Evasione: fatture false (Cass. pen. n. 12848/2013)

Redazione 20/03/13
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Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza qui impugnata, il ricorrente si è visto confermare dalla Corte d’appello la pronuncia di responsabilità per la violazione dell’art. 8 comma 1 d.lgs 74/00 per avere, in qualità di rappresentante della società ********: (a) ) emesso, nell’anno 2004 – al fine di consentire alla V. S.r.L – l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, una fattura per operazione inesistente pari a 2.016.000 € (avente ad oggetto la vendita del macchinario industriale denominato M. 1226) e, nell’anno 2003, la nota di accredito inerente la restituzione di detto macchinario. Egli è stato anche giudicato responsabile (b) ) della violazione dell’art. 2 d.lgs 74/00 per avere indicato elementi passivi fittizi (per un ammontare superiore a 154.937,07 €) nelle dichiarazioni annuali relative agli anni di imposta 2004 e 2005 nonché, (c) ) della violazione dell’art. 4 citato d.lgs per avere, nella predetta veste di rappresentante della O. V., indicato una minore IVA dovuta per gli anni di imposta 2002 e 2003.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo, come motivo unico, erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione per impossibilità di messa in pericolo del bene tutelato dalla normativa fiscale, nonché vizio di motivazione con riferimento al dolo specifico di evasione fiscale.

In particolare, il ricorrente ripassa in rassegna le contestazioni, una per una facendo notare (detto in estrema sintesi) che, quanto al capo al, il bene cui si riferisce la fattura in contestazione era oggetto di ammortamento perciò il suo costo di acquisto non transitò mai dal conto economico della V. né venne indicato tra le componenti negative di reddito. La V. non poteva ottenere risparmi neppure sotto il profilo ***. Premesso che l’acquisto del bene strumentale M. e la cessione di quello S. (capi a) e b) ) sono tra loro inscindibilmente collegati, il risultato è che, in assenza di entrambe le predette operazioni, la società non avrebbe dovuto versare alcuna somma a titolo di *** ma avrebbe semplicemente evidenziato un minor credito. In ordine alla nota di accredito, poi, si fa notare che essa costituisce l’effetto contabile della restituzione del bene, vale a dire, di una operazione di segno opposto ad un acquisto, con evidente conseguente inattitudine all’abbattimento dei redditi dichiarati. Le considerazioni che precedono (sia pure più ampiamente sviluppate nell’atto di ricorso) valgono in parte anche per il capo b) perché, come anticipato, concernono il macchinario denominato S. che è collegato a quello denominato M..

Infine, il ricorrente denuncia assenza di offensività nella condotta ascritta all’imputato e di dolo specifico di evasione fiscale. Si contesta che le operazioni in contestazione mirassero a far figurare componenti negative del reddito essendo, invece, stato dimostrato come il costo di acquisto dei beni non sia mai transitato dal conto economico della V. e, quindi, mai indicato tra le componenti negative di reddito. Infine, si fa notare che la sentenza impugnata ha trascurato i versamenti *** ed Irap effettuati dalla O. a dicembre 2004 che non sarebbero stati effettuati in mancanza delle operazioni in contestazione e si ricorda, da ultimo, che anche la Corte costituzionale ha asserito che la valutazione della offensività del reato deve essere fatta anche in presenza di reati di pericolo.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

 

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione – Il ricorso è inammissibile per più ragioni.

La prima risiede nella constatazione del fatto che – come è dato comprendere dalla semplice lettura della sentenza impugnata – i presenti motivi sono essenzialmente i medesimi già portati all’attenzione della Corte d’appello. Dal momento che essi sono stati puntualmente e congruamente esaminati dai giudici di merito, ricevendone congrua risposta, essi devono essere considerati “apparenti” (sez. v, 27.1.05, Giagnono, RV. 231708).

La doglianza, infatti, avrebbe dovuto consistere in una critica alla motivazione dei giudici di appello, e non, risolversi in una ripetizione pura e semplice degli stessi motivi. Tanto più che, essendo essi in fatto, il ricorso è inammissibile per l’ulteriore considerazione che questa sede di legittimità non è deputata ad un nuovo esame degli elementi emersi dal processo (per darne, eventualmente, una diversa lettura) ma solo ad una verifica della correttezza della motivazione sotto il duplice profilo della esaustività degli argomenti considerati (rispetto a quelli emersi) e della logicità della loro chiave di interpretazione.

Sotto tale angolazione, può affermarsi che la motivazione qui in esame non presta il fianco ad alcuna critica dal momento che ha attentamente vagliato tutti gli argomenti qui svolti evidenziando, in particolare, il rilievo assunto – al fini della valutazione della esistenza o meno delle operazioni di cessione/restituzione dei due macchinari – la deposizione di B. G. (coimputato – in qualità di legale rappresentante della V. – che ha definito la propria posizione ex art. 444 c.p.p.) Si è appreso così che il macchinario S. 350 “fermo” presso la O. S.p.a. venne portato verso l’aprile 2005 e vi rimase sino ad ottobre dello stesso anno quando il B. lascio la società. Prima, però, V. gli aveva detto di sottoscrivere una lettera di contestazione avente ad oggetto un altro macchinario (M. 1228), che asseritamele sarebbe dovuto arrivare, nonché un’altra lettera per il macchinario S. 350.

In tali occasioni, gli sarebbe stato detto: «fammi la cortesia, firma questi documenti perché dobbiamo far vedere che le macchine girano di qua e girano di là». In effetti ha soggiunto B., le macchine non erano «andate proprio da nessuna parte» e comunque egli non aveva mai visto il macchinario M. 1228 di cui alla fattura di vendita in atti.

Sulla scorta di tali obiettive emergenze processuali, non è, quindi censurabile sul piano logico la decisione del giudice di secondo grado di confermare quella del primo giudice secondo cui le fatture oggetto di imputazione afferenti le cessioni dei macchinari S. 350 e M. 1228 riguardavano operazioni oggettivamente inesistenti «rilevando in particolare la mancanza di prova dei relativi pagamenti, elemento circostanziale in alcun modo considerato nei motivi di appello».

Anche il tema della asserita inoffensività, per l’Erario, della condotta, è stato affrontato dalla Corte e risolto in modo corretto e convincente con il rilievo che «vertendosi in ipotesi di reati di pura condotta con evento di pericolo astratto, è del tutto irrilevante l’idoneità della condotta stessa a determinare tale danno. La consumazione del reato coincide con l’emissione della fattura falsa e con la presentazione della dichiarazione, nel caso che qui interessa, ai fini IVA, a prescindere dal conseguimento o meno di una effettiva evasione d’imposta».

Del resto, giova qui soggiungere, al fine di consentire a terzi la evasione, è irrilevante una effettiva successiva evasione da parte del terzo perché, per integrare la prova è sufficiente l’inserimento nella dichiarazione di un dato relativo ad operazione inesistente senza che rilevi che la detta dichiarazione sarebbe risultata comunque passiva. Nella specie affermata la inesistenza delle operazioni di cessione dei macchinari M. 1228 e S. 350 la Corte sottolinea che «le fatture che le documentano risultano regolarmente annotate nei registri contabili della società *********».

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.

 

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.

Redazione