Facoltà di revoca o di recesso dal contratto di appalto della Pubblica Amministrazione e informative antimafia (Cons. Stato n. 4467/2013)

Redazione 09/09/13
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FATTO e DIRITTO

1.1 – La C.Z.C. Costruzioni s.a.s. di S. L. e c. impugna la sentenza del Tar Campania, Sede di Napoli, n. 11743/2003, la quale ha respinto il ricorso proposto in primo grado dalla medesima C.Z.C. Costruzioni avverso il provvedimeno prot. n. 12830 dell’11 novembre 2002 [con cui il Comune di Striano disponeva – sulla scorta dell’informativa prefettizia antimafia richiesta ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’ art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490 e dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (atti normativi entrambi vigenti a quella data) – la risoluzione del contratto di appalto dei lavori di ampliamento del cimitero comunale – Lotto C, stipulato in data 28 marzo 2002] e avverso gli atti pregressi (la nota del 9.10.2002 prot. n. 11829 con cui lo stesso Comune preannunciava la volontà di procedere alla risoluzione di quel contratto; il verbale di presa d’atto della sospensione dei lavori del 18.10.2002; la informativa prefettizia antimafia pervenuta al Comune di Striano in data 2.10.2002).

1.2.1 – L’appello sostiene in primo luogo che erroneamente i giudici di primo grado hanno ritenuto non fondata la tesi, prospettata nel ricorso introduttivo, della natura non vincolata ma discrezionale del potere di risoluzione esercitato dal Comune di Striano, e dunque della conseguente necessità di puntuale motivazione in capo all’Amministrazione resistente, motivazione che nella specie sarebbe stata del tutto omessa.

Il Tar avrebbe sminuito l’inconfutabile dato testuale emergente dalla normativa di riferimento, in base alla quale l’inibizione a contrarre prospettata dall’Amministrazione comunale sussisterebbe nella sola ipotesi in cui il Comune riceva le informazioni richieste prima della sottoscrizione del contratto con l’impresa aggiudicataria (come si ricaverebbe dalla lettura degli artt. 4, comma 6, d.lgs. n. 490/94 e 10, comma 2, D.P.R. n. 252/98); viceversa, qualora (come nell’ipotesi che occupa) l’Amministrazione abbia legittimamente provveduto alla stipula del contratto decorso inutilmente il termine di quarantacinque giorni previsto dagli artt. 4, comma 5, d. lgs. n. 490/94 e 11, comma 2, D.P.R. n. 252/98, il legislatore avrebbe previsto che l’originaria inibizione a contrarre degradi a mera facoltà di revoca o di recesso in favore dell’Ente (giusta quanto contemplato dagli artt. 4, comma 6, D. lgs. 490/94 e 11, comma 3; D.P.R. n. 252/98), il quale sarebbe tenuto ad esercitarla non in maniera arbitraria ma fornendo ampio ragguaglio dei provvedimenti e delle motivazioni posti a base della stessa.

Tale facoltà sarebbe peraltro testualmente riprodotta nell’art. 13 del contratto di appalto stipulato dalla ricorrente, a confortare vieppiù la necessità che il Comune di Striano, nel deliberare la risoluzione contratto concluso con la ricorrente, avrebbe dovuto non soltanto consentire a quest’ultima di avere piena ed effettiva conoscenza dell’informativa prefettizia (invece inspiegabilmente celata), ma avrebbe dovuto adeguatamente motivare il provvedimento avente portata lesiva degli interessi vantati dalla deducente e da sacrificare.

1.2.2 – L’appello lamenta altresì che erroneamente i giudici di primo grado hanno ritenuto che l’informativa prefettizia impugnata resistesse alle critiche mosse dalla ricorrente.

I giudici di prime cure non avrebbero adeguatamente valutato il contenuto della documentazione esibita dall’Amministrazione resistente, dal momento che non avrebbero in alcun modo considerato che le circostanze riferite nella nota della Questura, nonché negli atti e documenti ivi richiamati, pur non avendo sinora trovato riscontro in alcun provvedimento giudiziario, sarebbero state invece poste a base di determinazioni prefettizie che confliggerebbero insanabilmente con il rispetto rigoroso dei canoni minimi di adeguatezza della motivazione, di trasparenza e di coerenza e logicità degli atti. E il Tar non avrebbe per nulla valutato che il giudizio negativo espresso dall’Ufficio territoriale del Governo di Napoli si è basato su circostanze risalenti (ai primi anni ’80 e al 1991), per la maggior parte irrilevanti e per nulla confortate da nuovi accertamenti che dimostrassero la persistenza del presunto condizionamento.

1.3 – Il Ministero dell’Interno si è costituito in data 14 gennaio 2013, ed in data 15 maggio 2013 ha depositato una memoria.

La causa è passata in decisione alla udienza pubblica del 2 luglio 2013.

2. -L’appello non è fondato.

2.1 – Il primo motivo ribadisce l’assunto del primo grado che afferma la natura non vincolata ma discrezionale del potere di risoluzione/recesso esercitato dal Comune di Striano al ricevimento dell’informativa prefettizia antimafia di cui agli artt. 4 del decreto legislativo n. 490/994 e 10 del D.P.R. n. 252/1998; e la conseguente necessità – che il Comune appellato avrebbe negletto – di una esauriente motivazione del relativo provvedimento prot. n. 12830/2002.

Il rilievo è da respingere.

In proposito il Tar risulta aver correttamente valorizzato, in primo luogo, l’ espressa clausola risolutiva contenuta nell’art. 13 del contratto stipulato fra Comune e aggiudicatario ora appellante.

La clausola del contratto consentiva di per sé lo ius poenitendi del Comune, al sopraggiungere di una sfavorevole informativa prefettizia antimafia (“Il presente contratto è stipulato con clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 490/94 e dell’art. 11 del D. P. R. n. 252/1998”), sia che si attribuisse a quella clausola origine negoziale sia che – come ritenuto dal Tar – si attribuisse a quella clausola natura di “condizione legale, evento previsto dalla legge come causa ostativa del contratto al cui verificarsi è subordinato il potere-dovere della stazione appaltante di procedere alla risoluzione del contratto” (così la sentenza appellata).

Quella clausola risolutiva espressa veniva richiamata dal Comune già con la pure impugnata nota prot. n. 11829 del 9.10.2002 (che dava conto alla deducente dell’informativa prefettizia e preannunciava la volontà comunale di procedere alla risoluzione del contratto·di appalto ‘ai sensi e per gli effetti dell’ art. 13 del contratto medesimo’); sicché le contestate determinazioni comunali risultano già per questa ragione correttamente ed esaurientemente motivate, a prescindere dall’attribuire ad esse natura vincolata (come ritenuto dal Tar) oppure discrezionale (come asserito dall’appellante).

Quanto a quest’ultimo profilo (natura vincolata oppure discrezionale della determinazione comunale di risoluzione/recesso) si osserva che, come la Sezione ha già avuto modo di rilevare (v. C.d.S., Sez. V, 3 ottobre 2005, n. 5247), la facoltà di revoca o di recesso dal contratto di appalto della Pubblica Amministrazione – prevista dall’art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 252/1998 nell’ipotesi in cui gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto – rappresenta specificazione della fattispecie più generale della sopravvenienza in corso di rapporto di elementi incompatibili con il prosieguo della sua esecuzione; incompatibilità sulla quale la legge non attribuisce alcun sindacato all’Amministrazione appaltante, stante il divieto di stipulare o approvare i contratti e i subcontratti previsto dall’art. 10 comma 2 allorché, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate.

La Stazione appaltante non ha facoltà di sindacare il contenuto dell’informativa prefettizia, poiché è al Prefetto che la legge demanda in via esclusiva la raccolta degli elementi e la valutazione circa la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa (C.d.S., Sezione VI, 19 gennaio 2012, n. 197).

Invero, dall’incontestabile dato letterale di cui all’art. 11, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 252/1998 e dell’art. 4 comma 6, del decreto legislativo n. 490/1994 può riconoscersi alla Stazione appaltante una qualche facoltà di non revocare l’appalto nonostante il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato. Ma trattasi di ipotesi che – data l’evidente ratio di pieno sfavore legislativo alle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici – è, all’evidenza, remota e residuale, e dunque consentita al solo fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione a circostanze particolari, quali il tempo dell’esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata (confr. la testé citata pronuncia C.d.S., Sezione VI, n. 197/2012). Ma il caso in esame non presenta queste caratteristiche particolari; sia perché presenta l’espressa clausola risolutiva sia per le specifiche circostanze di fatto, dalle quali non emergono situazioni tali da poter prescindere dalle risultanze preclusive emerse dall’informativa prefettizia.

2.2 – Quest’ultima infine – diversamente da quanto asserito dalla deducente in appello e in primo grado – non risulta in conflitto con i “canoni minimi di adeguatezza della motivazione, di trasparenza e di coerenza e logicità degli atti”.

La circostanza – allegata dall’appellante – che le criticità riferite nella nota della Questura prot n. 12598 del 20.9.2002 e negli altri documenti ivi richiamati non troverebbero riscontro in provvedimenti giudiziari è priva di rilievo, poiché – come pacificamente ritenuto (v. per tutte, C.d.S., Sez. V, 3 ottobre 2005, n. 5247) – nel rendere le informazioni in argomento, fornite ai sensi dell’allora vigente art. 10 comma 7 lett. c), del D.P.R. n. 252/1998, era sufficiente che il Prefetto effettuasse la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario, in cui assumessero rilievo preponderante i fattori induttivi della possibilità che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore rappresentassero un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti pubblici, e con la precisazione che l’ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva dell’informativa, consentiva che il Prefetto potesse ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell’assoluta certezza ma che, nel loro insieme, fossero tali da giustificare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa potesse, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata.

Queste considerazioni, cui si rinvia, valgono anche per la lamentata risalenza delle circostanze valutate dal Prefetto e dal Questore (il giudizio negativo espresso dall’Ufficio territoriale del Governo di Napoli si sarebbe illogicamente basato solo su circostanze risalenti ai primi anni ’80 e al 1991); considerazioni cui può aggiungersi il rilievo che dalla informativa prefettizia, e dagli atti a suo sostegno esaminati dal Tar, appaiono sufficienti elementi perché il ******** arguisse – senza gravi vizi logici o palesi carenze valutative – che il pericolo d’infiltrazione poteva permanere (né invero risultano nel presente giudizio principi di prova o adeguate prospettazioni a contrario).

3. – L’appello va dunque respinto.

Le spese seguono la soccombenza anche nel presente grado, e sono anche per esso – come per il primo grado – liquidate in € 2.000,00.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge il gravame in epigrafe.

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