Factoring: diventa mandato solo se i servizi accessori risultano prevalenti sulla cessione dei crediti (Cass. n. 21603/2012)

Redazione 03/12/12
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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 2000, il Fallimento CCRT impianti srl in liquidazione, dichiarato dal Tribunale di Milano il 16 ottobre 1997, conveniva avanti il medesimo Tribunale la International Factors Italia spa (IFITALIA), e l’ENEL Distribuzione spa.

Quanto alla prima, Fattore chiedeva in via principale, a norma della *******., art. 67, comma 2, revocarsi gli accreditamenti operati nell’ambito di un intercorso rapporto di factoring, in misura di complessive L. 159.262.923, sul conto corrente intestato alla società durante l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento di quest’ultima, nonchè dichiararsi inefficaci, ai sensi del successivo art. 44, i pagamenti in analogia occorsi per L. 71.144.626; quanto alla seconda, chiedeva dichiararsi la propria legittimazione esclusiva alla riscossione del crediti della CCRT con conseguente condanna della convenuta al pagamento di due fatture del settembre 1996 per totali L. 53.322.022.

Si costituiva in giudizio l’Enel chiedendo di chiamare in causa della Interpower spa quale cessionaria della struttura produttiva cui ineriva il contratto originante una delle fatture in questione.

Si costituiva parimenti la International Factors Italia spa, che, oltre a confutare la ascrittale conoscenza dello stato d’insolvenza al tempo del pagamenti dedotti in causa, escludeva essersi nella specie trattato di un rapporto di conto corrente e di una reciprocità di rimesse, avendo, nel peculiare contesto negoziale di factoring, accreditato alla società cedente il corrispettivo del crediti cedutile, ma solo dopo esserle subentrata nella titolarità relativa.

Il Tribunale,con sentenza del 5 agosto 2003, rilevata l’avvenuta contabilizzazione delle operazioni svoltesi in attuazione del rapporto in oggetto all’interno di un unico conto, secondo il tipico svolgimento del rapporto di conto corrente, con pattuita loro compensazione (volontaria), attribuiva carattere solutorio ai pagamenti colà risultanti in favore della società finanziaria,che riteneva consapevole dello stato di dissesto della cedente, e, in accoglimento delle domande proposte, la condannava al pagamento delle somme di Euro 82.252,43 e di Euro 36.743,13 oltre interessi, mentre condannava Enel Distribuzione spa e ********** spa, costituitasi in causa, a pagare rispettivamente le somme di Euro 9.747,98 e Euro 4.526,21 oltre interessi.

Avverso la sentenza proponeva appello la International Factors Italia con atto di citazione notificato il 20 maggio 2004 alla procedura e alla Enel Distribuzione spa.

Si costituiva nel grado il Fallimento resistendo alla proposta impugnazione, mentre restava contumace l’altro appellato.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1285/07, rigettava l’impugnazione.

Avverso la detta decisione ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi la International Factors Italia cui resiste con controricorso la curatela fallimentare. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la sussistenza della conoscenza dello stato d’insolvenza sulla base, da un lato, della sottovalutata incidenza sulla cedente della dichiarazione di fallimento della società sua assunta capogruppo e, dall’altro, dell’intervenuta consapevolezza del deterioramento accentuato delle condizioni economìche e finanziarie di quest’ultima.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dei canoni interpretativi del contratto stabiliti dal codice civile in ragione di una mancata qualificazione del negozio secondo la comune volontà delle parti sull’oggetto e l’erronea interpretazione delle clausole contrattuali, basata su un solo articolo dello stesso (art. 15) senza prendere in considerazione altri rilevanti articoli,la cui corretta applicazione avrebbe dovuto portare la Corte d’appello a ritenere che il contratto per cui è causa integrava fattispecie contrattuali plurime. Con il terzo motivo deduce: a) omessa motivazione nella parte in cui il giudice di merito non spiega nè evidenzia gli elementi che lo hanno spinto ad attribuire causa di mandato al rapporto tra le parti; b) insufficiente e contraddittoria motivazione laddove la sentenza impugnata afferma che le parti, volendo sviluppare i loro traffici economici, avevano dato vita ad un contratto di factoring anzichè direttamente a rapporti di mandato, a solo fine di agevolare gli incassi a mezzo del trasferimento fittizio della titolarità dei crediti e nonostante che i debitori ceduti sarebbero state primarie imprese di interesse nazionale, perfettamente solvibili; c) insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d’appello arriva alla affermazione della sussistenza di causa mandato nelle cessioni sulla base di supposizioni prive di concretezza a mezzo di un parziale richiamo ad una sola clausola contrattuale.

