Esercizio abusivo della professione: responsabilità penale anche per il proprietario dell’immobile adibito a studio anche se parente (Cass. pen. 4310/2013)

Redazione 29/01/13
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RILEVATO IN FATTO E DIRITTO

Con sentenza in data 10.11.2011 la Corte di Appello di Torino,in riforma della sentenza emessa dal Tribunale del luogo,in data 26.5.2010, nei confronti di Q. F. e ***** dichiarati responsabili dei reati rispettivamente ascritti in epigrafe,riduceva la pena,previa unificazione dei capi A- e B-, ex artt. 110-81 cpv.- per il Q.- (nei cui confronti era stato qualificato il reato sub D-ai sensi degli artt. 476-482 CP)- determinandola in mesi nove di reclusione, e confermava nel resto le disposizioni di primo grado(essendo la A. ritenuta responsabile del reato di cui agli artt. 110-81 cpv-348 CP in rel. al R.D. 31.5.1928, n. 1334 ed alla l. 24.7.1985, n. 409- e condannata dal primo giudice alla pena di € 200,00 di multa, con la non menzione).
Al predetto Q. si era addebitato di avere esercitato la professione di odontoiatra, senza aver conseguito la laurea in medicina e la specializzazione, mentre la A. risultava essere la proprietaria dell’immobile adibito a studio,ritenuta consapevole della situazione.
Al predetto Q. si era stata attribuita altresì l’attività di falsificazione dei titoli professionali indicati al capo C- della rubrica(fatti acc. in data 28.5.2010)-
Avverso la menzionata sentenza proponeva ricorso il difensore dei due imputati, deducendo:
1-violazione di cui all’art. 606 lett, B-E-CPP per la mancata assoluzione del Q., per non aver commesso il fatto.
Sul punto rilevava che presso lo studio di cui in rubrica l’imputato si era limitato a svolgere attività compatibili con la funzione di odontotecnico,e che doveva ritenersi illogica la sentenza di appello, ove si era recepita la motivazione del giudice di primo grado, senza specificare meglio le ragioni della decisione.
Peraltro la difesa evidenziava che in tale studio non erano stati trovati strumenti necessari all’esercizio della attività sanitaria di odontoiatria.
Inoltre censurava la sentenza affermando che non si era tenuto conto delle giustificazioni addotte dall’imputato (il quale aveva affermato di aver acquistato le apparecchiature al fine di installare le predette nell’appartamento della propria moglie-  A.- allo scopo di dare in locazione lo studio ad un medico dentista di Cuneo, che nel 2005 si era interessato alla apertura dello studio di Torino.
In merito a tali elementi la difesa deduceva anche la illogicità della motivazione.
2-erronea applicazione della legge penale, in relazione ai reati di falso di cui ai capi C-D-(per la falsificazione della certificazione di iscrizione all’albo professionale,e contraffazione della laurea in odontoiatria)-
A riguardo il difensore rilevava carenza di prove, essendo stati trovati i predetti documenti semplicemente appoggiati su di un mobile, desumendo da tale circostanza la inidoneità degli stessi a trarre in inganno i terzi.
3-Infine la difesa censurava la mancata assoluzione della imputata A., evidenziando che si era attribuita erroneamente la responsabilità alla predetta, il cui nominativo figurava indicato sul citofono esterno all’immobi1e,e d’altra parte rilevava che non si era tenuto conto delle giustificazioni addotte dal Q., in relazione alle attività che egli svolgeva.
Per tali motivi si chiedeva dunque l’annullamento della sentenza impugnata.
Va rilevata l’inammissibilità del ricorso per entrambi gli imputati.
Invero la difesa ha formulato nell’interesse del Q. censure meramente ripetitive delle questioni prospettate in sede di appello, con argomentazioni strettamente riferite al fatto, e senza individuare i punti della decisione che si ritenevano viziati da carenza o manifesta illogicità della motivazione su punti essenziali ai fini dell’accertamento dei reati ascritti all’imputato-
La sentenza impugnata si caratterizza per l’adeguatezza della motivazione, dal momento che, dopo aver dato conto delle censure difensive e delle tesi prospettata dall’imputato, il giudice di appello rende specifiche argomentazioni, del tutto coerenti con le risultanze processuali, circa la ascrivibilità al predetto dell’attività che si svolgeva nell’immobi1e adibito a studio odontoiatrico, e sulla responsabilità del medesimo in relazione ai falsi attestati, rilevando che tale responsabilità sussiste anche a titolo di concorso morale nella contraffazione, a carico dell’imputato nella qualità di diretto interessato, restando ininfluenti le deduzioni difensive relative alla effettiva utilizzazione dei documenti.
Tali argomentazioni si rivelano dunque pienamente adeguate ai fini della trattazione del gravame.
Quanto alle deduzioni del ricorrente relative alla posizione della A. deve ugualmente ritenersi la ripetitività del motivo di impugnazione laddove la sentenza appare congruamente motivata in merito alla affermazione di responsabilità della imputata intestataria dell’immobile adibito a studio –
In conclusione la Corte, tenuto conto della ripetitività e genericità dei rilievi articolati dalla difesa dei ricorrenti, deve dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi condannando ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Vanno inoltre condannati i predetti alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita Parte civile, che si liquidano in complessivi € 2.000,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento della somma di € 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione, in solido, delle spese del grado in favore della Parte Civile, liquidate in € 2.000,00 oltre accessori di legge.
Roma, 17 ottobre 2012.

Redazione