Esame avvocato: idoneità (Cons. Stato n. 254/2013)

Redazione 16/01/13
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FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellato, dottor G. P., ha sostenuto l’esame di abilitazione alla professione di avvocato per l’anno 2011, risultando non ammesso alle prove orali all’esito dello svolgimento degli scritti, per i quali la Terza Sottocommissione istituita presso la Corte d’appello di Cagliari gli ha assegnato punteggi insufficienti.
Avverso tale esito egli ha proposto ricorso dinanzi alla Sezione staccata di Brescia del T.A.R. della Lombardia, lamentando per un verso l’insufficienza e inadeguatezza della motivazione a sostegno del giudizio di inidoneità, e per altro verso l’erroneità di tale giudizio (come documentato mercé la produzione di pareri pro veritate redatti da esperti in ordine alle questioni oggetto delle prove d’esame).
Il T.A.R. adito, provvedendo sull’istanza cautelare proposta unitamente al ricorso, ha disposto con ordinanza nr. 369 del 2012 una verificazione, affidando alla Prima Sottocommissione istituita presso la Corte d’appello di Milano l’accertamento della correttezza o meno della valutazione compiuta dalla Terza Sottocommissione di Cagliarti.
A seguito di appello dell’Amministrazione, con ordinanza nr. 3967 del 2012, questa Sezione ha ritenuto che il provvedimento adottato dal primo giudice, pur avendo formalmente carattere istruttorio e interlocutorio, aveva contenuto satisfattivo della domanda del ricorrente, presupponendo la fondatezza delle doglianze articolate in ricorso e disponendo nella sostanza un riesame mediante nuova correzione degli elaborati relativi alle prove scritte; ciò premesso, e non condividendosi nel merito il richiamato giudizio di fondatezza del ricorso, è stata disposta la “revoca” della verificazione disposta dal T.A.R. e la reiezione dell’originaria istanza cautelare.
Successivamente, in sede di giudizio di merito, il giudice di prime cure ha accolto l’impugnazione del dott. P., sul rilievo: che – malgrado la decisione cautelare di questa Sezione medio tempore intervenuta – la verificazione disposta era stata comunque effettuata, concludendosi in senso favorevole al ricorrente; che, pertanto, non poteva non tenersi conto di tale sopravvenienza ai fini della decisione di merito; che, in conclusione, doveva confermarsi il giudizio di fondatezza delle censure di parte attrice già anticipato in sede cautelare.
2. Avverso tale sentenza del T.A.R. bresciano ha proposto appello il Ministero della Giustizia, deducendo:
– l’erroneità della determinazione di perdurante utilizzabilità della verificazione (essendo stato questa revocata dal Consiglio di Stato, con l’effetto che il T.A.R. non avrebbe potuto tenerne conto, a nulla rilevando che essa si fosse comunque materialmente svolta);
– l’erroneità anche nel merito della decisione, siccome in frontale contrasto con consolidati indirizzi giurisprudenziali in tema di sufficienza del voto numerico a sostegno del giudizio di inidoneità del candidato e di irrilevanza dei pareri pro veritate al fine di sollecitare un non consentito sindacato giudiziale nel merito delle valutazioni tecnico-discrezionali rimessa alla Commissione di esame.
3. Si è costituito l’originario ricorrente, il quale, oltre a contestare nel merito la fondatezza del gravame dell’Amministrazione, ne ha in limine eccepito l’improcedibilità in virtù del disposto dell’art. 4, comma 2-bis, del d.l. 30 giugno 2005, nr. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, nr. 168, sul rilievo che l’interessato, a seguito di invito della stessa Amministrazione, ha nel frattempo sostenuto e superato anche le prove orali, ed all’esito si è iscritto all’albo professionale iniziando a esercitare la professione legale.
4. Alla camera di consiglio del 15 gennaio 2013, fissata per l’esame della domanda cautelare articolata dall’Amministrazione in una col proprio appello, alle parti è stato dato avviso della possibilità di immediata definizione del giudizio ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.
5. Infatti, l’appello è manifestamente fondato.
6. Al riguardo, va in primo luogo evidenziata – al di là di quanto in seguito si dirà in ordine all’inapplicabilità nella specie dell’art. 4, comma 2-bis, della legge nr. 168 del 2005 – l’assoluta irrilevanza, ai fini di un’ipotizzata improcedibilità dell’appello, della condotta dell’Amministrazione la quale si sarebbe attivata consentendo all’istante di completare l’esame e di iscriversi all’albo.
Infatti, tale attività è stata posta in essere all’esito della sentenza oggi impugnata, di accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio e provvisoriamente esecutiva (prima che questa Sezione ne sospendesse l’esecuzione con decreto monocratico nr. 5003 del 2012): donde l’applicabilità del noto principio dell’irrilevanza della spontanea esecuzione che l’Amministrazione doverosamente dia a una sentenza alla stessa sfavorevole, ai fini del giudizio sull’ammissibilità e sulla procedibilità dell’appello che la stessa Amministrazione proponga avverso la medesima sentenza.
7. Ciò premesso, va escluso anche che nella specie l’appello sia divenuto improcedibile per effetto del più volte citato art. 4, comma 2-bis, della legge nr. 168 del 2005 (il quale, come è noto, dispone che: “…Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”).
Al riguardo, va richiamato l’orientamento di questa Sezione nel senso della permanenza dell’interesse alla decisione dell’appello proposto dall’Amministrazione avverso una sentenza che abbia annullato il giudizio negativo formulato sulle prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato sostenute dal ricorrente, qualora l’esito favorevole della rinnovata correzione delle prove scritte e di quella orale non sia sorretto da un unico provvedimento giudiziale, la cui validità ed efficacia siano perdurate per tutta la durata della procedura; ciò in quanto solo in presenza di tale presupposto si verificano gli effetti di stabilizzazione “sostanziale” dell’esito favorevole delle rinnovate valutazioni operate dall’Amministrazione previsti dalla disposizione sopra richiamata (cfr. sent. nr. 2557 del 4 maggio 2010).
7.1. Nel caso di specie, la procedura di esame è proseguita sulla base di un giudizio di idoneità reso in esito a “verificazione” disposta dal primo giudice, che questa Sezione ha ritenuto impropriamente disposta per le ragioni che appresso verranno più analiticamente indicate, disponendone la revoca: con la conseguenza che la nuova correzione degli elaborati relativi alle prove scritte è venuta meno per effetto dell’ordinanza nr. 3967 del 2012 di questo Consiglio di Stato, che non poteva essere semplicemente ignorata in sede di definizione del giudizio di merito (come sembra aver fatto il primo giudice, al di là delle articolate motivazioni addotte a sostegno di tale posizione), in quanto ne derivava il carattere ineluttabilmente “monco” della procedura di esame che oggi l’appellato assume di aver validamente superato.
7.2. Ai rilievi che precedono, di per sé invero assorbenti di ogni altra questione, deve però aggiungersi che nel caso di specie l’inapplicabilità della disposizione ex art. 4, comma 2-bis, della legge nr. 168 del 2005 discende da un’altra rilevante ragione: e, cioè, che la nuova correzione delle prove scritte risulta essere stata eseguita non già dall’Amministrazione in esecuzione di provvedimento cautelare, bensì direttamente dall’organo giurisdizionale attraverso lo strumento della verificazione.
La distinzione non è di poco conto, non potendo attribuirsi rilievo ex se dirimente al fatto che nella specie la verificazione è stata svolta da un organo (la Prima Sottocommissione di Milano) in qualche modo “omologo” a quello che sarebbe stato istituzionalmente preposto a procedere al riesame degli elaborati: ciò che conta è che tutto ciò sia avvenuto in esecuzione di un’ordinanza del T.A.R. la quale a fini istruttori disponeva la detta attività di riesame, laddove il meccanismo di “stabilizzazione” introdotto dalla norma è testualmente riferito all’ammissione o alla ripetizione delle prove di esame compiute, sia pure in esecuzione di ordini del giudice, “da parte della commissione” (e, quindi, dell’Amministrazione nell’esercizio delle proprie ordinarie attribuzioni istituzionali).
Sul punto, peraltro, non è fuori luogo rilevare:
– che, essendo all’evidenza la disposta attività finalizzata a consentire un sindacato giurisdizionale sulla valutazione tecnico-discrezionale compiuta dall’Amministrazione in ordine agli elaborati del ricorrente, ed ammesso che ciò non esorbitasse i noti limiti imposti a tale sindacato, lo strumento più idoneo sarebbe stato quello della consulenza tecnica d’ufficio piuttosto che quello della verificazione (la quale, di regola, ha lo scopo di fornire ausilio al giudice per attività meramente accertative e non involgenti valutazioni di tipo tecnico-discrezionale);
– che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 19, comma 2, cod. proc. amm., l’incarico avrebbe dovuto essere affidato a soggetto “estraneo alle parti del giudizio”, prescrizione che non appare pienamente rispettata nel caso che qui occupa (per tacere della necessità di garantire a tutte le parti del giudizio il contraddittorio, anche attraverso la nomina di propri consulenti).
8. In definitiva, la “verificazione” disposta dal T.A.R. lombardo ha costituito nulla più che un escamotage per consentire un sindacato giudiziale sul merito delle valutazioni addotte dall’Amministrazione a sostegno del giudizio di inidoneità, al di fuori dei limiti in cui un tale sindacato è ammissibile.
Infatti, una volta “epurata” la presente vicenda processuale del suindicato espediente e delle sue ricadute, residuano unicamente le censure articolate in primo grado dal ricorrente, in relazione alle quali è sufficiente riportarsi alla già citata ordinanza cautelare di questa Sezione nr. 3967 del 2012, laddove sono richiamati i noti indirizzi in tema di sufficienza del voto numerico e non necessità di esplicitazioni di qualunque tipo, anche sotto forma di segni grafici, del percorso valutativo seguito dalla Sottocommissione, nonché di inidoneità di pur autorevoli pareri di esperti ad aprire la via – fuori dei casi di macroscopici errori o incongruenze, che nella specie non si ravvisano – ad un riesame del merito da parte dell’organo giudiziale.
Da tali indirizzi il Collegio non vede ragione per discostarsi, e pertanto va ribadita l’insussistenza di elementi che autorizzassero il primo giudice, sia pure mercé il ricorso a strumenti “istruttori”, ad operare un riesame di merito del tipo suindicato.
9. In considerazione dei rilievi che precedono, s’impone la riforma della sentenza impugnata con la reiezione del ricorso di primo grado.
10. Alla soccombenza segue la condanna alle spese di entrambi i gradi del giudizio, con la quantificazione delle spese di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna il ricorrente, dottor G. P., al pagamento in favore del Ministero della Giustizia delle spese del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 3000,00 oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2013

Redazione