Con il quarto articolato motivo deduce che con la cessione, a norma dell’art. 1260 c.c. e segg., e della L. n. 52 del 1991, il factor cessionario acquisisce la legittimazione ad esigere e ricevere l’adempimento del pagamento del debito ture proprio e non per conto di altri e che pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, non è possibile ritenere la sussistenza tra il factor ed il fornitore di un rapporto di conto corrente ordinario o bancario poichè i versamenti effettuati dal factor costituiscono il pagamento del prezzo dei crediti ceduti in relazione al quale non acquisisce alcun credito nei confronti del cedente ma solo l’eventuale diritto ad ottenere la restituzione di quanto versato in caso di mancato pagamento da parte del debitore ceduto con la conseguenza che nel caso in cui tate pagamento avvenga si verifica una compensazione volontaria tra i debiti dal fornitore maturati nei confronti del factor per interessi, spese e commissioni e l’incasso dal ****** in nome proprio effettuato direttamente presso il debitore ceduto.

Con il quinto motivo Ifitalia deduce che, dovendosi al caso di specie applicare la L. 21 febbraio 1991, n. 52, il fallimento avrebbe potuto semmai esperire l’azione di dichiarazione di inopponibilità della cessione dei crediti d’impresa e non già l’azione revocatoria fallimentare prevista dalla L. Fall., art. 67.

Vanno esaminati in via preliminare il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che, in quanto tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Come già rilevato in precedenza, con tali motivi IFITALIA contesta la violazione da parte della Corte d’appello dei canoni di interpretazione dei contratti stabiliti dal codice civile, in particolare tramite l’omesso esame delle clausole contrattuali nel loro insieme ed una mancata ricostruzione della effettiva volontà delle parti, che ha portato quel giudice ha ritenere che il contratto di factoring in questione avesse dato luogo ad un rapporto di mandato relativo alla gestione dei crediti messi a disposizione da parte della resistente anzichè ad una cessione degli stessi.

Sostiene, invece, la ricorrente che una corretta interpretazione del contratto avrebbe dovuto indurre a ravvisare, nella situazione giuridica conseguente alla perfezionata cessione, un risultato traslativo definitivo, specificamente ed autonomamente rilevante (anzichè un mero strumento di agevolazioni delle gestione del credito),in cui assumeva carattere essenziale e centrale, appunto, la cessione dei crediti, con i conseguente risultato giuridico del trasferimento del valore patrimoniale rappresentato dai crediti stessi, laddove la funzione gestoria, pur presente nel tipo contrattuale del factoring, si collocava in posizione subordinata e strumentale. Secondo la ricorrente, quindi, la posizione giuridica attiva correlata a ciascuno dei crediti oggetto di cessione doveva considerarsi dismessa dal cedente per effetto della cessione e trasferita in capo al ****** cessionario che avrebbe così acquisito, quale elemento essenziale di tale cessione (e non ad altro titolo), fa legittimazione ad esigerne ed a riceverne l’adempimento pire proprio e non per conto di altri.

I motivi si rivelano anzitutto ammissibili ponendo gli stessi, da un lato,del le questioni in punto di diritto in tema di osservanza delle norme sull’interpretazione del contratto e,dall’altra, deducendo vizi motivazionali in relazione al mancato esame di articoli del contratto rilevanti ai fini della decisione.

Per altro verso, i quesiti risultando debitamente formulati ponendo essi adeguate questioni giuridiche e riassumendo le questioni inerenti ai vizi di motivazione.

Ciò posto, i motivi si rivelano fondati.

Va premesso che questa Corte ha ripetutamente affermato che il factoring (anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 52 del 1991) rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l’obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (il facior) la titolarità dei crediti derivati dall’esercizio della sua impresa.

Le funzioni economiche del factoring sono molteplici ed esso, di regola, è caratterizzato dalla compresenza di plurime operazioni quali, appunto, la cessione di uno o più crediti (con le possibili varianti del finanziamento in favore dell’impresa, attraverso le anticipazioni o smobilizzi, e dell’assunzione del rischio dell’insolvenza) e l’assunzione da parte del factor di obbligazioni non strettamente inerenti alla cessione, aventi ad oggetto la gestione dei crediti (quali: informazione, consulenza, collaborazione nella gestione aziendale etc.) di non secondaria importanza nell’economia del contratto.

A fronte di ciò è prevista una commissione in favore del factor che costituisce il corrispettivo di quell’attività, variabile in rapporto a molteplici elementi che incidono sul grado di assunzione del rischio dell’operazione.

Ne consegue che, ai fini della qualificazione del contratto, che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico-economici, il giudice deve fare riferimento all’intento negoziale delle parti che renda palese il risultalo concreto dalle stesse perseguito, valutando, in particolare, se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati, o per altra ancora” (Cass. 2746/07, Cass. 6192/08, Cass. 15797/09, Cass. 17116/04, Cass. 10004/03, Cass. n. 1510/01, Cass. 684/01).

Nel caso di specie,dunque, il giudice doveva ricostruire quale fosse stato l’intento delle parti nella conformazione del contratto sulla base di una adeguata interpretazione delle clausole contrattuali alla luce dei principi del codice civile e doveva fornire adeguata motivazione su tale punto.

Vanno a tale proposito ulteriormente rammentati i principi ripetutamente ribaditi da questa Corte in tema di motivazione che deve estrinsecarsi nell’esposizione degli elementi di fatto e di diritto, nonchè nelle argomentazioni nelle quali si sostanzia la ratio decidendi, che costituiscono il fondamento logico della decisione, allo scopo di consentire alla parte, prima, ed al giudice dell’impugnazione, poi, di eseguire la valutazione della conformità dell’atto alle regole che lo governano. (Cass. 6192/08) A tal fine è necessario, in primo luogo, che la sentenza contenga una “concisa esposizione” (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), costituita da un’esposizione minima degli argomenti che permettano di ricostruire il procedimento logico – giuridico seguito per pervenire ad una determinata conclusione e degli elementi di fatto che la fondano (ex plurimis Cass., n. 5434/03; Cass. n. 10484/01). Inoltre, la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass., SS.UU. n. 10892/01).

Nella specie, la pronuncia non si sottrae alle censure svolte dalla ricorrente. La Corte d’appello, dopo avere dato atto delle censure avanzate da Ifitalia alla sentenza di primo grado osserva che “agli scopi più diretti di causa basterà qui tornare a sottolineare che tate tipologia contrattuale comporta la cessione da parte di un imprenditore del propri crediti mercantili a breve termine all’operatore specializzato, il quale si assume, a fronte di un compenso, l’obbligo di curarne appunto la gestione e l’incasso ed insieme di finanziare quel cedente mediante lo smobilizzo delle partite in carico, da attuarsi attraverso anticipi ragguagliati in una certa misura percentuale al valore nominate del crediti.

Nello svolgimento del quali compiti il factor viene dunque ad operare alla stregua, prevalentemente, di un negozio di mandato: una causa del rapporto contrattuale in oggetto che vale a rendere nella specie inapplicabile la legge, qui invocatasi dalla difesa appellante, n. 52/1991 sulla cessione dei crediti d’impresa, e del resto – pare senz’altro significativo – nemmeno richiamata net testo dell’accordo stipulato nel luglio 1995brattandosi di una disciplina che si rapporta piuttosto alto schema categoriale più specifico, e però anche delimitato, della compravendita.

La pluralità delle funzioni cui viene invece ad adempiere il factor cessionario con la complessa articolazione del suo intervento, ove solo si pensi alla gestione del portafoglio crediti nonchè anche il grado di intrinseca onerosità valgono, d’altra parte a evidenziarne una saliente alterità rispetto alle attività di smobilizzo del crediti commerciali d’ordinario esercitate da altri intermediari, e per lo più di matrice bancaria, quali sono i soggetti operanti, vale a dire, nel c.d. commercial finaticing – in primo luogo fra questi, appunto, gli enti creditizi”.

Tale motivazione non risulta conforme ai principi dianzi enunciati.

Come detto, questa Corte ha ripetutamente affermato che la qualificazione giuridica del negozio di factoring deve essere effettuata in base ad una analisi della effettiva volontà delle parti fondata su un esame delle clausole contrattuali.

Nel caso di specie, invece, la Corte d’appello, afferma in via di principio che il contratto di factoring è di regola equiparabile ad un contratto di mandato senza che in nessuna parte della sentenza siano stati indicati, sia pure sommariamente, il contenuto del contratto e le clausole del medesimo (eccetto il riferimento all’art. 15, di cui si dirà di seguito); circostanza che, di per sè, già pone in luce la carenza espositiva della motivazione, in quanto la conclusione cui perviene la pronuncia risulta del tutto avulsa dalle risultanze processuali e non comprensibile in riferimento al contenuto concreto del negozio ed alle ragioni che, sulla scorta appunto delle pattuizioni contrattuali, hanno fondato la conclusione.

L’affermazione in esame, apoditticamente resa, inoltre contrasta con altro principio affermato da questa Corte secondo cui il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dal l’obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivandi dall’esercizio della sua impresa (Cass. 24.6.2003, n. 10004; Cass. 27.8.2004, n. 17116; Cass. 2746/07). In tale contesto il factor può acquistare i crediti “pro soluto” (assumendosi il rischio dell’insolvenza dei debitori) o “pro solvendo” (in questo caso saranno accreditate all’imprenditore le sole somme recuperate). Lo strumento formale adoperato è l’istituto della cessione dei crediti regolato dall’art. 1260 c.c. e ss. (Cass. 2746/07).

Dalla affermazione di tali principi si evince con tutta evidenza che il contratto di factoring comporta,di regola, la cessione della titolarità dei crediti ed è basato quindi su una ratio vendendi sia pure collegata con una serie di servizi accessori. Da ciò consegue che nel caso in cui questi ultimi acquisitino una prevalenza rispetto alla causa naturale del negozio sino a trasformarlo in un mandato, occorre fornire da parte del giudice una adeguata motivazione in tal senso motivazione che nel caso di specie è del tutto carente.

A parte, infatti, l’apodittica affermazione di cui si è finora discusso, Punica motivazione contenuta nella sentenza si riferisce alla clausola relativa al conto di dare ed avere tra le parti contenuta nell’art. 15 del contratto.

A tale proposito la sentenza impugnata rileva che “l’art. 15 delle menzionate Condizioni generali prevedesse che il corrispettivo del erediti di cessione fosse volta a volta annotato a credito del cedente all’atto dell’accettazione da parte del factor ma venendo poi reso disponibile per il cedente stesso, ed ancorchè solo ad avvenuta riscossione del crediti medesimi: con il che dunque i pagamenti in oggetto, e – ripetesi – pur sotto condizione dell’incasso, diventavano infine a quello disponibili, in quanto susseguentemente computati in deduzione dal debito maturato verso il cessionario per le anticipazioni erogatene.

E così, di là dalle indubitate partieolarità proprie dell’accordo sovraordinato all’apposito conto unitario su cui il faci or, a norma dell’art. 15 succitato procedeva, da un lato, ad annotare il corrispettivo del crediti di cessione a vantaggio del fornitore, e dall’altro per converso a registrare a suo debito il corrispettivo anticipato, gli interessi maturati, nonchè quant’altro ancora ad esso dovutone, il globale contesto pattizio in esame doveva e deve ravvisarsi incentrato, come in precedenza rilevato, su di un incarico di mandato, qualificato nel senso della gestione di un monte – crediti, piuttosto che su di una cessione a titolo derivativo – traslativo, quanto a dire avente un’efficacia compiuta e definitiva.

Le cessioni di credito in parola, quindi, in luogo di denotarsi come generate da una causa contrattuale commutativa, manifestano invece un costitutivo loro carattere strumentale, mirando esse, più essenzialmente, a dotare il factor di una titolarità formale, ovvero della legittimazione occorrente per l’esercizio del diritti inerenti verso i terzi con la finalità di dare concreta esecuzione al compito gestionale assuntosi, ed a provvederlo insieme della garanzia del compenso spettantegli per le attività esplicate a vantaggio dell’imprenditore, ivi compresa quella precipuamente connotativa del suo finanziamento: e dunque anche al fine dette restituzioni conseguenti”.

In definitiva dunque la natura di mandato del contratto intercorso tra le parti è desunta dal regolamento dei rapporti di dare ed avere tra le parti sulla base di un conto che la sentenza definirà poi equiparabile ad un conto corrente bancario.

Il giudice di seconde cure non ha però in alcun modo tenuto conto di diverse altre clausole contrattuali che, se esaminate avrebbero potuto, in ipotesi, portare anche alla diversa conclusione secondo cui la cessione dei crediti era avvenuta con il trasferimento in proprietà degli stessi.

In particolare, come sostenuto nel ricorso, la Corte d’appello non ha tenuto conto dei seguenti articoli citati nel ricorso con la trascrizione integrale del testo in osservanza del principio di autosufficienza.

A) Definizioni, ove, tra l’altro, si legge “Cessione indica il negozio giuridico mediante il quale il fornitore trasferisce al factor anche in massa, i propri crediti esistenti e/o futuri”;

B) Art. 1 contenente l’individuazione dell’oggetto del contratto ove, tra l’altro, si legge: “Il presente contratto, di cui le definizioni sopra riportate formano parte integrante e sostanziale, ha per oggetto la disciplina delle future cessioni verso corrispettivo del crediti del Fornitore nel confronti del propri debitori”.

C). Art. 6 intitolato “rapporti con i debitori” ove, tra l’altro, sì legge “.. il Fornitore sarà tenuto a far si che i pagamenti dei crediti ceduti vengano effettuati dai debitori esclusivamente al ******, astenendosi da qualsiasi iniziativa tendente all’incasso dei crediti medesimi.

I pagamenti dei debitori effettuati al Fornitore comporteranno per il Fornitore l’obbligo di trasmettere immediatamente al ****** le somme e/o gli eventuali titoli debitamente girati ed i valori ricevuti, indicandone l’imputazione specificata dal debitore….”;

D) Art. 9 intitolato “pagamento anticipato del corrispettivo ed effetti dell’inadempimento del debitore, ove,tra l’altro, si legge” “a) Su richiesta del fornitore, il ****** potrò anticipare il pagamento di tutto o parte del corrispettivo dovuto rispetto all’incasso dei crediti oggetto di cessione o alla diversa data convenzionalmente stabilita: sino a tale data le somme anticipate saranno produttive di interessi nella misura e alle condizioni specificate in apposito accordo. Detta anticipazione, in misura percentuale da convenirsi tra le parti, sarà a valere sull’ammontare complessivo dei crediti ceduti e in essere tenendo comunque presente che le anticipazioni complessivamente effettuate (comprensive di interesse, commissioni e spese) non potrà mai superare il valore nominale dei crediti ceduti. Il Fornitore, conseguentemente, è obbligato a trasmettere prontamente al ****** le somme necessarie a ripristinare il rapporto convenuto tra l’ammontare dei crediti ceduti e quello corrispettivo anticipato qualora lo stesso dovesse modificarsi per effetto…….; b) In caso di mancato incasso alla scadenza di crediti ceduti o qualora si possa comunque presumere che il debitore non possa o non voglia adempiere alle proprie obbligazioni, il Fornitore quale garante della solvenza del debitore sarà tenuto, anche per i crediti non ancora scaduti, a restituire al ******, a semplice richiesta, quanto ricevuto a titolo di pagamento anticipato del corrispettivo oltre gli interessi maturati…..

Il Factor è in ogni caso esonerato dal ‘osservanza del disposto dell’art. 1267 c.c., comma 2.

Ad avvenuta restituzione del corrispettivo anticipato e di quant’altro dovuto, i crediti insoluti saranno trasferiti nuovamente al Fornitore salvo che, su richiesta e a rischio e spese del Fornitore medesimo, il ****** accetti di esperire le azioni necessarie al loro recupero…….

Il mancato esame dei detti articoli ed il mancato raffronto degli stessi con l’art. 15 del contratto, posto a base della decisione, comporta, per un verso, violazione delle norme di interpretazione del contratto, dovendo le clausole contrattuali essere interpretate in connessione tra loro e dovendo, in base ad esse, l’interprete ricostruire la volontà delle parti, mentre,per altro verso, da luogo ad una motivazione del tutto carente.

La circostanza che l’art. 15 del contratto debba essere letto in relazione a tutti gli altri articoli del negozio risulta, poi, di tutta evidenza anche alla luce di quanto già affermato da questa Corte secondo cui “la circostanza che il finanziamento sia compensabile con le somme giacenti sul conto non contraddice affatto il ruolo, che le anticipazioni possono assumere, di pagamento del corrispettivo, giacchè, dovendo la pattuizione essere riguardata nel suo risultato finale, resta in linea con gli intenti negoziali delle parti che, una volta andata a buon fine la cessione, in tutto o in parte, il credito riscosso dal factor venga da liti ritenuto in relazione alle anticipazioni versate e agli altri costi preventivamente concordati dall’operazione, la quale svolge, così, unitamente al ruolo di finanziamento, assunto nella fase iniziale del rapporto, quello finale di versamento del corrispettivo della cessione;

mentre nel caso di mancata esazione dei crediti – se è stata convenuta, come ordinariamente prevede la L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 4, la garanzia della solvenza del debitore – di quelle anticipazioni il fornitore è tenuto al rimborso” (Cass. 684/01).

I motivi vanno in conclusione accolti.

Restano assorbiti il primo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso che saranno valutati dal giudice del rinvio a seguito della nuova valutazione da effettuare, alla luce delle disposizioni contrattuali, della effettiva natura del negozio intercorso tra le parti.

La sentenza impugnata va in conseguenza cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

 

P.Q.M.

Accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, assorbiti il primo, il quarto ed il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia,anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Redazione