Fallimento di una società di fatto fra società di capitali (Trib. Brindisi, 7/1/2013) (inviata dal Dott. A. I. Natali)

Redazione 07/01/13
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Fallimento di una società di fatto fra società di capitali – ricorrenza requisiti ex art. 2361 comma 2 c.c. novellato

dalla riforma del diritto societario – non necessità

 

E’ configurabile un fallimento di una società di fatto esistente fra società di capitali, e cioè senza che debbano necessariamente ricorrere le condizioni, di derivazione “formalistica”, dettate dall’art. 2361 comma 2 c.c.., come modificato dalla riforma del diritto societario.

 

 

Assunzione di partecipazioni in società – natura – atto gestorio – riservato alla esclusiva competenza degli amministratori –

carenza della delibera assembleare – rilevanza meramente interna alla dinamica sociale

L’atto di assunzione delle partecipazioni ha natura di atto gestorio, in quanto tale riservato alla esclusiva competenza degli amministratori; da tale qualificazione discendendo che lo stesso è idoneo ad obbligare la società nei confronti dei terzi, anche nell’ipotesi di carenza della delibera assembleare, in quanto il difetto di autorizzazione dei soci ha una rilevanza meramente interna alla dinamica sociale, determinando esclusivamente la responsabilità dell’organo amministrativo nei confronti della società.

 

 

DECRETO

nel procedimento prefallimentare

promosso da

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA NUOVA GIRAFFA, *************; A RESPONSABILITÀ LIMITATA, in persona del suo Curatore Avv. …..

 

                                                      nei confronti di

 

GIRAFFA GROUP, società unipersonale a responsabilità limitata, con l’Avv. ……………….. e con l’Avv. …………….., sede legale in Brindisi, Via ………… sn. 17, cf……………………..

 

 

Con istanza depositata il 13.11.2012, la curatela del fallimento, meglio indicato in epigrafe, ha chiesto di dichiarare il fallimento della GIRAFFA GROUP srl.

In primo luogo, in merito alla eccezione preliminare sollevata dalla difesa della Giraffa Group s.r.l. in relazione ai limiti che l’art. 147 L.F. porrebbe al riconoscimento di una società di fatto tra due società di capitali, deve osservarsi quanto segue.

Prevale, in via interpretativa, l’orientamento – condiviso da questo collegio – secondo cui è configurabile un fallimento di una società di fatto esistente fra società di capitali, e ciò senza che debbano necessariamente ricorrere le condizioni, di derivazione “formalistica”, dettate dall’art. 2361 comma 2 c.c.. Giova precisare come, a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma del diritto societario, tale norma consenta – innovando al precedente quadro normativo – che una società di capitali possa assumere partecipazioni in società a responsabilità illimitata, prevedendo, al riguardo, un sistema di controllo dell’esercizio di tale facoltà rientrante nel potere gestorio degli amministratori, vincolati dalla necessità di acquisire il preventivo assenso dell’assemblea dei soci, nonché dalla  necessità di assicurare una specifica informazione di bilancio, e ciò nell’interesse dei terzi creditori. Invero, deve ritenersi che, nell’ipotesi di mancata osservanza di tali formalità, l’assunzione di tali partecipazioni non sia da ritenersi invalida o giuridicamente impedita.  E ciò in quanto l’atto di assunzione delle partecipazioni ha natura di atto gestorio, in quanto tale riservato alla esclusiva competenza degli amministratori.  Da tale qualificazione discende che lo stesso è idoneo ad obbligare la società nei confronti dei terzi, anche nell’ipotesi di carenza della delibera assembleare, in quanto il difetto di autorizzazione dei soci ha una rilevanza meramente interna alla dinamica sociale,  determinando esclusivamente la responsabilità dell’organo amministrativo nei confronti della società. La ratio di tale lettura della norma deve identificarsi nella esigenza di tutela dei creditori che, in buona fede, possono aver fatto affidamento sulla esistenza della società di fatto. D’altronde, non può obliterarsi come l’art. 2384 c.c. qualifichi, come generale, il potere di rappresentanza, attribuito agli amministratori ed escluda l’opponibilità ai terzi delle limitazioni ai poteri degli amministratori, in relazione agli atti che eccedano l’oggetto sociale o che esorbitino dai limiti statutari o posti da una delibera assembleare, ancorchè pubblicati, denotando la voluntas legis di anteporre la tutela dei terzi a quella dei soci. Dunque, l’art. 147 L.F. comma 5, contiene non una previsione eccezionale ma una specificazione del principio generale della estensione del fallimento della società di fatto ai soci della stessa. Ne deriva che il curatore del fallimento di una società di capitali può richiedere il fallimento in estensione di una società di fatto fra società di capitali e/o persone fisiche. Peraltro,  tale orientamento si pone in armonia con quanto già affermato dalla giurisprudenza secondo cui l’estensione del fallimento è possibile, quando venga accertata l’esistenza di una società di fatto tra società di capitali e persone fisiche, ai soci illimitatamente responsabili in presenza degli indici rivelatori tipici,  individuati in via interpretativa. 

Ciò premesso, il Collegio non ritiene che nel caso di specie ricorrano i presupposti caratterizzanti la “società di fatto”, tradizionalmente individuati in un “elemento oggettivo”, costituito dalla costituzione di un fondo comune, ed in un “elemento soggettivo”, id est l’affectio societatis, ovverossia la comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e collaborare per il conseguimento di un interesse comune, con la conseguente assunzione di un’alea comune relativamente ai profitti e alle perdite, non ravvisabili nel caso concreto; né ricorrono validi ed apprezzabili “elementi  indiziari”, che, per assurgere a dignità di prova e per legittimare l’affermazione della esistenza di una società di fatto tra società di capitali, devono essere gravi, precisi e concordanti, tali, cioè, da far desumere la ricorrenza, nei rapporti interni, dei fattori individualizzanti un rapporto societario (ovvero il fondo comune, l’alea comune e l’affectio societatis), che deve essere, peraltro, esteriorizzato, con carattere di serietà e di sistematicità.

Ciò premesso, quanto alla cessione del ramo d’azienda,  questa è conciliabile anche con la mera volontà di assicurare una continuità dell’attività gestoria, non costituendo, per contro, indice univoco di una comunanza di intenti e di risorse fra le due società e, quindi, di un’affectio societatis.

Evidenzia la curatela, in merito al canone di locazione del capannone industriale e della palazzina contigua, che il valore del fabbricato dichiarato in bilancio al 31.12.2009 è pari ad € 916.859,00 e che il canone convenzionalmente pattuito in € 2000,00 mensili non sarebbe conforme al suddetto valore. Peraltro, la successiva riduzione ad € 500,00 rappresenterebbe un indice sintomatico della comunità di intenti imprenditoriali tra le due società, atteso che- ormai alle soglie del fallimento- la Nuova Giraffa s.r.l. non avrebbe avuto alcuna ragione di “ rinegoziare” un contratto già in essere e con scadenza a venire. 

Peraltro, lo stato di degrado dell’immobile rappresentato dalla Nuova Giraffa s.r.l, contrasterebbe con quanto affermato dalla stessa in sede di ricorso per concordato preventivo.

Inoltre, i beni pignorati da ********* s.p.a. in data 2.7.10, sarebbero stati acquistati da Giraffa Group s.r.l. per “garantirsi la continuità aziendale”.

In primis, deve evidenziarsi l’irrilevanza dell’eventuale modicità del “canone di locazione”, che deve essere commisurato non al valore (fiscale) dell’immobile, ma ai prezzi correnti sul mercato brindisino per immobili similari, mercato che, senza dubbio, risente della situazione generale di crisi in cui versa l’imprenditoria. Nè la successiva riduzione del canone può essere elevata a “solare evidenziazione di una già palese comunità di intenti imprenditoriali tra le due società”, anche perché la revisione del prezzo può giustificarsi con le (rappresentate) mutate condizioni di fruizione dell’immobile, nonché con il vincolo di stretta parentela degli amministratori delle due società.  

          Per quanto concerne la dedotta esistenza della identità strutturale delle due società  (che avrebbero la medesima sede legale), risulta che tal ultima è stata trasferita dalla fallita in via Bari sin dal 21.9.2010. Nè assume carattere dirimente l’aggiudicazione all’asta del “carroponte”, in quanto potenzialmente utile all’attività della Surl. Giraffa Group. Per altro, più in generale, non consta che vi sia identità fra le attività produttive delle due società, ma semmai una parziale sovrapponibilità del loro ambito operativo, in quanto la Giraffa Group s.r.l. svolgeva attività “di natura prettamente cantieristica (scilicet, di manutenzione di impianti)” presso gli insediamenti industriali delle committenti, mentre ben più ampio era il campo  di intervento della s.r.l. Nuova Giraffa costituito dalla progettazione, costruzione e montaggio dei manufatti prodotti.

Né è idonea, di per sé, a dimostrare una comunanza di attività tra le due società,  la commessa ricevuta dalla Soc. Polimeri del Gruppo ENI. Risulta per tabulas, invero, che,  con lettera del 4.11.2009, la Srl. Nuova Giraffa ha comunicato l’avvenuta cessione del ramo d’azienda concernente l’attività cantieristica alla Polimeri, cui seguiva la stipula del contratto quadro n. 5120003643 che, come rilevasi dalla pagina n. 2, ha “sostituito … il contratto n. 5120002095 e successive rettifiche intestato all’ATI Nuova Giraffa Srl. ………”.           La Srl. Nuova Giraffa, peraltro, ha comunicato alla Polimeri la cessazione dell’attività a far data dal 21.2.2010, con il passaggio della gran parte dei lavoratori della Srl. Nuova Giraffa alle dipendenze della Surl. Giraffa Group.

Né rileva che, sino al maggio del 2010, la fatturazione delle prestazioni sia avvenuta  da parte della Srl. Nuova Giraffa, in quanto profilo di natura formale suscettibile di essere giustificato anche da ragioni organizzative.

Peraltro, già il rapporto di lavoro “datato 11.3.2010” è stato intestato dalla Spa. Polimeri Europa alla Surl. Giraffa Group. E a rendere verisimile che il contratto sia stato eseguito dal personale della Surl. Giraffa Group, sovvengono l’elenco delle “timbrature” del personale della Surl. Giraffa Group edito dall’ENI, i moduli di richiesta d’ingresso in cantiere dei dipendenti della suddetta società e alcuni badges rilasciati agli stessi. Alcuna rilevanza, inoltre, può attribuirsi alla “compagine sociale” delle due società, seppure costituita da persone tra di loro legate da strettissimi vincoli di parentela.

Dunque, deve ritenersi che gli “elementi indiziari” indicati siano insufficienti ad integrare i presupposti caratterizzanti la “società di fatto”. Né la Curatela ha offerto prova della “esteriorizzazione” del vincolo sociale, ossia dell’idoneità della condotta complessiva (non di taluno dei soci, ma) di entrambi gli organi amministrativi delle due società ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società, essendo imprescindibile, per la esistenza virtuale della società di fatto inesistente nella realtà fattuale, la dimostrazione che due o più persone, investite di adeguati poteri gestori, operino nel mondo esterno con costanti manifestazioni esteriori, che siano obiettivamente rivelatrici di un rapporto societario, in modo da determinare l’insorgere nei terzi dell’opinione ragionevole che entrambi gli amministratori agiscano come organi rappresentativi indifferentemente dell’una e dell’altra società e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della società irregolare tra le due società di capitali. Peraltro, lo strettissimo legame di sangue esistente tra gli amministratori delle due società, lungi dal facilitare il compito dell’interprete, lo rende ancor più difficoltoso, giacchè, per jus receptum, nel caso in cui il rapporto sociale debba dedursi dai comportamenti tenuti da amministratori di distinte società legati tra di loro da vincoli di parentela e, quindi, da affectio familiaris, l’accertamento degli elementi individualizzanti e legittimanti il giudizio sulla società di fatto deve essere ancora più rigoroso che tra estranei, occorrendo che si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che gli interventi degli amministratori-familiari possano essere motivati dall’“affectio familiaris”, e da deporre, invece, in modo non equivoco nel senso di una compenetrazione (degli amministratori) delle due società nel raggiungimento di uno scopo comune (v., per riferimenti, Cassazione civile, sez. I, 16/06/2010, n. 14580). Ed univoci indici rivelatori di un rapporto societario irregolare sono, come noto, le erogazioni di finanziamenti o le prestazioni di fideiussioni, che, alla stregua della loro sistematicità, presentino i caratteri di una collaborazione continuativa tra imprenditori e di un’unica realtà imprenditoriale.

In considerazione della peculiarità della fattispecie – ed, in particolare, della complessità del quadro  interpretativo relativo agli istituti ad essa sottesi – si ritiene equo compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il  Tribunale

rigetta la istanza ex art. 147 l.f. proposta dalla Curatela del Fallimento della Srl. Nuova Giraffa nei confronti della Srl. Giraffa Group;

spese compensate.        

 

    Il giudice relatore

dott.  *****************                                         

   Il  Presidente

dott. ******************

 

Si comunichi.

Brindisi, lì 7.1.2013

Redazione