Esclusione dall’arruolamento nella Polizia di Stato (Cons. Stato n. 2690/2013)

Redazione 17/05/13
Scarica PDF Stampa

Rilevato che:

l’odierna appellante partecipò al concorso indetto con DM 8.11.1996 per il reclutamento di 780 allievi agenti della Polizia di Stato, essendone esclusa con provvedimento del 2.4.1999 perché giudicata inidonea all’esito del colloquio per mancanza dei requisiti psico-fisici ed attitudinali;

proposto un primo ricorso avverso detta esclusione, il Tar lo accolse, prima in sede cautelare e poi nel merito, e l’Amministrazione nel dare esecuzione all’ordinanza e alla successiva sentenza ammise la ricorrente a frequentare il 154° corso di formazione per allievi agenti della Polizia di Stato;

nuovamente esclusa con atto del 12.1.2001, all’esito di un rinnovato accertamento sul possesso dei requisiti attitudinali, il Tar accolse anche la seconda impugnazione, con sentenza 3491/2003 confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione 4086/2008 “nella parte in cui – si legge nella pronuncia di appello, a proposito della sentenza di primo grado – ha correttamente ritenuto viziato da eccesso di potere l’atto di esclusione, perché non ha tenuto conto dei provvedimenti nel frattempo emessi da altri organi del Ministero, a seguito della frequenza della scuola allievi, senza alcuna indicazione delle motivazioni per cui si era ritenuto di discostarsi dalle risultanze positive del corso di formazione medesima”;

in esecuzione della decisione del Consiglio di Stato, ************ dapprima è stata ammessa a frequentare il secondo semestre del 169° corso di formazione per allievi agenti, quindi, con decreto del Capo della Polizia del 29.3.2010, è stata nominata agente della Polizia di Stato con decorrenza dal 24.7.2009;

con il presente ricorso per ottemperanza, preceduto da istanze e diffide, la D. N. lamenta che sia stata data esecuzione solamente in parte al giudicato amministrativo, assumendo che la nomina dovrebbe decorrere dal 2.10.2000 – quale data della prima ammissione con riserva, per effetto dell’ordinanza cautelare emessa nel giudizio proposto avverso la prima esclusione – anziché da quella del 24.7.2009;

sulla base di tale presupposto chiede la ricostruzione della carriera e, sotto forma di domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 112 c.p.a., anche la condanna al pagamento delle retribuzioni e dei contributi ai fini pensionistici per buona parte del periodo compreso tra il 2001 ed il 2009;

Il Giudice di primo grado, con sentenza 8847/2012, ha respinto il ricorso sul fondamentale rilievo che il giudicato non imponesse automaticamente l’ammissione al corso di formazione e all’esito l’inquadramento in ruolo quanto, piuttosto, la rinnovazione del colloquio attitudinale dal cui eventuale esito positivo sarebbe potuto discendere la nomina;

e che, quindi, la domanda avanzata dalla ricorrente non trovi nella statuizione del giudice della cognizione la propria base giuridica;

Rilevato altresì che:

con il presente appello è censurato tale presupposto, sostenendosi al contrario che la pronuncia di annullamento dell’esclusione imponesse all’amministrazione di ammettere la D. N. direttamente al secondo semestre del corso, senza che occorresse reiterare il colloquio attitudinale, e che il combinato effetto ripristinatorio e conformativo del giudicato comporterebbe, sotto ogni profilo, la retrodatazione del rapporto di pubblico impiego;

resiste l’amministrazione eccependo, anche in questa sede, l’acquiescenza prestata dall’appellante al provvedimento di inquadramento del 2010, mai impugnato nei termini, nonché l’inammissibilità della domanda risarcitoria se proposta ai sensi dell’art. 112, alla luce dell’abrogazione del suo originario quarto comma ad opera del decreto correttivo 195/2011, e la sua tardività se avanzata ai sensi dell’art. 30, co. 5, c.p.a., essendo decorso il termine di 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento;

Considerato che:

quanto alla invocata tutela in forma specifica, richiesta attraverso la retrodatazione dell’inquadramento giuridico, va condivisa la valutazione compiuta dal Giudice di primo grado nel senso che l’effetto conformativo del giudicato di annullamento imponeva, nel caso di specie, la reiterazione del colloquio attitudinale (cfr. la decisione del Consiglio di Stato 4086/2008, nel penultimo capoverso della motivazione) e solamente all’esito di tale prova – ove fosse stato positivo, si intende – l’ammissione al corso, a sua volta propedeutica ai fini della nomina e dell’assunzione finale;

va al riguardo ulteriormente precisato come l’annullamento disposto dal Tar e confermato in appello dal Consiglio di Stato fosse stato determinato da un vizio di motivazione dell’atto impugnato secondo una logica strettamente cassatoria, che presupponeva un nuovo esercizio del potere amministrativo dall’esito non garantito, senza che in giudizio fosse stato possibile accertare anche la spettanza della pretesa finale della D. N., ovvero il possesso di tutti i requisiti necessari per la nomina;

tale ricostruzione, degli esatti confini del giudicato formatosi nel caso di specie – più agevole con riferimento alla sentenza di appello, meno per quella di primo grado – conferma come la domanda proposta nella sede dell’ottemperanza tenda invece a dilatare i contenuti e l’ambito del giudizio di cognizione;

si deve inoltre ricordare come la cd. ricostruzione della carriera, quale peculiare esempio di restitutio in integrum, sia stata riconosciuta nei (soli) casi in cui un rapporto di lavoro già in corso fosse stato illegittimamente interrotto, a tutela quindi di interessi oppositivi se non di veri e propri diritti soggettivi; e non anche nelle ipotesi nelle quali il rapporto fosse ancora da instaurare (o fosse ancora del tutto precario) e l’interesse vantato fosse di natura pretensiva o comunque qualificabile alla stregua di un’aspettativa (v., per la distinzione, Cons. ******. Plen. 10/1991 e, più di recente, Cons. St. VI, n. 2735/2008);

Considerato altresì che:

ribadito l’esatto perimetro del giudicato nella fattispecie in esame, ne consegue anche che la domanda risarcitoria proposta in questa sede non può trovare il suo fondamento nell’art. 112 co. 3, dal momento che il danno lamentato dall’odierna appellante non deriva dall’impossibilità di eseguire il giudicato quanto, secondo l’assunto di parte, dal ritardo con il quale l’amministrazione ha nominato la D. N., riconoscendole solamente a distanza di oltre dieci anni requisiti di cui la stessa sarebbe stata già in possesso sin dall’origine della vicenda;

in questa prospettiva, la tutela risarcitoria potrà semmai essere perseguita nelle forme ordinarie, in sede di cognizione, dove dovrà essere approfondita, prima ancora delle spettanza della pretesa sostanziale secondo il noto schema del giudizio prognostico, la questione pregiudiziale di rito se debba applicarsi il termine decadenziale di 120 giorni di cui all’art. 30, co. 5, c.p.a. oppure quello ordinario di prescrizione (siccome) già in corso alla data di entrata in vigore del codice (v. art. 2 delle norme transitorie);

Ritenuto che:

per le ragioni sin qui evidenziate, nessuna della domande proposte può essere accolta;

le spese del giudizio possono essere compensate per metà, in ragione della peculiarità della vicenda, e per la restante parte sono poste a carico della parte soccombente e liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa per metà le spese di lite, condannando ************ a pagare al Ministero dell’Interno la restante parte liquidata in misura pari ad euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013

Redazione