Esecuzione di lavori di ampliamento e modifica della sagoma di porzione di fabbricato bifamiliare: distanza di 10 metri tra pareti finestrate (Cons. Stato n. 2483/2013)

Redazione 08/05/13
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FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, ****************, è nudo proprietario di una delle due porzioni componenti una villetta bifamiliare ubicata nel Comune di Bergeggi (Sv), via del Caprifoglio.

Più esattamente, l’A. è proprietario dell’unità abitativa appartenente a tale villetta contraddistinta dal civico n. 15 di tale via, nel mentre l’attuale appellato ********************** è proprietario dell’attigua unità abitativa, facente parte della villetta medesima e che è a sua volta contraddistinta dal civico n. 19 della stessa via.

Giova sin d’ora evidenziare che la villetta in questione è ubicata in zona di particolare pregio paesaggistico, rappresentata dal fronte mare delle colline di Bergeggi, assoggettata a risalente vincolo paesaggistico.

Dall’esame degli atti di causa e, segnatamente, dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, consterebbe che nei primi giorni dell’aprile 2011 il Wurthner, residente in Germania, sarebbe stato informato della circostanza che sulla proprietà A. si stavano eseguendo importanti lavori edili

consistenti nell’innalzamento e nella sopraelevazione dell’intero vano sottotetto dal limite di proprietà dello stesso ******** fino all’opposto limite esterno dell’edificio: e ciò al fine di destinare a funzione abitativa il nuovo volume cosi realizzato.

In esito all’avvio di tali opere, il Wurthner – asseritamente mai stato notiziato dell’intenzione del vicino, né dell’avvenuto rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici da lui ottenuti al fine di realizzare la sopradescritta trasformazione dell’immobile – è venuto in possesso di parte degli atti del relativo procedimento e, nel rilevare che il progetto dell’A. creerebbe comunque un incongruo disallineamento dell’aspetto morfologico dell’immobile, di significativo impatto visivo, tale quindi da degradare anche il contesto paesaggistico tutelato, con ricorso sub R.G. 476 del 2011 proposto innanzi al T.A.R. per la Liguria ha chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. 15 – Prot. n. 7147 dd. 17 agosto 2010 rilasciato dal Comune di Bergeggi, avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori anzidetti, dell’autorizzazione paesaggistico-ambientale n. 12 – Prot. n. 7146 dd. 17 agosto 2010, rilasciata sempre dal Comune di Bergeggi e avente ad oggetto il medesimo intervento, nonché, ove occorra, del presupposto parere reso al riguardo in data 31 marzo 2010 dalla Commissione locale per il paesaggio e del coevo parere reso sempre al riguardo dalla Commissione edilizia comunale.

In tale primo grado di giudizio il Wurthner ha dedotto le seguenti censure.

1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L.R. 6 giugno 2008 n. 16, nonché eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria e di motivazione e difetto del presupposto ed illogicità manifesta, rilevando che in difformità a tali disposizioni normative il progetto prevede che i muri perimetrali della porzione immobiliare di proprietà A. siano distanti all’incirca 7,15 metri dalle pareti finestrate di sua proprietà.

2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L.R. 6 giugno 2008 n. 16 con riferimento agli artt. 905 e 906 cod. civ., nonché ulteriore eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria. Il Wurthner ha evidenziato che il progetto dell’A. contemplerebbe – tra l’altro – anche la realizzazione di due nuovi balconi, con conseguente illecito affaccio sulla sua proprietà.

3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art.11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L.R. 16 del 2008 in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 880, 1117 e 1122 cod. civ, nonché eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e difetto di istruttoria sotto altro profilo, contraddittorietà ed illogicità, essendo stata la villetta in questione realizzata in base ad un unico titolo edilizio ed essendo pertanto dotato di parti che non possono che risultare comuni, con la conseguenza che i lavori dovrebbero eseguirsi anche con l’assenso del comproprietario delle cose stesse: circostanza, questa, che sarebbe stata per contro non considerata dall’Amministrazione Comunale.

4) Violazione e falsa applicazione degli artt.1 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e dell’art.

31 della L.R. 16 del 2008, nonchè in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42, nonché eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e del presupposto e illogicità e carenza di motivazione

Il Wurthner ha in tal senso evidenziato che, sebbene la Commissione edilizia avesse espresso il parere che l’altezza media dei vani realizzati dall’A. non doveva superare i m. 2,30 e che quest’ultimo si fosse adeguato a tale osservazione, modificando il proprio progetto, tale modifica non risultava assentita sotto il profilo paesaggistico, non essendo stata sottoposta al parere della Commissione locale per il paesaggio.

5) Illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L. 241 del 1990 in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, dell’art. 31 della L.R. 16 del 2008 e dell’art. 146 del D.L.vo 42 del 2004 sotto ulteriore profilo, nonché ulteriore illogicità e carenza di motivazione e di istruttoria.

Il medesimo Wurthner ha contestato inoltre l’apoditticità e l’assoluta illogicità del parere comunque reso dalla Commissione locale per il paesaggio e acriticamente recepito dall’Amministrazione comunale.

Il ricorrente in primo grado ha anche contestato una carente istruttoria e motivazione del parere reso dalla Commissione edilizia comunale, evidenziando inoltre che nei due pareri non era stata considerata la circostanza che l’opera assentita insiste su di una ben nota grotta carsica (c.d. “Grotta A.), ossia su di un’area ragionevolmente assoggettata ad una consistente suscettività di dissesto.

6) Illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L. 241 del 1990 in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, dell’art. 31 della L.R. 16 del 2008 e dell’art. 146 del D.L.vo 42 del 2004 sotto ulteriore profilo, nonché ulteriore illogicità e carenza di motivazione e di istruttoria.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 in relazione all’art. 11, § A7, del Regolamento Edilizio del Comune di Bergeggi e al D.M. 14 gennaio 2008, con ulteriore difetto di istruttoria.

Il Wurthner ha riproposto anche mediante tale ordine di censure l’impraticabilità del progetto dell’A., stante l’insistenza della costruzione sull’area in cui ricade la grotta anzidetta; progetto che, oltre tutto, non risulterebbe corredato dalla relazione di fattibilità geologica e geotecnica contemplata dall’art. 11, § A7, del Regolamento edilizio del Comune di Bergeggi, contemplata con riferimento a quanto disposto al riguardo dalla disciplina vigente, ossia il D.M. 11 marzo 1988 e la sua circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 30483 dd. 24 settembre 1988, dalla L.R. 22 gennaio 1999 n. 4 e dalle sue circolari esplicative, dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 dd. 20 marzo 2003 e dalle norme tecniche per le costruzioni approvate con D.M. 14 gennaio 2008.

7) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7, 8 e 9 della Legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche, per violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., nonché eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, illogicità manifesta e sviamento, non essendo stata data nei suoi confronti notizia dell’avvenuto avvio del procedimento iniziato dall’A. ed essendogli stata preclusa con ciò ogni possibilità per far ivi valere i propri interessi e diritti.

1.2. In tale giudizio di primo grado si sono costituiti il Comune di Bergeggi e l’A., eccependo preliminarmente l’irricevibilità del ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione previa puntuale replica alle censure dedotte dal Wurthner.

1.3. Con sentenza n. 766 dd. 13 maggio 2011, resa a’ sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., la Sezione I dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso, avuto segnatamente riguardo, per quanto attiene al titolo edilizio. al terzo ordine dei motivi suesposti e, per quanto attiene al titolo paesaggistico, al quinto ordine dei motivi stessi.

Giova sin d’ora evidenziare che il giudice di primo grado ha innanzitutto disaminato “la portata della produzione documentale del Comune, che potrebbe rilevare sulla tempestività dell’impugnazione. Risulta infatti che sin dal gennaio 2011 un delegato della signora **************”,madre del Wurthner, “chiese ed ottenne la copia degli atti relativi al titolo edilizio impugnato: in particolare il soggetto incaricato dalla madre dell’attuale ricorrente, nonché usufruttuaria del bene di proprietà di quest’ultimo, risulta essere un tecnico della materia, sì che deve ritenersi che costui fu ampiamente in grado di rappresentare alla mandante i particolari della costruzione che il controinteressato stava per realizzare. Tale piena conoscenza si inverò pertanto nella signora ******* ben oltre il sessantesimo giorno dalla notificazione del ricorso, ma tale prova non esiste in atti a proposito del ricorrente, per il quale non v’è dimostrazione dell’avvenuto conferimento del mandato professionale al geometra ***********; in assenza di tali elementi il tribunale deve attenersi alla rigorosa giurisprudenza formatasi in materia di onere della prova circa la tempestività di un ricorso, che postula la piena rappresentazione di tale situazione a carico di chi la eccepisce. Il ricorso è pertanto tempestivo, sì che esso va esaminato nel merito” (cfr. pag. 5 e ss. della sentenza impugnata).

Nella medesima sentenza si legge, quindi, che “in particolare l’interessato denuncia diversi profili di illegittimità del titolo che ha ammesso la sopraelevazione del sottotetto dell’immobile, seppur per la parte di pertinenza del solo controinteressato. Il Collegio deve favorevolmente apprezzare il fondato ed assorbente motivo con cui viene denunciata la violazione delle norme sulle parti comuni di un condominio. Deve infatti rilevarsi che il fabbricato bifamiliare risulta essere stato edificato in forza del titolo 23 febbraio 1968, che menzionava espressamente una villetta bifamiliare, dal che si ricava che il tetto e le altre parti citate dall’art. 1117 cod. civ. sono da ritenersi comuni. Si applicano al riguardo le previsioni sul cosiddetto condominio orizzontale, ben note alla giurisprudenza (ad esempio, Cass. Civ., Sez. II, 4 novembre 2010 n. 22466), che comportano la dichiarazione di proprietà comune dei beni che sono destinati all’utilizzo di tutto il fabbricato. Parte controinteressata eccepisce che si tratta di due proprietà autonome e separate, e che l’eventuale demolizione di uno dei due fondi lascerebbe intatta la situazione giuridica dell’altra, che non sarebbe neppure tenuta al rispetto delle norme sulla comunione del muro. Il tribunale non può convenire con tale tesi. Il diritto che il controinteressato deriva dai titoli in questione non può essere diverso da quello che era di pertinenza dei suoi autori; questi chiesero ed ottennero la citata licenza edilizia del 1968 per la realizzazione della villa bifamiliare ancora esistente, con ciò dovendosi intendere che, salva la riunione dei titoli dominicali o la ricorrenza di altri fatti giuridici idonei, il bene è rimasto e resterà condominiale. Non è infatti permesso ad alcun condomino di sottrarre i beni comuni alla destinazione loro impressa dagli originari costruttori: il tetto e le grondaie orizzontali vengono considerate dalla giurisprudenza che si condivide come facenti parte delle cose comune, che nella specie ebbero tale destinazione in forza della convenzione stipulata dagli originari costruttori, che trova riscontro nel citato atto del comune di Bergeggi. Si applicano pertanto le norme denunciate al capo III delle censure proposte, osservandosi che l’amministrazione non avrebbe potuto assentire i lavori citati in mancanza dell’assenso degli altri aventi diritto sul bene. E’ poi impugnato anche il titolo paesistico che la p.a. ha rilasciato al ricorrente per la realizzazione delle opere ricordate. Il collegio deve apprezzare favorevolmente la censura con cui si denuncia l’illegittimità dell’assenso paesistico, in mancanza di ogni motivazione in ordine all’impatto che la nuova fabbrica avrà sul territorio. Le fotografie e le prefigurazioni dello stato di fatto quale esso sarà all’esito dei lavori lasciano intendere che ricorrerà un rilevante mutamento paesistico, la cui compatibilità con i piani vigenti a tale riguardo avrebbe dovuto essere giustificata puntualmente dalla P.A. In conclusione il ricorso merita integrale accoglimento con l’annullamento di tutti gli atti impugnati; le spese possono essere compensate, data l’inusualità della fattispecie”.

2.1. Tutto ciò doverosamente premesso, con l’appello in epigrafe l’A. chiede la riforma di tale sentenza.

Egli deduce al riguardo i seguenti motivi.

1) Tardività del ricorso proposto in primo grado. Violazione degli artt. 19 e 41 cod. proc. amm.

2) Violazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e degli artt. 880, 1117 e 1122 cod. civ., illogicità e difetto di motivazione della sentenza. Insussistenza nella specie di un “condominio orizzontale”.

3) Violazione dell’art. 3 della 241 del 1990 e dell’art. 146 del D.L.vo 42 del 2004. Insussistenza del vizio di carente motivazione dell’autorizzazione paesaggistica.

2.2. Si è costituito in giudizio l’appellato Comune di Bergeggi,..

2.3. Si è costituito in giudizio anche il parimenti appellato *********************, rassegnando conclusioni per il rigetto dell’appello e riproponendo in via tuzioristica le censure da lui dedotte in primo grado e rimaste assorbite nella definizione del giudizio di primo grado.

2.4. Con ordinanza collegiale n. 6407 dd. 13 dicembre 2012 la Sezione “ritenuto necessario al fine del decidere – e avuto segnatamente riguardo alla censura (assorbita nel primo grado di giudizio ma riproposta in appello) di avvenuta violazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 – il deposito agli atti di causa di un certificato di destinazione urbanistica del sito in cui ricade la costruzione A. – ********, non risultando al riguardo dirimente quanto prodotto dal ricorrente in primo grado quale proprio doc. 14 innanzi al T.A.R. (cfr. in proposito il fascicolo di primo grado)”, ha disposto tale incombente a carico del Comune di Bergeggi, il quale ha provveduto al riguardo in data 18 gennaio 2013.

2.5. Sia prima che dopo l’emissione di tale provvedimento interlocutorio tutte le parti hanno prodotto corpose e oltremodo puntuali memorie a sostegno delle rispettive tesi.

3. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, il Collegio deve innanzitutto farsi carico di disaminare il motivo d’appello con il quale l’A. contesta la ricevibilità del ricorso proposto in primo grado dal Wurthner.

Tale contestazione è affidata, in buona sostanza, all’esposizione delle circostanze qui di seguito esposte.

La Signora ******************* ha donato con atto a Rep. 53050 – Racc. 28949 dd. 10 agosto 2010 a rogito del dott. **************, Notaio in Savona, la nuda proprietà della porzione del villino di cui trattasi, ubicato in Bergeggi (Sv), corrispondente al numero civico 19 di via del Caprifoglio e – per l’appunto – adiacente all’altra porzione dello stesso edificio corrispondente al n. 15 e di proprietà dell’appellante A..

Lore ************** risulta da tale atto “residente a Bergeggi (SV), via del Caprifoglio n. 19”, nel mentre ********************** è contestualmente indicato come “residente a Trossingen (Germania), ************* n. 65”.

Secondo quanto si legge nell’atto introduttivo del presente atto d’appello la ******* avrebbe incaricato di accedere alla documentazione relativa alla pratica edilizia in questione il Geom. ***********, il quale avrebbe in tale occasione “qualificato la *************** proprietaria quando non lo era” (cfr. ivi, pag. 6).

Sempre secondo il medesimo atto introduttivo la ******* convivrebbe con il figlio all’anzidetto indirizzo di **********, dove il progettista dei lavori e lo stesso A. avrebbero inviato in data 29 novembre 2010 e in data 21 marzo 2011 due raccomandate debitamente ricevute dalla stessa; e, nella prospettazione dell’A. medesimo, se si tiene conto dell’età della signora *******, nata nel 1934, e del figlio, nato nel 1962, si dovrebbe supporre che entrambi si occupano della casa della quale dispongono a Bergeggi e che la loro convivenza consentirebbe di applicare nella specie la giurisprudenza secondo la quale la conoscenza di un atto da parte di un membro della famiglia configura la sua conoscenza in capo ad un altro membro (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 17 aprile 1998 n. 1438; lo stesso deducente documenta al riguardo anche altra e più copiosa giurisprudenza resa in primo grado).

A fronte di ciò il Wurthner ha documentato agli atti di causa di risiedere a Freiburg, Nonnengasse n. 1, sin dall’1 ottobre 2002, ma la difesa del Comune ha a sua volta evidenziato il contrasto della relativa certificazione rispetto a quanto risultante dall’anzidetto atto di donazione, sostenendo quindi che sia lo stesso ******** che la ******* convivrebbero all’anzidetto indirizzo di **********.

La difesa del Comune rileva inoltre che la traduzione della certificazione non è stata asseverata e che essa risulterebbe comunque ambigua laddove indicherebbe ancora Trossingen come residenza dell’attuale appellato (cfr. pag. 8 della memoria dd. 8 novembre 2012 versata in atti dalla difesa medesima).

La stessa difesa del Comune, inoltre, ha prodotto nel presente grado di giudizio una dichiarazione sottoscritta dal Responsabile del Settore Urbanistica Edilizia dello stesso Comune, ****. ******************, redatta in data 28 ottobre 2011, del seguente tenore (risultante anche da quanto riportato a pag. 9 della memoria dianzi citata: “La *************** (dopo aver chiesto alla mia collaboratrice ********************) accompagnata da persona che disse essere suo figlio entrò nel mio ufficio nel Comune di Bergeggi, dopo la data del Permesso di Costruire (n. 15 del 17 agosto 20109, approssimativamente verso la fine di Agosto 2010 inizio di Settembre 2010. La visita era motivata dalla necessità della *************** di visionare ed essere informata sul progetto del ******* appena approvato. Lo scrivente, pur non potendo mostrare gli elaborati progettuali in quanto non era stata inoltrata alcuna richiesta di visione degli atti (ai sensi della L. 241 del 1990 – art. 22, comma 1, lett. c – art. 3 del D.P.R. 12 luglio 2006 n. 184) informava a voce e si soffermava ad illustrare la L.R. 6 agosto 2001 n. 24 ai sensi della quale il progetto venne approvato. La *************** ad ogni mia informativa sul progetto A. si rivolgeva verso il figlio e traduceva quanto dal sottoscritto esposto, in quanto probabilmente non conosceva la lingua italiana”.

Secondo la tesi del Comune, pertanto, dal giorno di risalenza di tale asserita circostanza sarebbe decorso perlomeno l’onere del Wurthner “di attivarsi ai fini di una ulteriore informativa” (sic! pag. 10 della memoria citata).

Va anche evidenziato che la difesa del Wurthner ha contestato la produzione della surriportata dichiarazione, affermandone l’insuscettibilità a provare alcunché, in quanto non resa nelle forme dell’atto notorio e comunque essendo la stessa riconducibile a nuova prova, ex se inammissibile nel giudizio d’appello (cfr. art. 104, comma 2, cod. proc. amm.).

A sua volta la difesa dell’A., associandosi sul punto a quella del Comune, ha per contro sostenuto l’ammissibilità della produzione ove reputata indispensabile da questo giudice ai fini della decisione della causa.

4.2. Il Collegio, per parte propria, rileva che la dichiarazione surriportata può invero essere considerata in tal senso “indispensabile ai fini della decisione della causa”: ma ciò proprio all’effetto della conferma sul punto della statuizione con la quale il giudice di primo grado ha respinto le eccezioni di irricevibilità del ricorso ivi proposto.

In tal senso, infatti, va evidenziato che la mera informazione data dal Responsabile del Servizio alla Schmidt e al Wurthner con lei ivi asseritamente presente circa la circostanza che il progetto dell’A. era stato realizzato a’ sensi della L.R. 6 agosto 2001 n. 24 non configura per certo una messa a disposizione del progetto stesso e della pratica edilizia in genere, tale da far decorrere nei loro riguardi i termini di impugnazione nel presupposto di una “piena conoscenza” di tali atti ottenuta dagli interessati.

Né – soprattutto – può dirsi che il Responsabile del Servizio possa invocare a giustificazione del suo comportamento la circostanza che la ******* e il ******** non avevano presentato un’istanza di accesso agli atti in questione a’ sensi dell’art. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche, essendo semmai lo stesso Responsabile di Servizio onerato a segnalare ai suoi interlocutori tale possibilità.

Solo ove ciò fosse accaduto risulterebbe infatti possibile sostenere che da tale momento gli interessati medesimi sarebbero stati a loro volta onerati ad attivarsi al fine di acquisire la copia degli atti in questione e, quindi, di pervenire alla “piena conoscenza” dei medesimi; e, del resto, se la ******* si è invero attivata in tal senso nel gennaio 2011 conferendo un mandato al riguardo al Geom. ************** (e ciò, verosimilmente – e per quanto detto innanzi – non è avvenuto per l’iniziativa del predetto Responsabile del Servizio), ciò non è stato fatto dal Wurthner asseritamente presente al sopradescritto colloquio svoltosi nei locali del Comune.

Va anche evidenziato che non hanno ragione d’essere le contestazioni che la difesa del Comune muove nei confronti del certificato di residenza che il ******** ha a sua volta prodotto per comprovare di risiedere in località diversa da quella della madre.

Innanzitutto, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del Comune, non risponde al vero che nell’atto di donazione della casa di Bergeggi da parte della ******* al figlio entrambi risulterebbero residenti a **********, posto che dalla lettura di tale atto risulta che in quest’ultima località risiede – per l’appunto – il solo ********, nel mentre la ******* è ivi indicata come residente a Bergeggi nella stessa casa di via del Caprifoglio n. 19.

Inoltre, se è ben vero che la traduzione del certificato di cui trattasi non è stata asseverata, essa – a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del Comune non è “ambigua”, poiché Trossingen è ivi indicata come “Geburtsort” , ossia come “località di nascita” ; indicazione, questa, subito seguita da quella della data di nascita dell’interessato ( “Geburtsdatum”), 28 dicembre 1962, agevolmente riconducibile al significato italiano – se non altro – per effetto della presenza nei due vocaboli della stessa radice “Geburt”.

In dipendenza di tutto ciò – dunque – la residenza del Wurthner consta in ogni caso fissata in località diversa da quella della madre, rendendo pertanto al riguardo inconferente il richiamo a quella giurisprudenza citata dalla difesa del Comune secondo la quale la conoscenza di un atto da parte di un membro della famiglia configura la sua conoscenza in capo ad un altro membro della famiglia medesima: e ciò proprio perché nella specie il Wurthner ha superato la presunzione di convivenza con la prova dell’insussistenza del rapporto di convivenza con il proprio familiare (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011 n. 5747).

Concludendo sul punto, va senza dubbio condivisa la fondatezza dell’assunto del giudice di primo grado secondo il quale è sufficiente evidenziare che se la ******* ha invero conferito al Geom. *********** nel gennaio del 2011 un mandato per esercitare il proprio diritto di accesso alla pratica edilizia dell’A., non è stato comprovata in giudizio da quest’ultimo e dal Comune la circostanza che anche il Wurthner avesse rilasciato al medesimo professionista analogo mandato: e ciò in coerenza al ben noto e consolidato assunto giurisprudenziale secondo cui, in base agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova, ex art. 2697 cod. civ., (tra l’altro sostanzialmente riprodotto dall’art. 64, comma 1, cod. proc. amm.), la dimostrazione della tardività del ricorso e, quindi, della pregressa piena conoscenza degli elementi essenziali dell’atto in capo al destinatario, deve essere fornita in modo rigoroso dalla parte che eccepisce la tardività medesima (cfr. sul punto, ex plurimis., Cons. Stato., Sez. IV, 19 dicembre 2012 n. 6557 e Sez. V, 8 giugno 2011 n. 3458).

5.1. Il Collegio evidenzia quindi che il giudice di primo grado ha accolto in via assorbente le prospettazioni del Wurthner in ordine alla violazione delle norme sulle parti comuni di un condominio, rilevando in particolare che l’edificio in questione è stato costruito in forza di una licenza edilizia rilasciata in data 23 febbraio 1968, la quale menzionava espressamente la realizzazione di una villetta bifamiliare.

Da ciò il T.A.R. ha ricavato la conseguenza che il tetto e le altre parti menzionate nell’art. 1117 cod. civ. sono da ritenersi comuni e che al riguardo si applicano le previsioni sul cosiddetto condominio orizzontale, comportanti la dichiarazione di proprietà comune dei beni che sono destinati all’utilizzo di tutto il fabbricato (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 4 novembre 2010 n. 22466).

Sempre secondo il T.A.R. le deduzioni delle difese del Comune e del Wurthner, secondo le quali l’edificio medesimo risulterebbe composto da due proprietà autonome e separate e che l’eventuale demolizione di uno dei due fondi lascerebbe intatta la situazione giuridica dell’altra – tra l’altro neppure tenuta al rispetto delle norme sulla comunione del muro – non potrebbero trovare accoglimento, posto che il diritto dell’A. non può essere diverso da quello di cui erano titolari i suoi autori: essi infatti – denota sempre il T.A.R. – hanno chiesto e ottenuto il rilascio della predetta licenza edilizia del 1968 per la realizzazione della villa bifamiliare ancora esistente, con ciò dovendosi intendere che, salva la riunione dei titoli dominicali o la ricorrenza di altri fatti giuridici idonei, il bene è rimasto e resterà condominiale, non essendo infatti permesso ad alcun condomino di sottrarre i beni comuni alla destinazione loro impressa dagli originari costruttori.

A tale riguardo il giudice di primo grado rimarca che il tetto e le grondaie orizzontali vengono correntemente considerati dalla giurisprudenza come facenti parte delle cose comuni, le quali nella specie hanno avuto tale destinazione in forza della convenzione stipulata dagli originari costruttori: circostanza, questa, che trova riscontro nella licenza edilizia anzidetta, con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art.11 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, nonché dell’art. 31 della L.R. 16 del 2008 in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 880, 1117 e 1122 cod. civ.

In conclusione di tutto ciò, pertanto, secondo il T.A.R. l’Amministrazione Comunale non avrebbe potuto assentire i lavori in difetto dell’assenso degli altri aventi diritto sul bene.

5.2. L’insieme di tali argomenti non convince peraltro il Collegio.

In buona sostanza, secondo il giudice di primo grado ha fondato il proprio ragionamento della sussistenza nella specie di un “condominio” soltanto sulla base della circostanza che il titolo edilizio ha indicato l’edificio come una “villetta bifamiliare”, ricollegando quindi a tale stato delle cose l’applicazione della disciplina del c.d. “condominio orizzontale”.

Per contro, non può rimanere ininfluente l’ulteriore circostanza per cui la villetta anzidetta è stata realizzata su due lotti (nn. 69 e 70) e che, anche al di là che ogni costruzione è dotata del proprio numero civico, ben emerge dagli atti di causa – ed in particolare dalla produzione fotografica dell’A. – che le due costruzioni, ancorché adiacenti, sono collocate su due quote diverse e che sono autonome non solo sul piano architettonico, ma anche su quello strutturale.

L’esame dei titoli di proprietà non consente inoltre di accertare nella specie – con conseguente superamento della presunzione legale di proprietà ex art. 880 cod. civ. – la sussistenza di un muro di c.d. “medianza” comune alle parti, e che – ove pur ciò fosse – rimane in ogni caso assodato che

la sopraelevazione del muro comune costituisce a’ sensi e per gli effetti dell’art. 885 cod. civ. diritto di ogni comproprietario, in ordine al quale non necessita il consenso dell’altro, restando a carico del costruttore le spese per la sopraelevazione medesima e per la sua conservazione (cfr. ivi).

Né va sottaciuto che l’intervento progettato dall’A. non altera comunque la destinazione del muro di “medianza” pretesamente esistente, né lo danneggia e –soprattutto – non impedisce il suo uso al Wurthner.

A ben vedere, inoltre, il tetto dell’edificio che si pretenderebbe condominiale è in realtà formato da due tetti, insistenti sulle rispettive edilità coperte, aventi forma, estensione e altezza diverse, e sono stati anche realizzati con materiali diversi: e – per l’appunto – un lastrico solare non caratterizzato da unitarietà strutturale ovvero da altri connotati costruttivi o funzionali tali da denotare la destinazione complessiva delle aree sovrastanti i vari immobili costituenti nel loro insieme un unicum a servizio e a godimento comune ed indistinto degli stessi, deve ragionevolmente escludersi la sussumibilità della relativa parte dell’edificio nel novero di quelle comuni (così, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 4 novembre 2010 n. 22466).

6.1. Convince viceversa il Collegio la censura rimasta assorbita nel giudizio di primo grado e riproposta in via tuzioristica dal Wurthner circa la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L.R. 6 giugno 2008 n. 16, nonché eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria e di motivazione e difetto del presupposto ed illogicità manifesta: ossia che, sinteticamente, in difformità da tali disposizioni normative il progetto prevede che i muri perimetrali della porzione immobiliare di proprietà A. distino all’incirca 7,15 metri dalle pareti finestrate di proprietà ********.

A fronte dell’eccezione del Comune e dell’A. secondo la quale la disciplina di cui all’art. 9, secondo comma, del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 – segnatamente contemplata nella misura di 10 metri per i nuovi edifici – non si applica alle zone A così come definite dall’art. 2 dello stesso D.M., la Sezione ha disposto un’istruttoria chiedendo al Comune medesimo di produrre agli atti di causa

un certificato di destinazione urbanistica del sito in cui ricade la costruzione A. – ********.

Il documento prodotto certifica che il foglio 8 del mappale n. 972 ricade integralmente nella *******12 del P.U.C. (Piano urbanistico comunale) comprendente l’ambito di conservazione e riqualificazione delle località **** dei *****, *******, ***, Feu … Torre del Mare, nonché secondo il P.T.C.P. – Piano territoriale di coordinamento paesistico (Assetto insediativo) nella Zona ID-MA – Regime normativo di mantenimento, in Zona COL-ISS del P.T.C.P. (Assetto vegetazionale), secondo il P.T.C.P. (Assetto Geomorfologico) in Zona MO-A – Aree assoggettate a regime normativo di modificabilità di tipo-A.

Lo stesso foglio 8, mappale 972, ricade integralmente nella Carta della suscettività al dissesto dei versanti quale PG1 – Area a suscettività al dissesto bassa, è sottoposta integralmente a vincolo paesistico-ambientale a’ sensi del D.L:vo 22 gennaio 2004 n. 42 ed è inoltre assoggettata integralmente a vincolo idrogeologico a’ sensi della L.R. 16 aprile 1984 (peraltro ad oggi abrogata dalla L.R. 3 gennaio 2001 n. 1) e del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267.

Secondo la tesi del Comune e dell’A. l’area in questione ricadrebbe nella Zona A contemplata dall’art. 2 del D.M. 1444 del 1968 in quanto ivi si menzionano “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”, e l’ambito A.12 del P.U.C. di Bergeggi, con superficie territoriale di mq. 540.146 è definito da tale strumento di pianificazione “della grande edificazione residenziale per la seconda casa”, completato da “vaste aree boscate di notevole pregio ambientale, soprattutto sul versante a mare”.

Sempre secondo il Comune il vincolo paesaggistico introdotto sull’area medesima a’ sensi del D.M. 6 aprile 1957 emanato sulla base dell’allora vigente L. 29 giugno 1939 n. 1497 in tal senso dirimente, posto che ivi si definisce l’area stessa di “una bellezza paesistica costituente un quadro naturale unitamente all’isolotto omonimo”.

In dipendenza di tutto ciò, quindi, la distanza di cui trattasi – ossia “la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” – non si applicherebbe al caso di specie, stante la vigenza della disciplina specificamente contemplata relativamente alla zona A “per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni”, laddove – per l’appunto – “le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale”.

Né, da ultimo, andrebbe sottaciuto che la distanza predetta di m. 10 non si applicherebbe se i fabbricati non hanno tra loro pareti contrapposte (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005 n. 5348), stante il fatto che la relativa disciplina non è deputata alla tutela del diritto alla riservatezza, ma alla “salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie”, nella specie non sussistenti (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 354).

Orbene, ad avviso del Collegio risulta innanzitutto infondata la tesi che riconduce l’ambito A.12 – ***** di Porto a “centro storico” per il solo fatto che ivi insiste un vincolo a suo tempo imposto ex L. 1497 del 1939, posto che così argomentando tutte le aree assoggettate a vincolo paesistico risulterebbero automaticamente classificate sotto il profilo urbanistico-edilizio quali zone A.

Del resto, la risalente, ma ancor valida Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3210 dd. 28 ottobre 1967 n. 3210 chiarisce senza ombra di dubbio che l’inclusione di aree nelle zone A concerne segnatamente gli “agglomerati urbani”, e ciò non può dirsi per l’area in questione, stante non solo la sua ben evidente marginalità rispetto al centro urbano di Bergeggi, ma anche – e soprattutto – sia la circostanza che l’art. 28 del P.U.C. la definisce quale ambito della “grande edificazione residenziale della seconda casa, realizzata fra gli anni ’50 e ’90, costituito da grandi condom?ni e ville unifamiliari”, sia l’avvenuta inclusione nel previgente P.R.G. della zona di “Torre del Mare” in zona SR, espressamente equiparata dal Piano stesso a *******

Né – ancora – può convenirsi, sempre in proposito, con la tesi dell’A. secondo la quale il suo progetto sarebbe una mera “sopraelevazione” riconducibile, al più, ad un intervento di “nuova ristrutturazione” e non già di “nuova costruzione”,con la conseguente applicazione in tale ultimo caso soltanto della distanza di m. 10 da corpi antistanti.

Tale tesi risulta infatti smentita dalla giurisprudenza, come ad es. Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011 n.5759, anche sulla scorta di Cass., Civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4413.

Né – ancora – può convenirsi, sempre in proposito, con la tesi dell’A., secondo la quale il suo progetto sarebbe una mera “sopraelevazione” riconducibile, al più, ad un intervento di “nuova ristrutturazione” e non già di “nuova costruzione”, con la conseguente applicazione in tale ultimo caso soltanto della distanza di m. 10 da corpi antistanti.

Va, infatti, in primo luogo evidenziata l’intrinseca contraddittorietà della tesi dell’A. secondo la quale la distanza di m. 10 non si applicherebbe alle ipotesi di “edificio unico”, come – per l’appunto – nel caso in esame, posto che l’A. medesimo ha ben più fondatamente sostenuto per l’innanzi, anche con l’adesione di questo stesso giudice, che l’edificio di cui trattasi non costituisce un “condominio” ma due unità abitative tra di loro autonome.

Ma, soprattutto, è assorbente la constatazione, derivante dalla giurisprudenza dianzi citata, che l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, è norma di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme, e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4413).

6. Va inoltre da ultimo respinto il motivo di appello riguardante la carente motivazione dell’autorizzazione paesaggistica rispetto al contenuto della pianificazione paesaggistica locale, posto che – come ben evidenziato dal giudice di primo grado – non può per certo configurarsi congruamente motivato l’assunto della Commissione locale per il paesaggio secondo il quale “la soluzione progettuale determina un sensibile miglioramento dell’assetto compositivo del fabbricato preesistente”, posto che tale assunto è carente di qualsivoglia giudizio in ordine all’impatto che la nuova realizzazione edilizia avrà sul territorio e che, dalle fotografie e dalle prefigurazioni dello stato di fatto quale risulterà all’esito dei lavori, si ricava che sarà apportato un rilevante mutamento sotto il profilo paesaggistico, la cui compatibilità con i piani vigenti a tale riguardo avrebbe dovuto essere giustificata in modo puntuale.

Per le considerazioni tutte esposte, l’appello va respinto, anche se la pur confermata sentenza va modificata in parte quanto alla motivazione.

7. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.

Va – altresì – dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.L.vo 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello come da motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.L.vo 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per il presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013

Redazione