Estinzione del reato (Cass. pen., n. 48642/2012)

Redazione 14/12/12
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 11/07/2011 il Tribunale di Palmi, Sez. Dist. di Cinquefrondi, ha condannato C.P. alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38 e lo ha assolto dal delitto di cui all’art. 590 c.p.p. dichiarando inoltre non doversi procedere nei confronti della medesima per il reato di cui al D.Lgs. n. 547 del 1955, artt. 18 e 19 per estinzione a seguito di intervenuto pagamento D.Lgs. n. 758 del 1994, ex artt. 21 e 24.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata lamentando, con un primo motivo, la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 129 c.p.p., comma 2 e art. 546 c.p.p., comma 1: deduce che, pur avendo il giudice di primo grado assolto per insussistenza del fatto l’imputata dal delitto di cui all’art. 590 c.p. consistito, come da contestazione, nell’avere omesso, tra l’altro, di fornire il dipendente, poi infortunatosi cadendo da una scala nell’esercizio dell’attività di raccolta di olive, di scale munite di dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori dei due montanti e di ganci di trattenuta o appoggi antisdrucciolevoli nonchè di garantire la stabilità della scala alla sua base anche attraverso il trattenimento della stessa da parte di altra persona, aveva poi contraddittoriamente pronunciato l’estinzione per intervenuto pagamento di quelle stesse violazioni specificamente considerate dalla normativa speciale, omettendo pertanto di dare prevalenza alla evidente causa assolutoria rispetto a quella estintiva.

3. Con un secondo motivo si duole della pronuncia di condanna per il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38 deducendo violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova.

Lamenta in particolare che il Tribunale non abbia considerato il non corretto modus operandi del teste L. dell’Ispettorato del lavoro di Reggio Calabria, la cui deposizione è stata utilizzata a fondamento della pronuncia di condanna, non avendo in particolare egli mai chiesto informazioni al datore di lavoro e non essendosi mai recato in azienda al fine di verificare lo stato degli attrezzi da lavoro.

Motivi della decisione

4. Il primo motivo è solo parzialmente fondato. I profili colposi posti alla base del delitto di lesioni contestato all’imputata erano stati ravvisati, come da imputazione, in un generale addebito di colpa generica consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia, ed in tre profili di colpa specifica segnatamente ricondotti, il primo, alla non impartita formazione sull’uso delle scale prevista dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38, il secondo alla mancata messa a disposizione di scale munite di dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori dei due montanti e di ganci di trattenuta o appoggi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori prevista dal D.Lgs. n. 547 del 1955, art. 18 ed un terzo alla mancata garanzia di stabilità della scala alla sua base anche attraverso il trattenimento della stessa da parte di altra persona prevista dall’art. 19 D.Lgs. ult. cit.. Ciò posto, la sentenza impugnata ha ritenuto di assolvere l’imputata dal delitto ascrittole sulla base della considerazione che l’azienda agricola C. aveva in realtà, come emerso anzitutto dalle dichiarazioni della persona offesa, fornito ai propri dipendenti scale dotate di dispositivi antisdrucciolevoli alle estremità inferiori dei due montanti e di ganci di trattenuta alle estremità superiori e, dunque, in altre parole, essendo risultato provato che la violazione dell’art. 18 cit.

non era stata affatto integrata dell’imputata. Una tale conclusione, pertanto, comunque non sindacabile da questa Corte (pur non potendosi non notare che il profilo colposo consistente nella omessa garanzia di stabilità della scala alla sua base, anch’esso, come visto, concorrente ad integrare, in contestazione, l’elemento soggettivo del delitto di lesioni, non è stato in alcun modo toccato dal Tribunale nè al fine di escluderlo nè al fine di affermarlo), avrebbe dovuto, coerentemente, condurre il Tribunale a ritenere provata l’insussistenza della corrispondente contravvenzione addebitata all’imputata; ne deriva che, in proposito, ed in applicazione dei principi da ultimo affermati da questa Corte a Sezioni Unite (S.U., n. 35490 del 28/05/2009, **********, Rv.244275 secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2 soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento), l’assoluzione nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p. avrebbe dovuto necessariamente prevalere rispetto alla declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato. Diversamente, invece, deve concludersi con riferimento alla violazione dell’art. 19 cit. posto che, come già detto, la evidenza della sua insussistenza non emerge in alcun modo dalla sentenza impugnata nè lo stesso ricorrente ha offerto elementi in tal senso, sicchè sul punto il ricorso deve essere rigettato.

5. Il secondo motivo è invece inammissibile posto che con esso, senza che vengano sindacate le logicità e congruenza della motivazione, si deducono questioni attinenti in realtà alla valutazione della prova lamentandosi una pretesa incompletezza ed in accuratezza dell’accertamento svolto dall’Ispettore del lavoro L., poi sentito come teste nel corso del dibattimento.

6. La fondatezza parziale del primo motivo vale a rendere regolarmente instaurato il rapporto processuale cosicchè va preso atto che, con riferimento al reato per il residuo reato per il quale è stata pronunciata condanna, è ormai intervenuta in data 09/03/2012 (ovvero allo scadere della durata di legge di cinque anni, comprensiva di interruzione, oltre a mesi tre e giorni venti di sospensione dovuta a rinvio del processo per adesione del Difensore all’astensione dalle udienze), la prescrizione dello stesso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 18, perchè il fatto non sussiste e quanto al reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38, perchè estinto per prescrizione. Rigetta nel resto.

Redazione