Fallimento: non opponibilità alla massa dei creditori (Cass. n. 15080/2012)

Redazione 10/09/12
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(omissis), premesso d’aver proposto ai sensi dell’art. 2932 c.c., nei confronti della società ALFA SRL, innanzi al Tribunale di Forlì domanda d’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita d’immobile di proprietà della predetta società; e che il giudizio era stato definito con sentenza d’accoglimento pronunciata il 23.10.2006 registrata e munita di formula esecutiva in data antecedente alla sentenza, pronunciata il 15.11.2008, dichiarativa del fallimento della promittente alienante, ha proposto, ai sensi della Legge Fallimentare, artt. 93 e 103, domanda di rivendica dell’immobile ed, in subordine, d’ammissione allo stato passivo fallimentare del credito per l’importo corrispondente al suo valore in privilegio, ed in chirografo delle spese legali sostenute in quel giudizio.

Il giudice delegato ha respinto la domanda di rivendica ed ha altresì escluso il credito e la (omissis) ha quindi proposto opposizione allo stato passivo innanzi al Tribunale fallimentare di Forlì che, con decreto depositato il 12 novembre 2009, ne ha disposto il rigetto.

(omissis) ha proposto ricorso per cassazione avverso questa decisione sulla base di cinque motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso ed ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Col PRIMO motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2392 c.c., e dell’art. 2652 c.c., nonchè della Legge Fallimentare, artt. 45 e 72, e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso decisivo.

Ascrive al Tribunale fallimentare l’errore consistito nell’aver escluso l’opponibilità della trascrizione della domanda d’esecuzione in forma specifica da essa proposta nei confronti della società ALFA e della stessa sentenza d’accoglimento di quella domanda, seppur eseguite in data antecedente al fallimento della indicata convenuta, ignorando il principio posto a base del consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi nel solco della sentenza n. 12505/2004 delle S.U., secondo cui la sentenza che pronuncia ai sensi dell’art. 2932 c.c., l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita è opponibile alla massa se la domanda introduttiva è stata trascrìtta in data antecedente alla declaratoria di fallimento del promittente alienante.

Reclama, pertanto, in presenza di situazione di fatto analoga a quella oggetto del cennato arresto, l’effetto prenotativo di quella sentenza ai fini delle domande proposte in sede fallimentare.

Il resistente deduce l’infondatezza del motivo.

Il motivo espone una censura priva di pregio.

Il Tribunale fallimentare ha rigettato il reclamo rilevando che il titolo giudiziale posto a fondamento delle domande proposte dalla (omissis) non era definitivo, pendendo ancora il giudizio d’appello avverso la sentenza che aveva accolto la domanda della predetta istante, proposta a mente dell’art. 2392 c.c., e che, secondo i fatti accertati in quella stessa sentenza, il contratto preliminare, risultando esser stato stipulato dal legale rappresentante della società immobiliare in proprio e non già nella carica rivestita, dovevasi considerare nullo per difetto di causa, sì che la stessa sentenza era viziata nella parte in cui conteneva statuizioni nei confronti del medesimo legale rappresentante in proprio che, seppur litisconsorte necessario, non risultava parte del giudizio.

Dalla narrativa della vicenda esposta nel mezzo emerge altresì che il curatore fallimentare ha esercitato il recesso dal contratto preliminare ai sensi della Legge Fallimentare, art. 72, nè la legittimità di tale iniziativa ha rappresentato oggetto di contestazione.

In questo quadro ricostruttivo, la domanda di rivendica non ha giuridico fondamento dal momento che il preliminare comunque non costituisce titolo per far valere il diritto di proprietà sul bene promesso in vendita dal fallito in bonis, stante il suo effetto meramente obbligatorio e non traslativo.

La domanda di ammissione avente ad oggetto il credito pari all’importo delle somme sborsate in esecuzione del preliminare, a sua volta non può trarre fondamento da quel titolo, attesa la sua inutilizzabilità conseguente allo scioglimento esercitato dal curatore. Il corollario ascrive per l’effetto il titolo fondante le istanze ed in particolare la domanda d’ammissione allo stato passivo al contratto stesso, e in questa chiave l’indagine degli organi fallimentari chiamati a provvedere, necessariamente ha investito il contratto preliminare, siccome da esso origina il credito azionato, legittimandone la verìfica circa la validità e l’efficacia.

Il motivo, così come la complessiva articolazione del ricorso, muove critica al percorso logico, seguito nel riferito tracciato dal giudice del reclamo, infondata nonchè fuorviante. Ed invero, il precedente delle S.U. della Corte di Cassazione n. 12505/2004 invocato a sostegno della censura risolve una problematica estranea al tema dibattuto e risolto nel caso di specie dal Tribunale di Forlì, chiamato a provvedere non già sulla legittimità dell’esercizio del diritto potestativo del curatore previsto dalla Legge Fallimentare, art. 72, di recedere dal contratto preliminare stipulato dal fallito in bonis, che costituiva materia del contendere nel caso esaminato nel citato arresto, bensì sulla domanda di rivendica del bene oggetto del preliminare, la cui proprietà in capo all’istante non risultava alla data della domanda stessa acquisita. La sentenza d’accoglimento che, pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c., tenesse luogo dell’atto di trasferimento, non aveva infatti a quella data autorità di giudicato, essendo la controversia ancora sub judice.

L’effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale, in assenza di pronuncia definitiva, non dispiega per l’effetto alcun efficacia.

E, comunque, la domanda prevista dalla L. Fall., art. 103, non può mirare a rivendicare la proprietà di un bene immobile.

Il SECONDO motivo, con cui la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo a conforto assenza in capo al Tribunale fallimentare del potere di svolgere valutazioni e statuizioni sulla validità ed efficacia del titolo giudiziale fatto valere a base della domanda di rivendica, in quanto di competenza esclusiva del giudice investito dell’appello su di esso, espone una censura infondata, così come eccepito dal resistente.

Il motivo critica il percorso motivazionale che sorregge il decisum nella parte in cui sottopone a delibazione la sentenza che aveva accolto la domanda d’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, coltivando argomentazioni prive di rilievo. Alla luce della riscontrata inidoneità di quel titolo giudiziale a fondare la pretesa fatta valere in sede di formazione dello stato passivo, secondo quanto premesso, le domande andavano verificate, quanto agli elementi costitutivi, alla luce del titolo contrattuale. Legittime e pertinenti risultano pertanto le considerazioni espresse nel decreto all’esito della disamina della sua validità ed efficacia.

Il TERZO motivo, con cui la L. deduce vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per aver il Tribunale ravvisato la nullità del contratto preliminare per difetto di causa e difetto del litisconsorzio necessario nel giudizio per la mancata partecipazione in proprio del legale rappresentante della società ALFA SRL, correttamente impostato, è comunque inammissibile. Si ascrive infatti deficit di motivazione al decreto impugnato che rende conto, con motivazione esaustiva e immune di vizi logici o errori di diritto, del risultato dell’indagine condotta sul titolo negoziale omettendo di illustrare con la doverosa autosufficienza il contenuto dei documenti sottoposti all’esame del Tribunale, asseritamente non esaminati ancorchè decisivi.

Il QUARTO motivo, con cui la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per lamentare omessa pronuncia sulla domanda d’insinuazione del credito corrispondente al valore del cespite controverso, è a sua volta infondato.

Il decreto rigetta infatti la “pretesa” dedotta nelle domande proposte dall’odierna ricorrente che riferisce e distingue in premessa, riferendo evidentemente nonchè logicamente ad entrambe il percorso argomentativo che ne ha sorretto la conclusione risolutiva.

Necessariamente fondate sul medesimo titolo, il relativo esame, accomunato nell’impostazione, non imponeva distinte riflessioni, sì che il tessuto motivazionale in cui si è esplicato, così come la conseguente decisione va riferito unitariamente ad entrambe le istanze.

Analoga sorte merita il quinto motivo con cui infine la ricorrente, deducendo violazione della Legge Fallimentare, art. 961, comma 2, n. 3, lamenta la mancata ammissione del credito per le spese legali sostenute nel giudizio principale. Il disposto normativo in rubrica, che prevede l’ammissione con riserva dei crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato pronunciata prima della dichiarazione di- fallimento, non ha trovato spazio applicativo. Le domande esaminate, secondo quanto premesso, non si fondano sul titolo giudiziale contenente il capo sulle spese fondante il credito per rimborso delle competenze della controversia, che è rimasto estraneo alla materia del contendere incentrata e risolta sulla base del solo titolo negoziale.

Tutto ciò premesso deve disporsì il rigetto del ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità liquidandole in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione