Esproprio – Realizzazione opera pubblica – Decreto di esproprio – Mancanza – Acquisizione sanante (Cons. Stato n. 1514/2012)

Redazione 16/03/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

I sig.ri C.A. e B.E. sono proprietari, per un mezzo indiviso, del mappale 7 del foglio 34 del N.C.T. di Rovato e, rispettivamente, per una quota di 5/12 e di 7/12 del mappale 8 del medesimo foglio.

 

Tali fondi hanno formato oggetto (il mappale n. 7 per 1410 mq e il mappale 8 per 2040 mq) di una procedura espropriativa iniziata dall’ANAS per la realizzazione di un tratto della nuova strada statale 11 – Padana Superiore, sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità intervenuta il 7 maggio 1991. In conseguenza di ciò le aree sono state occupate e trasformate ed i lavori ultimati il 28 aprile 1995.

 

Il decreto di esproprio invece non è mai stato adottato né sono mai intervenute proroghe dell’occupazione d’urgenza e della dichiarazione di pubblica utilità.

 

Nell’ambito della vicenda espropriativa, i proprietari hanno ricevuto a titolo di indennità la complessiva somma di L.. 31.829.650, pari ad Euro 16.438,64.

 

Con ricorso proposto dinanzi al TAR Lombardia, sez. di Brescia, sig.ri C.A. e B.E. hanno pertanto chiesto: a) il risarcimento per equivalente del danno subito per la occupazione illegittima, la trasformazione a strada e la perdita della proprietà del fondo agricolo sito in Comune di Rovato e più precisamente dei mappali 7 e 8 del foglio n. 34 del N.C.T., per una superficie complessiva di mq 3450 ed un controvalore di Euro.51.750,00 (ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia per la perdita della proprietà), nonché per un importo pari ad Euro. 4.312,50 all’anno per l’occupazione illegittima protrattasi dall’11 aprile 1996 alla data del presente ricorso. Tutto ciò oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria sino al saldo effettivo; b) in subordine, la condanna dell’A.N.A.S. s.p.a. e della Provincia che attualmente la detiene, alla restituzione dei fondi, previa loro rimessione in pristino stato, oltre ad un importo pari a Euro. 4312,50 all’anno per l’occupazione illegittima protrattasi dall’11 aprile 1996 alla data del proposto ricorso. Il tutto previo, se ritenuto necessario, ordine imposto all’Amministrazione di adozione del provvedimento ex art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, ai fini dell’acquisizione della porzione trasformata e di quella interclusa.

 

La Provincia, ritualmente costituitasi, ha evidenziato – nella sua (sopravvenuta) qualità di Ente titolare delle competenze trasferite sul tratto di strada in questione – l’impossibilità di adottare un provvedimento ex art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2010, medio tempore dichiarato incostituzionale con sentenza Corte Costituzionale n. 293/2010 dell’8 ottobre 2010, nonché la conseguente carenza di legittimazione passiva in ordine alle domande di risarcimento per equivalente, da porre esclusivamente a carico dell’A.N.A.S. risultata inadempiente nell’esercizio del proprio potere ablatorio.

 

L’A.N.A.S., invece, ha dapprima eccepito l’intervenuta prescrizione del danno in forza di una presunta occupazione ad effetto acquisitivo perfezionatasi già nel 1996, e comunque dedotto l’inammissibilità della pretesa sulla base di un verbale di cessione volontaria -prodotto nell’imminenza dell’udienza di discussione e contestato dai ricorrente a motivo della sua tardività – e della successiva accettazione del pagamento della somma di L. 41.533.000 (di cui 36.468.000 per la proprietà e 5.065.000 per l’occupazione): pagamento che sarebbe avvenuto in due diversi momenti e cioè il 22 dicembre 1994 per quanto riguarda l’acconto (13.042.400 B.E. e 9.316.000 C.A.) e il 20 giugno 2001 (7.724.100 e 11.450.500, rispettivamente) per quanto attiene al saldo.

 

Il Tribunale, pur considerando tardiva la citata produzione, ne ha consentito l’acquisizione al processo, ravvisando, nella specie, la sussistenza di un errore scusabile. Nel merito, ritenuto che il documento in questione rappresentasse la mera sottoscrizione dell’accordo di cessione volontaria e non anche dell’atto di cessione volontaria, costituente titolo per il trasferimento della proprietà in capo allo Stato per il tramite dell’ANAS, ha attribuito allo stesso una valenza transattiva in ordine alla volontà di rinunciare alla proprietà a fronte delle somme ivi indicate, con conseguente estinzione di qualsivoglia obbligazione risarcitoria.

 

Secondo l’appellante la sentenza è erronea poiché: 1) la documentazione è stata depositata dall’amministrazione in data 18 ottobre 2010. Essendo l’udienza pubblica fissata al 25 novembre 2010 non sarebbe stato rispettato il termine di 40 gg. previsto dall’art. 73 del codice del processo, entrato in vigore il 16 settembre 2010. Nessuna incertezza poteva esser tale da giustificare una rimessione in termini, ed in ogni caso, alla stessa avrebbe comunque dovuto seguire la fissazione di una nuova udienza con concessione di termine per repliche al ricorrente; 2) il verbale sul quale il giudice di prime cure ha fondato la decisione sarebbe un modulo prestampato, con il quale le parti si accordano sull’indennità e si impegnano alla futura cessione, nel quale non compare alcuna rinuncia né riferimento a reciproche concessioni, ragion per cui esso andrebbe interpretato alla luce di criteri oggettivi e comunque, nel dubbio, contro la volontà dell’amministrazione che l’ha predisposto.

 

L’ANAS, costituitasi nel giudizio di appello, propone innanzitutto appello incidentale in relazione alle statuizioni sulla tardività del deposito, in proposito sostenendo che siccome il decreto di fissazione dell’udienza è stato comunicato prima dell’entrata in vigore del codice, il termine per il deposito avrebbe dovuto considerarsi pendente, con conseguente applicazione del vecchio termine di 20 gg. in forza della disciplina transitoria di cui all’art. 2 dell’all. 3 al codice. Appello incidentale è inoltre proposto in relazione alle affermazioni del giudice di prime cure circa l’insussistenza di un effetto traslativo, rinvenendosi invece, nella fattispecie – secondo l’avvocatura – tutti gli elementi di un valido atto di cessione volontaria della proprietà.

 

Secondo gli appellanti principali, quest’ultimo, dietro le forme di un appello incidentale, celerebbe un’eccezione mai formulata prima. L’effetto traslativo andrebbe comunque escluso trattandosi di un atto endoprocedimentale destinato a perdere efficacia in assenza di una successiva cessione volontaria o di un decreto di esproprio.

 

Andrebbe altresì respinto l’appello incidentale a mezzo del quale, la Provincia, anch’essa costituitasi nel giudizio di appello, censura il capo della sentenza che riconosce la legittimazione passiva dell’Ente: anche qualora la Provincia non dovesse essere ritenuta proprietaria del tratto di strada costruito – così come dalla stessa sostenuto – la mera disponibilità sarebbe comunque titolo sufficiente a giustificare una sua chiamata in giudizio.

 

L’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 14 febbraio 2012.

 

1. Deve in primis esaminarsi la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla ritualità e tempestività del deposito documentale su cui è fondata la decisione, questione oggetto sia dell’appello principale che di quello incidentale dell’ANAS.

 

Trattasi di questioni sorte in relazione ai termini di deposito dei documenti. Le due tesi divergono in ordine alla valenza da assegnare in generale al concetto di pendenza di qui termini che – come quello in discussione – si computano a ritroso a partire da un evento processuale. Secondo la prima tesi, il concetto di pendenza dovrebbe essere ancorato al decreto di fissazione dell’udienza (dies a quo) in guisa che se la comunicazione è anteriore al 16 settembre il termine sarebbe da considerare pendente; per la seconda invece la pendenza dovrebbe prendere a riferimento la data di udienza ed in particolare i 60 giorni liberi previsti per la relativa comunicazione alle parti (periodo minimo nell’ambito del quale si situa il termine per le produzioni) con la conseguenza che solo per le udienze celebrate dopo i 60 gg. dall’entrata in vigore del codice troverebbero applicazioni le nuove disposizioni (tale indirizzo interpretativo, prendendo in considerazione il periodo minimo di legge e non quello effettivo, ha il pregio di non far dipendere dalle segreterie e dai tempi impiegati nelle comunicazioni, l’applicazione o meno delle norme del codice).

 

Nel caso di specie, essendo stata l’udienza di discussione fissata al 25 novembre 2010 ed il relativo decreto comunicato il 21 agosto 2010, accogliendo la prima tesi, la produzione avrebbe dovuto considerarsi tempestiva e, viceversa, applicando la seconda, tardiva. Il TAR è giunto a tale ultima conclusione, salvo poi considerare scusabile l’errore, riconoscendo la sussistenza di un’oggettiva difficoltà avuto anche riguardo alla novità delle questioni.

 

L’appello principale ha specificatamente ad oggetto la ravvisabilità in concreto di un errore scusabile, l’appello incidentale ha invece ad oggetto, più in radice, la contestata sussistenza della tardività alla luce della normativa previgente, ritenuta ancora applicabile in forza delle norme transitorie del codice.

 

L’indagine può limitarsi al fondamento dell’appello principale poiché non v’è dubbio che nell’immediatezza dell’entrata in vigore del nuovo codice ed al cospetto di una normativa transitoria non immediatamente intelligibile se riferita ai termini da computarsi a ritroso, la scusabilità dell’eventuale errore è valutazione del tutto condivisibile. Il rigetto dell’appello su questo capo della decisione fa venire meno l’interesse ad una pronuncia sull’appello incidentale.

 

2. Nel merito l’appello principale è fondato.

 

2.1. La Sezione ha già avuto modo di chiarire che l’accordo amichevole sull’ammontare dell’indennità di esproprio non comporta la cessione volontaria del bene, ma è semmai un accordo preliminare finalizzato alla stipula del negozio di cessione destinato a perdere di efficacia se, nel termine di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, non intervenga la cessione o comunque un valido decreto di esproprio (Cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 18/06/2009, n. 4022). Le maggiorazioni dell’indennità, eventualmente concordate nel relativo verbale, non costituiscono l’effetto di un accordo transattivo a mezzo delle quali le parti prevengono la lite facendosi reciproche concessioni, ma somme direttamente previste dalla legge per il caso in cui l’espropriando condivida le determinazioni estimatorie fatte dall’amministrazione nell’ambito di un procedimento espropriativo che, fisiologicamente e legittimamente, si concluda nei termini di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità con la cessione volontaria o con un decreto di esproprio. Ove, tuttavia, il procedimento non si concluda, per causa imputabile all’amministrazione, e ciò nonostante l’occupazione continui e le opere siano realizzate, si è dinanzi ad un cattivo esercizio del potere, generativo di un illecito e di conseguenti obbligazioni risarcitorie in capo all’amministrazione. E’ infatti evidente che l’accettazione ed il pagamento dell’indennità di esproprio, ha efficacia dirimente sino a quando possa dibattersi di indennità e di esproprio, ma non anche quando la patologica evoluzione del procedimento espropriativo conduca alla decadenza dal potere ablatorio ed alla produzione di danni civili.

 

2.2. La tesi degli immediati effetti traslativi – perorata dall’Avvocatura Generale a mezzo di appello incidentale – contrasta sia con il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi, finendo per assegnare ad un comportamento strumentale e preparatorio effetti che la legge fa discendere unicamente dalla cessione volontaria o dal decreto di esproprio, sia con il principio dell’intangibilità dell’autonomia negoziale delle parti, prefigurando effetti reali laddove esse hanno inteso assumere impegni meramente obbligatori.

 

3. La domanda risarcitoria formulata dagli appellanti merita dunque accoglimento con le precisazioni che seguono.

 

3.1. Gli appellanti domandano in via principale il risarcimento, per equivalente, del danno conseguente alla sottrazione della proprietà e, in subordine, la restituzione delle aree. Entrambe la amministrazioni, con difese variamente argomentate, si oppongono alla restituzione deducendo la compiuta realizzazione delle opere pubbliche progettate.

 

La Sezione ha già più volte chiarito che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà, in altri comportamenti, fatti o contegni (Cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833, sez. IV 28/01/2011 n. 676).

 

Nonostante l’irreversibile modificazione delle aree illecitamente occupate, la proprietà delle stesse rimane, quindi, in capo agli originari titolari e non può esservi luogo per risarcimenti connessi alla “perdita” della proprietà, trattandosi di evento non realizzatosi e non realizzabile, salvo quanto di seguito si dirà. Con riferimento al caso di specie, sussisterebbero pertanto tutti i presupposti civilistici per ordinarne la restituzione in favore dei legittimi proprietari, previa riduzione nel pristino stato.

 

3.2. Ciò chiarito il Collegio deve tuttavia interrogarsi sulla valenza e gli effetti del nuovo art. 42 bis TU espropri.

 

Vengono segnatamente in rilievo le vicende normative che hanno interessato il TU espropri ed in particolare il suo originario art. 43, oggetto prima di una dichiarazione di illegittimità costituzionale e poi di un riformulazione normativa che ha trovato il suo alveo nel nuovo art. 42 bis, dichiaratamente applicabile ai giudizi pendenti qual’è quello in valutazione.

 

“All’autorità amministrativa che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità” – recita la norma – “è attribuito il potere di disporre, valutato gli interessi in conflitto, che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”.

 

L’art. 42 bis, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla P.A. non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario art. 43, che attribuiva all’amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria, ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione.

 

L’eliminazione della descritta facoltà inibisce, sul piano processuale, l’emersione dell’ interesse pubblico all’acquisizione dell’immobile, sia pur in sanatoria, dovendosi del resto escludersi che l’interesse, pur dedotto ed argomentato dalla difesa dell’amministrazione nelle proprie memorie, costituisca o possa costituire (venuta meno la peculiare norma di cui al 43 comma 2) oggetto e frutto di quella ponderata valutazione degli “interessi in conflitto” che il legislatore demanda esclusivamente all’amministrazione nell’ambito della naturale sede procedimentale.

 

Ciò nonostante il potere discrezionale dell’amministrazione di disporre l’acquisizione sanante è conservato: l’art. 42 bis infatti regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti citati, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira”.

 

Non regola più invece, come innanzi accennato, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell’amministrazione, sicchè ove il giudice, in applicazione dei principi generali condannasse l’amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore.

 

I principi derivanti dall’interpretazione sistematica delle norme citate e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett.c. c.p.a., impongono allora una limitazione della condanna all’obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis, salvi gli effetti vincolanti degli accertamenti compiuti nella sede giudiziaria in cui esiti sono irretrattabili.

 

3.3. In conclusione, nel caso di specie, può ritenersi accertata l’assenza di un valido titolo di esproprio, la modifica del bene immobile e la sua utilizzazione (elementi non contestati). Rimane invece impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto, a seguito della quale, l’ANAS S.p.a., ove ritenga di non restituire gli immobili ai legittimi proprietari previo riduzione nel pristino stato, potrà in via alternativa disporre l’acquisizione del bene. Qualora essa decida per l’acquisizione, dovrà contestualmente liquidare in favore degli appellanti il valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale arrecato, nonchè il 5% del valore che l’immobile aveva in ogni anno successivo alla scadere della dichiarazione di pubblica utilità (11 aprile 1996) a titolo di occupazione sine titulo, detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a titolo di indennità, subordinando, come per legge, l’effetto traslativo all’effettivo pagamento delle somme. Tale ultima posta risarcitoria dovrà essere corrisposta anche nel caso in cui l’amministrazione dovesse optare per la restituzione. In quest’ultimo caso, ove le somme già ricevute dagli appellanti si rivelassero superiori al danno da occupazione, esse dovranno essere restituite per l’eccedenza.

 

3.4. Ai sensi dell’art. 34 lett. c) del c.p.a. è opportuno disporre che il provvedimento, qualunque sia il suo dispositivo, venga emanato entro giorni 60 dalla comunicazione o notificazione della presente decisione; tempestivamente notificato ai proprietari e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente, nonchè comunicato alla Corte dei Conti.

 

L’obbligazione risarcitoria grava unicamente su A.N.A.S. S.p.a. – amministrazione che ha posto in essere l’illecito – e non sulla Provincia di Brescia, alla quale l’opera è stata successivamente consegnata, che correttamente è stata chiamata in giudizio quale legittimo contraddittore per l’ipotesi di condanna alla restituzione.

 

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, salvo quelle affrontate dalla Provincia di Brescia che appare equo compensare.

 

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, ordina all’amministrazione di provvedere ai sensi dell’art. 42 bis del Testo Unico Espropri e con le modalità in premessa indicate, entro e non oltre 60 dalla comunicazione o notificazione della presente decisione.

 

Condanna l’ANAS al pagamento in favore degli appellanti al pagamento delle spese del grado che liquida in complessivi Euro. 4.000,00 oltre oneri di legge. Le compensa in relazione alla Provincia di Brescia.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione