine di trame ingiusto vantaggio patrimoniale, l’ingresso e l’illegale permanenza sul territorio dello Stato di numerosi cittadini extracomunitari, in numero superiore a cinque, mediante la vendita di richieste di lavoratori extracomunitari ed il reperimento di alloggi, così riuscendo a fare avere, previo pagamento di una somma di denaro compresa tra Euro 6500,00 ed Euro 7000,00 per ciascun contratto di lavoro venduto, sedici fittizie istanze all’ingresso in Italia per lavoro subordinato stagionale corredate da altrettanto fittizie comunicazioni di cessione di fabbricato e dichiarazioni di sistemazioni alloggiative. La Corte territoriale ha confermato che il comportamento ascritto all’imputato integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, a nulla rilevando la regolarità formale dell’ingresso. Ha poi precisato che il rilievo difensivo circa la mancata commissione dei fatto nel territorio nazionale non ha fondamento perchè anche l’eventuale tratta nazionale, qualora si inserisca in un percorso complessivamente illegale, rileva ai fini dell’ordinamento interno. In ultimo, circa il motivo relativo alla mancata applicazione dell’istituto del patteggiamento, ha osservato che correttamente il pubblico ministero non ha prestato il consenso a nulla rilevando la prima dichiarazione fatta in presenza di una condizione – quella della scarcerazione – dato che la legge ammette la possibilità di subordinare la richiesta soltanto alle condizioni espressamente previste. Ma quindi aggiunto che in ogni caso il consenso può essere revocato fino a quando non sia intervenuta la ratifica da parte del giudice.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.G., per mezzo del difensore avv.to **************, deducendo:

– inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 444 cod. proc. pen.. All’udienza del 16 dicembre 1999, innanzi al Tribunale, il C., per mezzo del suo procuratore speciale, ha avanzato richiesta di applicazione penale nella misura di anni 3, mesi 5 di reclusione ed Euro 12000,00 di multa, ottenendo il consenso del pubblico ministero poi revocato perchè la richiesta di pena era condizionata alla revoca della misura custodiale. Alla successiva udienza, fissata dal Tribunale perchè l’imputato valutasse la rinuncia alla condizione apposta, questi, per mezzo del suo procuratore speciale, rinunciava alla condizione ed insisteva nella richiesta di patteggiamento; il pubblico ministero, invece, revocava il consenso già prestato. Il consenso non poteva però essere revocato, dato che era sopraggiunto il consenso dell’altra parte, e il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi sulla richiesta di patteggiamento.

– Erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 e L. n. 189 del 2002. Il C. non ha posto in essere una condotta diretta a procurare l’ingresso clandestino di cittadini extracomunitari. Come emerge dalla sentenza di primo grado, furono le singole ditte ad avanzare richiesta di nulla osta al lavoro e quindi il posto di lavoro era stato assicurato ai cittadini extracomunitari dalle varie aziende che avevano formalizzato le correlate istanze agli uffici competenti. Il C. ha inteso ospitare presso la propria abitazione dei conoscenti, a titolo gratuito, senza trarre profitto, sicchè ha posto in essere una condotta penalmente irrilevante.

– Erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla L. n. 189 del 2002, art. 12, comma 3 bis, lett. a). Dagli atti del processo non risulta la permanenza di persone superiori a tre, e non è possibile rifarsi a documenti non riconducibili al C., in quanto altri, coimputati, hanno curato personalmente la richiesta nominativa di nulla osta al lavoro subordinato stagionale. La menzionata circostanza aggravante non può essere ascritta al C. in difetto dei fine di trarre profitto dalla permanenza ovvero dall’ingresso di cittadini stranieri. La prestazione lavorativa non è stata assolta solo perchè, come emerso dall’istruttoria, l’arrivo dei cittadini stranieri non è coinciso con il periodo di raccolta dei prodotti agricoli messi a dimora, per il ritardo nella semina degli ortaggi a causa delle piogge avutesi nell’anno 2004.

– Violazione di legge sostanziale in relazione all’art. 9 c.p.. Nel corso dell’istruzione dibattimentale il B. ha dichiarato di aver corrisposto, il giorno 15 luglio 2007, la somma di sette milioni di diram al C. in (omissis)), quindi fuori dal territorio dello Stato italiano. Ove tale condotta integrasse un illecito penale, per essere perseguita, necessiterebbe della richiesta di procedimento del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 9 c.p., in quanto condotta interamente posta in essere all’estero.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, risultando dagli atti del processo, in particolare dal verbale di udienza dinnanzi al giudice di primo grado, che, dopo un primo rinvio per dare modo alla difesa dell’imputato di formalizzare una richiesta di applicazione di pena senza la prospettata condizione della scarcerazione, il pubblico ministero all’udienza successiva non prestò il consenso alla richiesta infine formulata. Non vi fu, pertanto, una revoca di un consenso già prestato, ma la negazione di qualsivoglia consenso alla richiesta difensiva di definizione della vicenda processuale con pena concordata.

3. Il secondo motivo è infondato. La condotta accertata configura il reato per il quale è intervenuta condanna. L’imputato ha fornito appoggio logistico e ha procurato fittizie istanze all’ingresso in Italia per lavoro subordinato stagionale corredate da altrettanto fittizie comunicazioni di cessione di fabbricato e dichiarazioni di sistemazioni alloggiative, il tutto dietro la percezione di un compenso in denaro, versato dai cittadini extracomunitari contattati.

La condotta, sì come descritta ed accertata, configura il reato addebitato: si consideri, a tal proposito, quanto affermato da Sez. 1, n. 20883 del 21/04/2010, dep. 03/06/2010, ***** e altro, Rv. 247421, secondo cui “integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale nel territorio dello Stato il fatto di chi avvii una pratica di assunzione di lavoratore straniero, dichiarando falsamente di voler costituire un rapporto di lavoro dipendente, ma avendo realmente come unico fine quello di trarre profitto illecito dal conseguimento del permesso di soggiorno da parte dello straniero stesso”. Il fatto, poi, che le istanze di avviamento al lavoro siano state inoltrate direttamente dai titolari delle varie aziende non impedisce di configurare la responsabilità in capo all’odierno imputato che ha agito in combinazione con i predetti, quale che sia la loro posizione anche per la mancanza del necessario elemento soggettivo.

La fattispecie incriminatrice punisce infatti qualsivoglia condotta che sia funzionale all’ingresso e alla permanenza illegale, come ha stabilito sez. 1, n. 40320 del 09/10/2008, dep. 29/10/2008, ***** ed altro, Rv. 241434, secondo cui “per la configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza, nel territorio dello Stato, di stranieri, previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, (testo unico delle norme in tema di immigrazione), al fine di trarre ingiusto profitto dalla loro condizione di illegalità, è irrilevante che si attivi la procedura di regolarizzazione della loro posizione e che essa pervenga ad un esito positivo mediante il rilascio del permesso di soggiorno, non essendo tanto richiesto dalla norma incriminatrice, che contempla qualsiasi attività con cui si favorisca comunque la permanenza degli stranieri nel territorio dello Stato. (Fattispecie relativa ad attività propedeutiche a pratiche di regolarizzazione di lavoratori stranieri per i quali erano stati stipulati fittizi rapporti di lavoro)”. 4. Il terzo motivo è inammissibile perchè propone una censura in ordine all’applicabilità dell’indicata circostanza aggravante che non è stata proposta con i motivi di appello.

5. E, infine, l’ultimo motivo di ricorso è infondato dal momento che una parte della condotta, che non si è certo esaurita nella percezione dell’illecito compenso versato all’imputato dal B., è avvenuta sul territorio dello Stato, il che determina la giurisdizione italiana, ai sensi del disposto dell’art. 6 c.p.. In tal senso si è espressa Sez. 1, n. 4694 del 20/12/2005, dep. 06/02/2006, Coraj, Rv. 233433, per la quale “ai fini della configurabilità del reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale di cittadini extracomunitari, seppure è sufficiente la sussistenza di atti diretti a favorire tale ingresso, è comunque necessario che il fatto, o parte di esso, venga commesso in Italia, ovvero che sussistano i presupposti di cui agli artt. 7 e segg. c.p.”. Al rigetto del ricorso segue, ai sensi del disposto dell’art. 616 c.p., la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione