Enti locali – Consigli comunali – Competenze – Criteri di attribuzione – Individuazione (Cons. Stato n. 4192/2013)

Redazione 20/08/13
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FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sez. II, con la sentenza n. 1718 del 28 settembre 2012, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale appellante, per l’annullamento del provvedimento del dirigente del Settore Ambiente e Lavori Pubblici, Ufficio Ambiente del Comune di San Giovanni Rotondo del 19.10.2011, prot. n. 18945, notificato il 20.10.2011, con il quale, a conclusione del procedimento, si è comunicato che non poteva essere accolta l’istanza del ricorrente volta ad ottenere il rinnovo del contratto di concessione di area demaniale per l’installazione di un impianto di frantumazione e selezione inerti in località ************* del 07.11.2000, rep. 4686 e del provvedimento del dirigente del Settore Ambiente e Lavori Pubblici, Ufficio Ambiente del Comune di San Giovanni Rotondo dell’8.11.2011, prot. n. 8541, notificato il 9.11.2011, con il quale il ricorrente è stato invitato a provvedere immediatamente alla rimozione dell’impianto di frantumazione e a porre in sicurezza l’area occupata dallo stesso impianto; nonché per la condanna del Comune di San Giovanni Rotondo a rinnovare il contratto di concessione di area demaniale sino al completamento del progetto.
Il TAR, disattesa l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune in primo grado, fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, come non fosse sussistente il dedotto vizio di incompetenza, trattandosi di un atto di gestione e non ricorrendo pertanto i presupposti di applicabilità dell’art. 42 del d.lgs. n. 267-2000, nonché in considerazione del fatto che la dedotta violazione dell’art. 10 del contratto di concessione del 7.11.2000, in relazione al noto principio del cd. “contrarius actus” non era condivisibile, atteso che la normativa relativa all’ambito di competenza dei dirigenti risultava innovata e modificata rispetto al contesto normativo vigente alla data della originaria concessione dell’area demaniale, poiché il contratto accessivo alla concessione, che costituisce l’ultimo atto del procedimento, è stato siglato in data 7.11.2000 e, viceversa, la nuova normativa di cui al d.lgs. n. 267-2000 è stata pubblicata sulla G.U. del 28.9.2000 ed è quindi entrata in vigore dopo il rituale termine dalla pubblicazione, senza peraltro considerare che la competenza segue il principio tcmpus regit actus.
Il TAR, inoltre, rilevava che l’impugnato provvedimento risultava corredato da adeguata ed esauriente motivazione con riferimento al richiamo all’art. 30 del d.lgs. n. 163-2006; norma ritenuta applicabile anche all’ipotesi di rinnovo di concessione demaniale già in atto.
Per il TAR, infine, è stato ritenuto infondato anche il terzo motivo di ricorso relativo all’ipotizzata violazione dell’art. 10-bis l. n. 241-90, ravvisandosi un caso di applicazione dell’art. 21-octies l. n. 241-90, sia in relazione alla natura meramente formale della censura proposta, sia in relazione alla doverosa applicazione della nuova normativa di cui al d.lgs. n. 163-2006 citata; così come il quarto motivo di ricorso, non potendosi ravvisare contraddittorietà tra una nota meramente interlocutoria e di richiesta integrazione documentale, che non ha neanche natura provvedimentale, rispetto al successivo diniego di rinnovo.
L’appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo:
– Violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267-00 e dell’art. 10 del contratto di concessione del 7.11.2000, rep. n. 4686, e dei principi in tema di riparto della competenza negli enti locali. Difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei fatti. Difetto di motivazione;
– Violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 163-06 e dell’art. 57 del d.lgs. n. 163-06. Difetto di istruttoria;
– Violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241-90 e dei principi in tema di partecipazione al procedimento. Violazione dell’art. 21-octies della l. n. 241-90;
– Difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei fatti. Difetto di motivazione.
Con tali motivi l’appellante riproponeva, in sostanza, le censure contenute nel ricorso di primo grado.
Inoltre, l’appellante riproponeva i motivi di ricorso riguardanti l’illegittimità del provvedimento dell’8.11.2011 non prese in considerazione nella sentenza impugnata:
– Illegittimità del provvedimento dell’8.11.2011 di invito alla rimozione immediata dell’impianto, senza concedere alcun termine all’istante;
– Illegittimità derivata del provvedimento dell’ 8.11.2011, prot. 8541.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale nel quale si riproponeva la censura di inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto rivolto contro atti confermativi di precedenti provvedimenti immediatamente lesivi e non impugnati, censura disattesa dal TAR.
All’udienza pubblica del 4 giugno 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello principale sia fondato; l’infondatezza del medesimo esime il Collegio dall’esame dell’appello incidentale che, pertanto, può dichiararsi improcedibile.
Nel merito dell’appello principale, infatti, si condivide appieno il percorso logico-argomentativo del TAR.
In specifico, in relazione all’eccepita incompetenza, si deve ricordare che la competenza attribuita dal d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ai Consigli Comunali deve intendersi circoscritta agli atti fondamentali dell’Ente, di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre spettano alle Giunte Comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo (Consiglio di Stato, sez. I, 21 ottobre 2010, n. 3894), nell’ambito, tuttavia, di un riparto di competenze tra organi politici e burocratici così come delineato dal Testo Unico citato.
Come noto, il nuovo sistema di riparto di competenze tra organi politici è retto dal principio secondo cui l’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali tassativamente elencati dall’art. 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, poi trasfuso nell’art. 42 del T.U.E.L.
Al Consiglio, organo di indirizzo politico-amministrativo, spetta (anche in virtù del fatto che in esso sono rappresentate tutte le forze politiche, comprese le minoranze) il compito, da un lato, di contribuire attivamente alla formazione e all’aggiornamento del programma politico-amministrativo del Sindaco e della Giunta (funzione di indirizzo), e, dall’altro, di controllare che l’azione di governo sia fedele al programma stesso (funzione di controllo).
Oltre a tali funzioni, di carattere generale, spetta al Consiglio anche l’adozione di una serie di atti fondamentali, attraverso cui si esplica il ruolo di indirizzo dell’organo. Con l’attribuzione di una competenza limitata ad una serie di atti tassativamente individuati, il legislatore ha infatti voluto trasformare il Consiglio da organo con competenza generale e residuale (quale era nel T.U. del 1915) in organo con attribuzioni specificamente individuate ed esclusive.
L’elencazione, peraltro, non esaurisce le sue attribuzioni in quanto altre norme e lo stesso T.U. individuano ulteriori competenze; tuttavia, si tratta di competenze esclusive perché solo il Consiglio può esercitarle.
Con tale scelta il legislatore ha voluto alleggerire la vita istituzionale del Consiglio che risultava notevolmente appesantita da tutta quella miriade di compiti che vi gravavano in virtù della competenza generale e residuale, e conseguentemente, rafforzare il ruolo politico del Consiglio stesso.
Occorre inoltre precisare che gli atti di competenza del Consiglio sono espressamente definiti “fondamentali” dal legislatore, proprio per indicare che si tratta di atti assai significativi e qualificanti per la vita e l’organizzazione dell’ente, che per la loro rilevante incidenza e/o straordinarietà rispetto al flusso quotidiano dei bisogni correnti richiedono l’attenzione del massimo organo.
Per converso, nel sistema delineato dal T.U., la Giunta comunale è l’organo politico esecutivo che compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non rientrino nelle competenze – previste dalle leggi o dallo statuto – del Sindaco, degli organi di decentramento, del segretario o dei dirigenti ex art. 107 del T.U. 267-2000.
In altri termini, diversamente dal passato, spetta alla Giunta una competenza generale e residuale in virtù della quale a tale organo sono attribuite tutte quelle materie che la legge o gli statuti non riservano ad altri organi, sia politici che burocratici, dell’ente locale.
È stato osservato come tale modo di definire le competenze della Giunta comporti delle evidenti incongruenze e delle notevoli difficoltà, non essendo certamente agevole verificare ed individuare ogni volta, in negativo, quali atti non sono assegnati dalla normativa alla competenza del Sindaco, del Consiglio e dei dirigenti. Il problema di delimitazione delle competenze della Giunta, risulta poi particolarmente complesso proprio con riguardo ai poteri attribuiti ai dirigenti, posto che l’art. 107 del T.U. individua in modo negativo e residuale anche la competenza di questi ultimi stabilendo che spettano agli organi burocratici “gli atti e i provvedimenti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non compresi espressamente dalla legge e dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale”.
Poiché sia la Giunta che i dirigenti sono organi cui la legge attribuisce funzioni lato sensuesecutive dell’indirizzo politico, il discrimen tra le due competenze è, dunque, da individuare nella diversa natura dei due organi e nel principio di separazione tra attività politica e attività gestionale. Senza approfondire una tematica sulla quale copiosi sono stati gli interventi di dottrina e in giurisprudenza, in questa sede basti ricordare che la Giunta è un organo di governo dell’Ente locale e pertanto svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, mentre ai dirigenti compete l’attività di gestione tecnica-finanziaria-contabile e l’assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi, o atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo.
Il principio generale che regola il riparto di competenze tra Consiglio, Giunta e dirigenza, applicabile anche alla materia oggetto della presente controversia, relativa al rapporto concessorio tra il Comune e l’appellante, sorto con il “contratto” di concessione di area demaniale per l’installazione di un impianto di frantumazione e selezione di inerti in località “*************” in data 7.11.2000, rep. n. 4686, consente dunque di delineare in modo abbastanza agevole le rispettive sfere di azione e di risolvere le problematiche interpretative poste dalla fattispecie in esame.
Infatti, tenuto conto del ruolo rivestito dal Consiglio nel sistema del T.U., sembra ragionevole ritenere che la competenza a deliberare in materia sia del tutto esclusa, non essendo tale materia attinente alla gestione dei servizi pubblici e, in particolare, alla concessione del servizio, ove in ogni caso la competenza di tale organo si riferisce alla decisione di principio circa il modulo organizzativo da adottare (ad es., concessione e non s.p.a.) e non si estende certamente a tutti gli atti esecutivi di tale scelta, proprio per l’espressa limitazione delle competenze dell’organo elettivo agli atti fondamentali.
Inoltre, tale censura non potrebbe neppure risultare fondata in relazione all’art. 10 del contratto di concessione, poiché un contratto o un atto amministrativo puntuale non possono certamente incidere sulle competenze amministrative, che devono essere oggetto di apposito atto normativo.
Né viene in rilievo nella fattispecie la violazione del principio del contrarius actus, posto che tale principio sostanzialmente richiamato nell’ambito dell’art. 21-nonies della l. n. 241-90 riguarda i provvedimenti di autotutela, genus cui certamente non appartiene l’atto in oggetto che consiste, come detto, in un diniego di rinnovo di concessione.
Pertanto, rientra nelle attribuzioni dirigenziali il potere di negare il rinnovo di un contratto avente ad oggetto la disciplina di un rapporto concessorio in scadenza, atteso che in esso non sono ravvisabili profili che possano ricondursi a scelte strategiche o di indirizzo politico da compiere, atteso che la scelta di affidare il servizio in concessione era già stata effettuata con la delibera n. 82 del 28.6.2000.
Anche gli altri motivi di appello sono infondati.
Infatti:
– il diritto a vedersi accordato il rinnovo del contratto di concessione di servizio pubblico di area demaniale per l’attività di frantumazione e selezione di inerti non può sorgere solo perché tale attività è finalizzata anche al completamento del progetto di risanamento ambientale, in quanto la c.d. gestione del servizio di recupero ambientale delle ex cave site in località ************* in San Giovanni Rotondo è una mansione accessoria rispetto al cardine principale dell’attività dell’appellante, il quale ha ottenuto concessione del suolo costituente l’area di sedime dell’ex cava principalmente per l’istallazione di un impianto di selezione e frantumazione di inerti provenienti da scavi e per i quali il medesimo percepisce un corrispettivo per ogni metro cubo;
– in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in quanto vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (Cons. Stato, Sez. V, 2.2.2010, n. 445, Cons. Stato, Sez. IV, 31.5.2007, n. 2866, Cons. Stato, Sez. V, 8.7.2008, n. 3391);
– non vi è spazio per riconoscere violazioni procedimentali sotto il profilo della contraddittorietà o carenza di motivazione; infatti, se l’Amministrazione opta per l’indizione di una gara pubblica non è necessaria nessuna motivazione e, pertanto nessuna giustificazione circa il disatteso rinnovo contrattuale;
– infatti, il principio del divieto di rinnovo dei contratti di appalto scaduti, stabilito dall’art. 23, l. 18 aprile 2005, n. 62, ha valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni dell’ordinamento. Costituisce principio consolidato che, anche laddove la possibilità di proroga sia prevista nella lex specialis, essa potrebbe, al limite, consentire una limitata deroga al principio del divieto di rinnovo, purché con puntuale motivazione l’Amministrazione dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale. Tale rapporto tra regola ed eccezione si riflette sul contenuto della motivazione. Se l’Amministrazione opta per l’indizione della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria; non così invece se ci si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 novembre 2011, n. 6194);
– tale principio vale sicuramente anche in relazione alle concessioni di servizio e alle concessioni su aree demaniali afferenti al servizio stesso ex art. 30 del Codice dei contratti pubblici;
– tale regola generale rende evidente che l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 10-bis costituisce mero vizio di forma non inficiante la sostanza della decisione, quindi non annullabile ai sensi dell’art. 21-ocites, come correttamente ritenuto dal TAR.
Peraltro, in relazione a tale profilo, deve evidenziarsi che l’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, come modificato dalla l. n. 15 del 2005 (il quale ormai pone in capo all’Amministrazione – e non del privato – l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso) va interpretato nel senso che, onde evitare di gravare la P.A. di una probatio diabolica, il privato non può limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma deve anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la P.A. sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 29 aprile 2009, n. 2737); elementi che, nella specie non sono sussistenti e riguardano comunque aspetti che ricadono nel divieto di rinnovo sopra descritto.
Infine, quanto all’illegittimità del provvedimento dell’8.11.2011 di invito alla rimozione immediata dell’impianto, senza concedere alcun termine all’istante, è evidente che la mancata apposizione di un termine non può inficiare l’atto amministrativo stesso, bensì si riverbera esclusivamente, in modo ragionevole e proporzionato, sulla possibilità di far ritenere l’appellante inadempiente all’ordine e, dunque, sulla possibilità, da parte dell’Amministrazione, di adottare i consecutivi ed opportuni provvedimenti.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Condanna parte appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese di lite del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 5000,00, oltre accessori di legge.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013

Redazione