Evasione contributiva e fiscale: la confisca per equivalente può colpire solo il patrimonio dell’imprenditore relativo alle imposte non pagate (Cass. pen. n. 5477/2013)

Redazione 01/02/13
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Svolgimento del processo

-1- Con ordinanza del 7 febbraio 2001, il Tribunale di Padova, adito ex art. 322 bis c.p.p., ha respinto la richiesta di revoca del sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso tribunale, ex art. 321 c.p.p., e art. 322 ter c.p., fino alla concorrenza di somme specificamente indicate, su beni di proprietà di ****, indagato dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali, di omesso versamento di contributi previdenziali relativi alle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, falso, truffa aggravata ai danni dello Stato.

Nel respingere le osservazioni difensive con le quali l’indagato aveva evidenziato, tra l’altro:

– che i reati concernenti il mancato versamento dei contributi non consentono la confisca per equivalente, così come i reati fiscali commessi prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria 2008, la truffa semplice e l’associazione a delinquere;

– che il reato di truffa aggravata, l’unico che consente l’adozione di tale misura, era assorbito nei reati fiscali di cui ai capi nn. 9, 11 e 13;

– che, comunque, il sequestro preventivo non era stato disposto ab origine per tale titolo di reato;

nel respingere tali osservazioni, dunque, ha rilevato, tra l’altro, il tribunale:

– che tra la truffa aggravata ai danni dello Stato ed i reati fiscali non vi è rapporto di specialità, nè la prima è assorbita dai secondi;

– che il reato di cui all’art. 640 bis, era stato posto a fondamento del vincolo reale;

– che il profitto derivante dalla truffa aggravata ai danni dello Stato era stato indicato corrispondente all’omessa acquisizione delle somme dovute ai fini previdenziali e fiscali; lo stesso poteva quindi compiutamente individuarsi sulla base delle somme indicate nei capi d’imputazione relativi al mancato versamento dei contributi ed ai reati fiscali non prescritti;

– che la sua entità era tale da giustificare ampiamente la disposizione ed il mantenimento del sequestro.

-2- Su ricorso proposto dallo Z., che ha essenzialmente riproposto le censure svolte nelle fasi di merito, la terza sezione di questa Corte, con sentenza del 12 ottobre 2011, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alla sussistenza del rapporto di specialità tra il reato di truffa ex art. 640 bis c.p., ed i reati di frode fiscale.

Nella loro ordinanza, i giudici di legittimità hanno, anzitutto, rilevato che la confisca per equivalente, di cui all’art. 322 ter c.p., comma 2, deve trovare applicazione con riferimento al reato tributario ipotizzato, secondo quanto previsto dalla legge finanziaria 2008 che ha esteso l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p., anche ai casi di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3,4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11. In tali casi, quindi, non essendo possibile la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, legittimamente è disposta la confisca dei beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto. Ciò alla luce dell’individuazione nella funzione di ripristino dell’ordine finanziario dello Stato, leso dall’illecito tributario, la ratio della estensione dell’istituto della confisca per equivalente anche a tali reati.

Tanto premesso, gli stessi giudici hanno osservato che il tribunale aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro sull’assunto che esso fosse finalizzato alla confisca per equivalente prevista per il delitto di truffa aggravata che ha ritenuto concorrente con quello di frode fiscale. Affermazione ritenuta non corretta, alla luce del principio affermato dalle SU di questa Corte, con sentenza del 28.10.2010 (rv 248865), secondo cui: “E’ configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 ed 8) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 c.p., comma 2, n. 1), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni”, (La Corte, richiamando il cosiddetto principio di assimilazione sancito dall’art. 325 del T.F.U.E., ha precisato che le predette fattispecie penali tributarie, repressive anche delle condotte di frode fiscale in materia di I.V.A., esauriscono la pretesa punitiva dello Stato e dell’Unione Europea perchè idonee a tutelare anche la componente comunitaria, atteso che la lesione degli interessi finanziari dell’U.E. si manifesta come lesiva, in via diretta ed indiretta, dei medesimi interessi).

Ritenuto, quindi, alla stregua del richiamato principio, l’assorbimento del delitto di truffa aggravata in quello di frode fiscale, non è possibile, secondo i giudici della terza sezione, con riferimento al primo reato, disporre il sequestro preventivo, viceversa possibile con riferimento al reato tributario ipotizzato.

Di qui l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del tribunale di Padova per nuovo esame diretto a verificare la sussistenza del “fumus” dei reati di frode fiscale (quelli relativi agli anni 2007 e 2008 privi di adeguata motivazione) e, in caso di verifica positiva, ad accertare se dalla condotta truffaldina sia enucleabile un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale.

-3- Il Tribunale di Padova, in sede di rinvio, con ordinanza del 24 gennaio 2012, in parziale accoglimento dell’appello, ha disposto la limitazione del decreto preventivo per equivalente fino alla concorrenza dell’importo di Euro 2.033.867 per le imposte dovute per l’anno 2007.

In particolare, il tribunale, da un lato, ha ritenuto ampiamente sussistente il “fumus commissi delicti” quanto ai reati fiscali di cui ai capi 9, 11 e 13 della rubrica; dall’altro, ha negato che dalla condotta truffaldina descritta al capo 16 della rubrica derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, sicchè i reati sopra indicati assorbono il delitto di truffa, da ciò conseguendo l’inapplicabilità della disciplina del sequestro per equivalente con riferimento al reato di cui al predetto capo 16.

Lo stesso tribunale ha inoltre osservato che, anche a voler ritenere esistente il dolo ulteriore del delitto di truffa rispetto ai reati di evasione fiscale, dovrebbe comunque prendersi atto del fatto che il decreto di sequestro è stato emesso, ai fini della determinazione del quantum da attingere, con riferimento esclusivo ai reati di violazione finanziaria, senza alcun riferimento agli ulteriori elementi di profitto e danno oggetto del delitto di tuffa.

E dunque, il sequestro per equivalente in relazione ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, ha conclusivamente sostenuto il tribunale, può trovare applicazione limitatamente ai reati descritti ai capi 9, 11 e 13, non anche in relazione al delitto di truffa di cui al capo 16, alla luce del principio affermato dalle SU con la richiamata sentenza e non potendo detto istituto trovare applicazione in relazione ai reati di evasione previdenziale D.L. n. 463 del 1983, ex art. 2, comma 1 bis, contestati ai capi 2, 4, 7, 10, 12, 14 della rubrica ed ai reati contestati ai capi 8 (L. n. 689 del 1981, art. 37) ed 1 (art. 416 c.p.), in mancanza di esplicita previsione legislativa.

-4- Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova, che deduce, con unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Sostiene il ricorrente che il tribunale ha erroneamente interpretato la sentenza delle SU di questa Corte, da esso richiamata, nel senso che il principio in detta occasione affermato, e cioè che “qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale “, non ha carattere assoluto, poichè ciò non avviene allorchè “dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni”. L’ulteriore profitto, cioè, può essere, secondo il ricorrente, oggetto di accertamento e, ove esistente, rendere non più configurabile il rapporto di specialità.

Nel caso di specie, l’indagato, omettendo il versamento dei contributi previdenziali e delle imposte, oltre ad avere indotto in errore i lavoratori, l’agenzia delle entrate e l’Inps, si è procurato l’ingiusto profitto dell’evasione previdenziale, oltre a quello di acquisire appalti battendo ogni concorrenza sul mercato.

In tali molteplici profili sarebbe, quindi, consistito il profitto ulteriore oggetto del reato di cui al capo 16, di guisa che vi sarebbe, nel caso di specie, concorso tra i reati di frode fiscale ed il reato di truffa aggravata, dunque sarebbe consentita la confisca obbligatoria per equivalente.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con la sentenza di annullamento del 12 ottobre 2011, la terza sezione di questa Corte, dopo avere richiamato il principio affermato dalle SU con la sentenza del 28.10.10, ha riconosciuto, in applicazione dello stesso, l’esistenza, nel caso di specie, di un rapporto di specialità tra i reati fiscali descritti in rubrica ed il delitto di truffa di cui all’art. 640 bis c.p., e l’assorbimento nei primi reati di quest’ultima fattispecie delittuosa, e quindi l’impossibilità di disporre, con riferimento alla stessa fattispecie, il sequestro preventivo, viceversa possibile con riferimento al reato tributario ipotizzato.

Tanto affermato, il giudice di legittimità, come già sopra rilevato, ha indicato al giudice del rinvio la necessità di verificare, ai fini dell’accertamento della legittimità del sequestro, la sussistenza del “fumus” dei reati di frode fiscale (quelli relativi agli anni 2007 e 2008 privi di adeguata motivazione) e, in caso di positiva verifica, di accertare se dalla condotta truffaldina contestata derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto a quello fiscale.

Orbene, il Tribunale di Padova, uniformandosi ai principi ed alle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, ha sostenuto, da un lato, la piena sussistenza del “fumus commissi delicti” con riferimento ai reati di cui ai capi 9, 11 e 13 della rubrica, dall’altro, ha sostenuto l’inesistenza, in conseguenza della condotta truffaldina ipotizzata, di profitti ulteriori e diversi rispetto all’evasione fiscale.

A tale ultima conclusione, oggetto del ricorso del PM, il tribunale è pervenuto dopo un’attenta analisi della vicenda e nel pieno rispetto dei principi di diritto affermati nella sentenza di annullamento.

In particolare, ha sostenuto il giudice del rinvio che la stessa formulazione del delitto di truffa, come articolato sub capo 16 della rubrica, sostanzialmente smentiva la tesi del ricorrente, laddove è stato contestato all’indagato di avere indotto in errore i lavoratori nonchè l’Agenzia delle entrate e l’Inps e di essersi procurato un ingiusto profitto consistente nell’avere omesso di versare la quota previdenziale e le imposte sulle somme effettivamente dovute, in tal guisa cagionando, oltre che ai lavoratori, all’Inps ed all’Erario un ingiusto danno, consistente nell’omessa acquisizione delle complessive somme dovute a fini previdenziali e fiscali. E dunque, proprio dall’ipotesi accusatoria nasce, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, la conferma dell’inesistenza di un dolo ulteriore del delitto contestato, rispetto ai reati di evasione fiscale, che possa impedire l’assorbimento del delitto di truffa nei reati relativi a violazioni fiscali.

Argomento che si presenta significativo ed in ordine al quale nulla osserva il PM ricorrente, così come nulla osserva in ordine alla considerazione, svolta dal tribunale, secondo cui, in ogni caso, il decreto di sequestro è stato emesso, con riguardo alla determinazione delle somme da apprendere, solo con riferimento ai reati di violazione finanziaria, senza alcun riferimento agli ulteriori elementi di profitto e danno oggetto del delitto di truffa descritto sub capo 16.

In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione