Esecuzione di sanzioni amministrative per abusi edilizi (Cons. Stato n. 2484/2013)

Redazione 08/05/13
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FATTO

Con il presente gravame la società ricorrente impugna la sentenza con cui è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento del provvedimento di accertamento dell’inottemperanza alle ordinanze sindacali di demolizione nn.31 e 32 del 14.5.1986, n.34 del 17.5.1986 e n.37 del 16.7.1986 e dell’avviso che il provvedimento medesimo costituiva titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari a favore del Comune di Palagiano dei beni non demoliti, con la relativa area di sedime.

L’appello è affidato alla denuncia di quattro rubriche di gravame, tutte relative all’erroneità della motivazione per illogicità, omesso esame dei motivi di ricorso, ed errore sui presupposti di fatto.

Il comune di Palagiano ritualmente notificatario non si è costituito in giudizio.

Ha spiegato invece intervento ad opponendum l’associazione “Legambiente”, che con memoria di costituzione in brevi note per la discussione ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 297 del 24 gennaio 2012 la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento.

Chiamata all’udienza pubblica di discussione, uditi i difensori delle parti, il ricorso è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

_1. Con il primo motivo si lamenta l’erroneità del rigetto del motivo con cui in primo grado la società aveva lamentato l’illegittimità del provvedimento che sanzionava l’inottemperanza alle ordinanze di demolizione del comune, le quali non avrebbero tenuto conto dell’impossibilità di adempiere, conseguente al sequestro penale degli immobili abusivi.

Il Tar, pur riconoscendo che spetta al giudice penale “… decidere il mantenimento in vita del sequestro a fini di tutela di esigenze di carattere penalistico (ad. es fini probatori, o di prevenzione penale o, ancora, di natura conservativa a garanzia delle obbligazioni civilistiche nascenti da reato) ovvero il dissequestro del bene qualora si ritenga di accordare prevalenza al ripristino dello stato dei luoghi” sarebbe pervenuto all’erronea convinzione per cui il “…destinatario del provvedimento deve senz’altro rendersi parte diligente al fine di dare corretta esecuzione all’ordine di demolizione emanato dalla P.a.. competente senza poter addurre a sua esimente la sussistenza di un provvedimento di sequestro al quale egli stesso ha dato causa…. ”.

Tale motivazione sarebbe illogica se si considera che il giudice penale comunque non è obbligato ad accogliere la richiesta di sequestro, potendo invece avere interesse a non modificare lo stato dei luoghi. Inoltre il provvedimento del Comune non avrebbe fatto alcun cenno né all’esistenza del sequestro, né in ordine alla mancata presentazione di tale istanza da parte dell’interessato.

Il Tar avrebbe introdotto poi considerazioni nuove integrando la motivazione del provvedimento.

L’assunto è infondato.

Come già ricordato in sede cautelare, in materia di esecuzione di sanzioni amministrative per abusi edilizi, la sussistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo non può affatto costituire, per il responsabile, un’esimente per l’inosservanza dell’ordine di demolizione del manufatto medesimo, ben potendo – ed anzi dovendo — l’interessato farsi parte attiva per chiedere alla competente A.G. la revoca del sequestro al fine di dare esecuzione all’ordine suddetto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 20 gennaio 2010, n. 299).

L’argomentazione della società appellante avrebbe potuto trovare legittimo ingresso in questa sede solo in presenza di un esplicito rifiuto dell’autorità giudiziaria sull’istanza di dissequestro a fini demolitori dell’interessato.

Né occorreva alcuna specificazione nel provvedimento circa le attività necessarie per consentire all’autore dell’abuso di rispettare l’ordine di demolizione dell’autorità, e di evitare quindi le conseguenze della sua attività illecita.

Il motivo va dunque respinto.

_ 2. Con il secondo motivo si lamenta l’erroneità del rigetto del corrispondente mezzo di primo grado fondato su un rilievo per cui dalla “….lettura della motivazione posta a sostegno dell’ordinanza gravata si desume che essa è stata adottata sulla base di un presupposto di fatto rimasto inoppugnato e, cioè, l’inesecuzione degli ordini di demolizione notificati alla società ricorrente, il che pone al riparo il provvedimento dal difetto di coerenza lamentato….”.

In realtà, la doglianza di prime cure sarebbe stata diretta a censurare l’incoerenza tra il provvedimento di acquisizione, oggetto della presente vicenda e le precedenti ordinanze di demolizione che invece prevedevano l’abbattimento d’ufficio, e comunque la mancata applicazione del regime sanzionatorio di cui all’articolo 12 della legge n. 47/1985 previsto per le variazioni non essenziali.

Erroneamente il Tar avrebbe supposto un automatismo tra mancata demolizione ed acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune.

Il motivo va disatteso.

Del tutto inconsistente, oltre che priva di elementi probatori, è la pretesa applicabilità dell’art. 12 della L. n.47/1985.

Al riguardo la società ricorrente non fornisce alcun elemento a sostegno, come ad esempio il numero e data delle concessioni, la natura originaria delle opere, le opere eseguite in presunta “difformità” dalle concessioni originarie, per cui dovesse applicarsi il regime sanzionatorio di cui all’articolo 12 della legge n. 47/1985 previsto per le variazioni non essenziali cioè quelle c.d. minori (che non mutano la volumetria, il posizionamento, la destinazione d’uso, ecc. ecc.).

Ha peraltro ragione Legambiente quando ricorda la notevole risonanza di una lottizzazione abusiva che era stata oggetto di condanna penale fin dal 1987, e che aveva comportato una notevole devastazione di un bosco di pino d’Aleppo, lungo le rive del fiume Lenne, in un’area tra l’altro caratterizzata da un forte rischio idrogeologico e dai pregressi relativi vincoli.

In tale prospettiva deve ricordarsi come il rigetto del condono si è definitivamente consolidato in quanto, questa IV Sezione, con sentenza del 29/05/2008 n.2567 ha dichiarato inammissibile la richiesta di revocazione della propria sentenza n. 5738/2007, con cui (respingendo l’appello contro la sentenza del TAR della Puglia, Lecce, Sez. I, n. 2380 del 2005) la Sezione aveva ritenuto legittimo il diniego della sanatoria per ragioni di pericolo idrogeologico, sul presupposto della sussistenza di un rischio ambientale — peraltro evidenziato dall’Assessorato regionale dell’agricoltura con la nota del 26/4/96 — e che, altresì, non risultavano agli atti del giudizio elementi che potessero smentire la pericolosità del complesso turistico nell’area boschiva vicina al fiume Lenne conseguente all’abbattimento di piante; alla realizzazione di basamenti stabili per la collocazione degli immobili.

L’acquisizione gratuita delle opere abusive e dell’area di sedime sono atti dovuti, consequenziali, connessi e conseguenti all’inottemperanza che non richiedono particolare ed ulteriore motivazione (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1793).

In conseguenza, del tutto inconferente è la presunta incoerenza del provvedimento con i precedenti ordini di demolizione, dato che l’art. 31 del DPR 06/06/2001 n. 380 struttura l’acquisizione come effetto automatico della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione (…sono acquisiti di diritto …).

Il motivo va dunque disatteso.

_3. Con il terzo motivo si assume che il Tar avrebbe frainteso la censura per cui la società ricorrente aveva lamentato che le ordinanze demolizione avrebbero perso definitivamente efficacia a seguito della presentazione della domanda di condono e quindi sarebbe stata necessaria una nuova determinazione.

La doglianza non merita adesione.

L’appellante, infatti, non oppone nulla di concreto al rilievo del TAR per cui “…l’ordinanza impugnata è stata emanata solo dopo la conclusione del procedimento di condono edilizio avviato con istanza della società in data 13 gennaio 1995 e culminato in un diniego datato 5 aprile 2004. Ciò significa che il procedimento finalizzato a conseguire la sanatoria dell’abuso edilizio non ha subito alcuna interferenza a causa del parallelo procedimento di repressione dell’abuso ma ha seguito il proprio iter in tutta autonomia giovandosi della naturale sospensione divisata in casi di concomitante esercizio delle potestà di settore.”

Nell’ambito di un procedimento amministrativo per la demolizione di opere abusive, non è dunque necessaria la rinnovazione dell’ingiunzione originaria a fronte della domanda di accertamento in conformità; in quanto nessuna norma prevede il venir meno dell’efficacia dell’ordine di demolizione (cfr. Consiglio Stato sez. V 09 maggio 2006 n. 2562).

In assenza di un’esplicita norma di legge, per poter affermare l’inefficacia sopravvenuta delle ordinanze sul piano procedimentale sarebbe stato necessario un provvedimento, anche parzialmente, favorevole sull’istanza di sanatoria. In caso contrario il riesame negativo circa l’abusività dell’opera, che è provocato dall’istanza di sanatoria, se porta alla formazione di un provvedimento di rigetto, non dà luogo ad alcuna modificazione sostanziale della preesistente realtà giuridica e quindi costituisce un tipico atto conformativo del precedente provvedimento sanzionatorio.

Come tale, non costituiva un fatto idoneo a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio originario.

Di qui l’infondatezza del terzo motivo.

_ 4. Con il quarto motivo si lamenta l’erroneità del respingimento del quarto e del quinto motivo con cui si lamentava rispettivamente che:

— le ordinanze non specificavano le aree da acquisire al patrimonio comunale per cui, dalle stesse, non potevano discendere effetti confiscatori, ma sarebbe stato necessario un ulteriore atto di individuazione delle aree eccedenti quelli di sédime: sarebbe stata illegittima l’acquisizione di due particelle rispettivamente di Ha 2. 44. 81 e di Ha 16. 36;

— il Comune di Palagiano aveva disposto l’acquisizione, oltre che dell’area di sedime, anche di una vasta superficie, che non avrebbe comunque rappresentato una pertinenza urbanistica, in violazione dell’art. 7 della legge n. 47/1985, senza operare alcuna valutazione al riguardo.

Il Tar avrebbe fatto erroneo riferimento ad un atto di frazionamento redatto dall’amministrazione comunale medesima, senza citare le ordinanze demolizione delle aree che sarebbero state acquisite in aggiunta a quelle di sedime. Il frazionamento presentato all’UTE non avrebbe avuto rilievo al riguardo in quanto non avrebbe natura provvedimentale.

Entrambi i motivi vanno complessivamente disattesi.

L’art. 1 della L. n. 241/29000 e segg. prevede che “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”, per cui, quando la legge non impone una particolare forma, l’amministrazione ben può operare con libertà delle forme.

Per questo il frazionamento costituisce comunque uno specifico atto del Comune di individuazione delle aree da acquisire, per la cui presentazione non era previsto, né quindi necessario, alcun particolare ulteriore provvedimento di approvazione da parte del Comune.

Pertanto, sul piano formale, le aree erano state puntualmente identificate in sede di istanza di frazionamento per cui ha ragione il TAR quando ricorda che ogni profilo di incertezza relativo all’esatta individuazione del bene oggetto di acquisizione al patrimonio del Comune doveva in concreto essere esclusa.

Sul piano della logica, dell’equità e della giustizia sostanziale si deve ulteriormente ricordare che, nel caso, il provvedimento di acquisizione è stato perfettamente legittimo in quanto l’art. 7 della (oggi abrogata) legge L. 28 febbraio 1985 n. 47, tra l’altro prevedeva, al terzo co. che “…. il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

Alla luce delle ricordate vicende già venute all’esame della Sezione, le acquisizioni non rivelano alcun profilo sintomatico di un eccesso di potere, o comunque di un intento anche indirettamente sviatorio.

In concreto qui l’entità dell’acquisizione appare logicamente collegata all’indispensabile necessità di ristabilire, in un’area verde vincolata che presenta ancora un eccezionale valore ambientale e paesaggistico:

— lo stato primitivo dei luoghi attraverso la ricostituzione della parte di bosco abusivamente distrutta dai vari interventi;

— il ripristino dell’assorbimento delle acque meteoriche del terreno per la loro migliore regimazione delle acque;

— l’assicurazione agli apparati delle radici del necessario apporto idrico su tutta la loro estensione (così la sent. n.2567/2008 cit.).

Nè era necessaria alcuna peculiare motivazione in relazione al rilievo ostativo pertinente al rischio idrogeologico derivante dalla realizzazione degli interventi in prossimità del fiume Lenne e in assenza di cautele relative alla tenuta boschiva vicina al corso d’acqua (come è plasticamente evidente alla luce delle mappe satellitari della zona presenti sul web).

Né la società appellante specifica alcunché in relazione all’eventuale superamento dell’unico limite all’acquisizione dell’area che era imposto direttamente dal ricordato terzo comma dell’art. 7 della n. 47 cit. per cui, anche in relazione all’estensione della lottizzazione oggetto della presente vertenza, risulta evidente come la censura appaia generica e comunque sia sostanzialmente priva di pregio giuridico.

_ 5. In definitiva l’appello è infondato in tutti i suoi profili e la sentenza impugnata deve essere confermata.

Le spese, secondo le regole generali i cui all’art 26 e segg. seguono la soccombenza e, anche in ragione dell’attività difensiva prestata, sono liquidate in favore dell’Associazione ambientalista “Legambiente in € 5.000,00 oltre all’IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

_ 1. Respinge l’appello

_2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che sono liquidate in favore dell’Associazione ambientalista “Legambiente nella misura di € 5.000,00 oltre all’IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013

Redazione