Esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse (Cass. n. 41773/2013)

Redazione 10/10/13
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza del 28 ottobre 2011, il Tribunale di Trento dichiarava **** , imputato del reato di cui all’art. 4 della L. 401/89, colpevole del detto reato, condannandolo alla pena di Euro 220,00 di ammenda.
1.2 Per l’annullamento della sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo, con un primo, articolato motivo: a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 4 della L. 401/89 in correlazione con l’art. 88 T.U.L.P.S.); b) erronea e falsa applicazione del D.M. 156/01 e dell’art. 24 commi 11 e 26 della L. 88/09 e) erronea e falsa applicazione dell’art. 2 commi 2 bis e 2 ter del D.L. 25.3.2010 n. 40 come convertito nella L. 73/10 ed, infine, della direttiva n. 34/98; d) violazione dell’art. 27 Cost.; e) carenza e contraddittorietà della motivazione nonché sua manifesta illogicità. Con un secondo motivo la difesa denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 della Costituzione in relazione agli artt. 3, 4 e 25 del D. L.vo 259/03 (c.d. “Codice delle Comunicazioni”).
1.3 Il difensore, dopo aver sommariamente ricostruito i tratti salienti della vicenda, ricordando che lo J. era titolare di licenza di P.S., per l’esercizio di un “internet point” e di altra licenza ex art. 88 T.U.L.P.S. per la gestione di sistemi di gioco Video Lottery Terminal con installazione nel proprio locale di apparecchiature elettroniche automatiche per giochi (slot-machine), evidenziava che aveva stipulato con la società “REPLATZ”, con sede legale nel Comune di (omissis), un contratto commerciale per la promozione di giochi pubblici a distanza, spiegandone il meccanismo di funzionamento. Tanto precisato, il ricorrente evidenzia che mentre l’organizzazione delle scommesse era di competenza esclusiva della società di scommesse (la REPLATZ), egli svolgeva un mero ruolo di promoter. Censura, quindi, come erronea la decisione del Tribunale di considerare il ricorrente privo della apposita concessione per l’esercizio di scommesse on line che in realtà era di esclusiva spettanza della società di scommesse, come in effetti avvenuto. Censura, sotto altro profilo, la decisione impugnata, rilevando che l’avere consentito che le attrezzature tecniche in dotazione al locale potessero connettersi automaticamente al sito della società di scommesse non integra – come invece sostenuto dal Tribunale – il reato di cui all’art. 4 della L. 401/89, dal momento che nessuna attività di intermediazione era stata svolta e che, in ogni caso, non aveva alcuna rilevanza penale il mancato possesso della licenza ex art. 88 T.U.L.P.S. per lo svolgimento di tale attività. A conforto della propria tesi indica una serie di riferimenti normativi non tenuti in debito conto, e/o erroneamente interpretati dal Tribunale, citando anche giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, a sostegno della propria tesi. Inoltre rileva che in quanto non notificate alla Commissione Europea, le norme incriminatrici interne avrebbero dovuto essere disapplicate dal giudice nazionale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini e limiti che seguono.
1.1 In sintesi e con ciò anticipando il nucleo centrale della motivazione, nel caso in esame difetta l’elemento soggettivo – sia pure sotto il profilo della semplice colpa, versandosi in tema di contravvenzione – in capo al soggetto agente.
1.2 È pacifico, per averlo, oltretutto, riconosciuto lo stesso Tribunale, che lo J. era titolare, oltre che di Internet Point, anche di licenza di P.S. ex art. 88 T.U.L.P.S. per la gestione della videolottery. È innegabile, però, che tale attività – circoscritta nell’oggetto e di limitata estensione quanto al tipo di giochi – non era idonea a consentire allo J. lo svolgimento di attività di intermediazione per l’esercizio di scommesse on line attraverso la società di scommesse REPLATZ s.r.l. della quale esso J. era un terminale in forza del contratto commerciale stipulato con tale società.
1.3 Da quanto esposto nel ricorso, ed enunciato nella sentenza impugnata, è altrettanto incontestato che nel centro “Internet Point” gestito dall’imputato (per come dalla stessa difesa ammesso) si trovavano attrezzature (PC) e linee telematiche che lo J. forniva ai clienti per consentire loro di effettuare eventuali giocate on line (pag. 18 del ricorso). Così come è incontestato che lo J. fosse sprovvisto di licenza di P.S. e di concessione ministeriale per effettuare tale tipo di giocate.
2. La giurisprudenza di questa Sezione, dopo aver inizialmente sostenuto la tesi della non configurabilità del reato laddove il titolare di un centro di postazione internet si limiti a fornire il solo supporto tecnico per l’inoltro dei dati dallo scommettitore al concessionario, affermando che con tale condotta il gestore del centro rimane estraneo al rapporto di scommessa (così Sez. 3^ 5.5.2009 n. 26912, Gigante, Rv. 244240; idem 10.11.2009 n. 49932, **********, Rv. 247511) ha, di recente, modificato tale orientamento, affermando il diverso principio secondo il quale il soggetto che, pur non gestendo direttamente l’attività di scommesse, svolga una attività collaborativa, per esempio, fornendo indicazioni sulle quote o sui moduli necessari per trasmettere le scommesse on line (in termini Sez. 3A 8.4.2010 n. 20375, ***********, Rv. 247542) ovvero favorisca in qualunque modo, anche attraverso la fornitura di linee telematiche ovvero attraverso altre modalità, sia la attività di accettazione che la attività di raccolta delle scommesse (in termini Sez. 3^ 20.6.2012 n. 35470, ********, Rv. 253388; idem 6.10.2011 n. 42077, P.M. in proc. ********, Rv. 251311), risponde del reato di cui all’art. 4 della L. 401/89.
3. Si è, in particolare, precisato che colui il quale è preposto alla raccolta delle scommesse per terzi anche per via telematica e risulti sprovvisto della licenza di P.S. ex art. 88 T.U.L.P.S., opera di fatto da intermediario, perché mette a disposizione il proprio conto scommesse mediante accesso ad internet, così incorrendo nella violazione dell’art. 4 della L. 401/89.
3.1 Tale norma recita infatti che “Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettati in Italia o all’estero”.
3.2 Il tenore della norma e la sua ampiezza di contenuti fa sì che l’espressione “favorire” contenuta nella seconda parte dell’articolo in esame debba interpretarsi in senso estensivo globale, come attività anche di messa a disposizione a terzi scommettitori di strutture o apparecchiature o strumenti di supporto tecnico. Viene così superato quell’orientamento che escludeva il reato laddove il gestore, disinteressandosi del gioco praticato dal singolo scommettitore si fosse limitato a fornire attrezzature tecnico-informatiche.
3.3 La ragione di tale revirement la si rinviene nella lettura coordinata dell’art. 4 citato con i decreti ministeriali e le relative direttive emanate in materia.
4. Invero, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il D.M. Ministero Economia e Finanze n. 156 del 15 febbraio 2001, avente per oggetto la raccolta telefonica o telematica della giocate relative a scommesse, giochi e concorsi pronostici, richiede l’esistenza di un rapporto diretto tra il concessionario e lo scommettitore. Ancora, il decreto direttoriale dell’AAMS del 31 maggio 2002 (disciplinante l’accettazione telefonica e telematica delle scommesse sportive), nel momento in cui prevede che il cliente possa attivare un conto scommesse personale presso il concessionario, richiede che tale conto sia da questi utilizzato a titolo personale e non diventi, invece, oggetto di transazioni da parte di soggetti diversi. Ne discende che laddove l’attività del gestore del centro inetrnet assuma la forma descritta, in assenza o della concessione, o dell’autorizzazione o della licenza di PS, si verserà nella ipotesi contravvenzionale delineata dall’art. 4 della L. n. 401/89 del 1989, art. 4, anche quando l’agente si sia limitato ad operare mediante comunicazioni telematiche, avendo egli ottenuto per l’uso di tali mezzi l’apposita autorizzazione prescritta dal comma 4 ter della norma citata nel rispetto del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 3, 4 e 25 (codice delle comunicazioni) (Sez. 3^ 10.11.2009 n. 5914, ********, Rv. 246002).
5. Va, quindi, disattesa – in quanto infondata e non in linea con l’orientamento di questa Corte – la tesi difensiva secondo la quale lo J. , in quanto mero terminale della società di scommesse, non svolgeva alcuna attività di intermediazione, necessaria, invece, laddove il soggetto terminale corrispondente con la società di scommesse metta a disposizione dei vari giocatori-scommettitori le strutture in dotazione al proprio locale. È corretta, in questo senso, la motivazione del primo giudice secondo la quale, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2 del D.L. 40/10 convertito nella legge 73/10, il gioco con vincita in denaro può essere raccolto solo da soggetti che siano titolari di una valida concessione da rilasciarsi da parte del competente Ministero (Economia e Finanze – AAMS) e soltanto nelle apposte sedi a ciò deputate, con esclusione di sedi diverse e sempre nel rispetto delle modalità previste dalla convenzione per la concessione. Così come è corretta, sulla base dei riferimenti normativi menzionati dal Tribunale a pag. 3 della sentenza impugnata (artt. Art. 2 comma 2 bis, art. 2 ter e art. 2 quater del menzionato D.L. 40/10, la motivazione del Tribunale in virtù della quale per le licenze di P.S. rilasciate in epoca antecedente alla normativa de qua, questa in tanto poteva valere in quanto seguita (o integrata) dal rilascio della concessione ministeriale e che non era possibile operare in sedi distaccate del concessionario difettando poi, in concreto sia la concessione che l’autorizzazione di Polizia (seppure rilasciata per attività diversa).
6. Peraltro nella ricostruzione in fatto operata dal Tribunale si afferma (circostanza non negata dalla difesa del ricorrente) che nel locale adibito ad Internet Point erano installate apparecchiature (PC) destinate alla gestione delle scommesse on line da parte dei singoli giocatori.
7. Corrette, ancora, le argomentazioni svolte dal Tribunale in merito alla ratio della modifica normativa che, rispetto al quadro normativo preesistente (costituito dall’art. 11 quinquesdecies, comma 11 del D. L. 203/05), rappresenta un irrigidimento del sistema di gestione delle scommesse a distanza per ragioni di politica criminale desumibili anche dai lavori parlamentari oltre che dal dato normativo testuale.
8. Anche il denunciato contrasto della normativa interna con quella comunitaria per via della mancata notifica alla Commissione Europea, con conseguente necessità per il giudice interno di disapplicare la normativa nazionale, è mal posta e, di conseguenza, non condivisibile.
9. La difesa ha insistito sull’asserito contrasto tra la legge penale italiana e la normativa comunitaria, con riguardo alle disposizioni del trattato CE relative alla libera circolazione dei servizi nell’ambito dell’Unione Europea.
9.1 A ben vedere la questione avrebbe avuto una sua specifica ragion d’essere se prospettata con riguardo a società priva di concessione perché non messa nelle condizioni di partecipare alla gara, e non di certo laddove la società esercente le scommesse sia munita di concessione (come nella fattispecie in esame).
9.2 Ne consegue che, essendo diversa la fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, il denunciato contrasto con la normativa comunitaria va riguardato, nel presente giudizio, in una prospettiva più limitata, ossia all’interno di un regime concessorio già instaurato.
9.3 Valgono per brevità i richiami alla giurisprudenza sia comunitaria che interna contenuti nella sentenza di questa Sezione 10.11.2009 n. 5914, ********, Rv. 246002, sinteticamente ricordandosi: a) che in linea di principio non contrasta con la libertà di stabilimento una normativa interna che conformi l’attività di raccolta della scommesse secondo una disciplina di controllo (regime concessorio o autorizzatorio – vds. Corte giustizia CE, 21 ottobre 1999, c. 67/98, *******); b) che l’art. 49 CE non è di ostacolo alla esistenza di una norma di uno Stato membro che vieti ad operatori stabiliti in altri Stati membri in cui forniscono legittimamente servizi analoghi, di offrire giochi d’azzardo tramite Internet sul territorio del detto Stato membro; c) che occorre verificare come la disciplina nazionale si atteggi in concreto e se esistano eventuali ostacoli normativi che si frappongano all’esercizio della libertà di stabilimento in correlazione con la riconosciuta legittimità per lo Stato membro di prevedere regole di controllo a fine di protezione sociale – vds. Corte giustizia CE, 6 novembre 2003, c. 243/01, ******** che ha affermato il principio del bilanciamento tra la libertà di esercizio ed il dovere di controllo da parte dello Stato al fine di garantire la sicurezza sociale).
10. Da qui l’affermazione – contenuta nella menzionata sentenza 5914/09 – secondo la quale nel caso in cui sia previsto (come accade per l’ordinamento interno italiano) come illecito penalmente rilevante l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale, “occorre che il giudice nazionale verifichi se chi tale attività abbia svolto non abbia potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro”. E la giurisprudenza di legittimità si è sostanzialmente allineata alla giurisprudenza comunitaria (per tutte SS.UU. 31 marzo 2004 n. 23271, Corsi, Rv. 227726), avendo affermato che i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi non sono incompatibili, in via di principio, con disposizioni nazionali che perseguano la finalità di canalizzare la domanda e offerta del gioco in circuiti controllabili, con il conseguente obiettivo di prevenire la possibile degenerazione criminale degli stessi.
11. Anche la questione di costituzionalità posta dalla difesa con il secondo motivo è manifestamente infondata, essendo già stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza 284/07 che ha “sottolineato il carattere pregiudiziale ed assorbente della questione comunitaria, affermando che spetta al giudice comune accertare se le disposizioni del diritto interno, rilevanti nella specie, confliggano con le evocate norme del diritto comunitario provviste di effetto diretto e trame le conseguenze dovute” (così Sez. 3A 5914/09 cit.).
12. È del pari infondato, per le ragioni dianzi esposte, il denunciato vizio di erronea applicazione della legge con riferimento agli artt. 3, 4 e 25 del D.Lgs. n. 259/03 (codice delle comunicazioni) che sanciscono la “libertà” dei servizi di comunicazione elettronica.
13. Tuttavia nel caso in esame la sentenza presenta un chiaro vizio motivazionale integrato da manifesta illogicità, laddove non ha considerato adeguatamente il profilo soggettivo del reato.
13.1 Vero è che nel caso in esame si versa in una ipotesi contravvenzionale per la quale basta la sola colpa; ma laddove l’agente ponga in essere una attività considerata vietata nella piena consapevolezza della legittimità della propria condotta, consapevolezza, ovviamente, ricavabile da un complesso coordinato di dai processuali, la soluzione da adottare è l’esclusione del reato per mancanza dell’elemento soggettivo determinato da ignoranza incolpevole della legge penale.
13.2 È indubitabile che a tal fine no basta il dubbio sulla legittimità della propria condotta determinato da oscillazione giurisprudenziale ovvero della mera ignorantia legis: ma quando la buona fede dell’agente sia originata da uno o più fattori positivi esterni che abbiano indotto il soggetto in errore incolpevole, può ben ravvisarsi l’assenza dell’elemento soggettivo anche nei termini contravvenzionali (in termini Sez. 3^ 6.11.2007 n. 172, *******, Rv. 238600; idem 4.11.2009 . 49910, ********** e altri, Rv. 245863).
14. L’accoglimento – sotto tale profilo – del ricorso assorbe ogni altra doglianza. Va, conseguentemente, annullata senza rinvio al sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Redazione