Emissioni sonore: cessazione utilizzo diffusori e strumenti sonori in discoteca – rilevamenti fonometrici (Cons. Stato n. 2025/2013)

Redazione 15/04/13
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FATTO e DIRITTO

1. Il Settore fisico ambientale del Presidio multizonale di prevenzione (PMP) dell’Azienda USL n. 1 di Taranto eseguiva rilievi fonometrici presso l’abitazione del signor ********* confinante col pubblico esercizio per trattenimento danzante “Pub Sonar”, i quali evidenziavano che in ore notturne erano superati i limiti di tollerabilità dei rumori provenienti dalla discoteca.

Sulla scorta di tali rilievi il Sindaco di Taranto emetteva l’ordinanza 3 settembre 2003 n. 370, con cui disponeva la cessazione entro tre giorni dalla notifica della stessa ordinanza dell’utilizzo nel locale di diffusori e strumenti sonori, nonché ne subordinava l’eventuale riutilizzazione, da autorizzarsi con apposito atto, alla presentazione all’Azienda USL n. 1 di documentazione attestante l’attuazione di tutti gli interventi indicati dal tecnico competente per non rendere possibile il superamento dei limiti prescritti dalla vigente normativa in materia di inquinamento acustico.

Avverso tale provvedimento e gli atti sottostanti il signor D. M., legale rappresentante della Joniostar s.r.l. titolare della discoteca, insorgeva davanti al TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, che respingeva il ricorso con sentenza in forma semplificata 10 febbraio 2004 n. 1108 della seconda sezione.

2. Con atto notificato il 22 marzo 2004 e depositato l’8 aprile seguente il ricorrente in primo grado ha appellato detta sentenza per i seguenti motivi:

I. Pur avendo accolto le censure di inapplicabilità nel Comune di Taranto, sprovvisto di piano di zonizzazione acustica, del limite sonoro c.d. differenziale e del limite assoluto di 45 db relativo alla zona II, il TAR ha ritenuto che ciò non comportasse l’annullamento dell’ordinanza in quanto giustificata dal superamento del valore assoluto di 60 db, mai menzionato nell’ordinanza e negli atti sottostanti, quindi in base ad una ragione non desumibile da tali atti. In realtà, l’ordinanza è stata emessa per il vistoso superamento di limiti non applicabili, non per tre occasionali episodi (sulle 15 misurazioni effettuate) di modesto superamento del predetto valore assoluto, peraltro non comprovato.

II. Nel limitarsi a rilevare genericamente che l’ordinanza “è funzionale alla tutela della salute pubblica”, il primo giudice ha omesso di esaminare la doglianza secondo cui, stante la tipicità del sistema sanzionatorio amministrativo e penale per violazione delle disposizioni in materia di inquinamento acustico, è di per sé illegittima l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente nella stessa materia. L’art. 9 della legge-quadro n. 447 del 1995 consente alla p.a. di ricorrere a siffatte ordinanze esclusivamente quando sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, in via temporanea e motivatamente. Il Comune di Taranto ha disatteso tale normativa, avendo adottato una misura inibitoria sine die, rimuovibile solo con nuovo provvedimento espresso e previ interventi strutturali definitivi, tesi a regolare stabilmente la situazione presa in esame, nonché senza dar conto dell’esistenza delle predette eccezionali ed urgenti necessità, peraltro da escludersi a priori in ragione dell’inapplicabilità di quei limiti il cui ampio superamento era stato erroneamente attribuito all’appellante.

Ugualmente non valutata è la doglianza secondo la quale, poiché i rilevamenti sono stati effettuati nell’abitazione di una sola persona, la p.a. si è arrogata una funzione risolutoria di controversia tra privati non consentita dall’ordinamento; nel contempo, tale circostanza esclude la ricorrenza di ragioni di necessità ed urgenza, in uno con la mancata prova del disturbo alla generalità delle persone non rilevando in senso contrario generici esposti di abitanti, richiamati nella sentenza.

III. La censura di violazione degli obblighi informativi è stata respinta nel rilievo della necessità e urgenza e del fatto che il provvedimento finale non poteva avere diverso contenuto, attesi i risultati univoci e chiari delle rilevazioni fonometriche. Ma l’urgenza è smentita dai 48 giorni decorsi tra la comunicazione del PMP e l’adozione dell’ordinanza, mentre non v’è chiarezza e univocità di quei risultati, avendo lo stesso TAR escluso l’applicabilità di entrambi i limiti che PMP e Comune avevano ritenuto violati. A maggior ragione il contraddittorio avrebbe dovuto essere garantito, tenuto conto della natura discrezionale della valutazione della necessità ed urgenza di tutela della salute pubblica.

IV. La deduzione di incompetenza del PMP, poiché le attività tecniche di prevenzione, vigilanza e controllo ambientale competono all’ARPA, è stata respinta osservandosi che a norma dell’art. 18 della l.r. Puglia n. 6 del 1999 la competenza per le indagini fonometriche competeva al PMP fino all’affettiva attivazione, non dimostrata dal ricorrente, dei dipartimenti provinciali dell’ARPA. Tuttavia, a distanza di cinque anni dall’entrata in vigore della citata legge regionale, istitutiva dell’ARPA, è impensabile che si versi ancora nel regime transitorio e, comunque, l’onere probatorio al riguardo non poteva non far carico all’Amministrazione resistente.

V. Si sosteneva l’inattendibilità dell’indagine perché effettuata a finestre aperte anziché chiuse ex art. 4, co. 2, del d.P.C.m. 14 novembre 1997. Il TAR non ha considerato il criterio legale, osservando che la norma si riferisce solo alla rilevazione del limite differenziale, e lo ha sostituito con la presunzione metagiuridica dell’impossibilità di tenere chiuse le finestre d’estate, senza tener conto che l’obbligo di misurazione a finestre chiuse sussiste nel caso di specie, trattandosi di rilevazione all’interno di ambienti abitativi.

Si deduceva ancora che nell’ordinanza era dichiarato come il disturbo acustico del locale fosse stato verificato “associato al vociare dei frequentatori” e che dalla relazione fonometrica non risultassero esclusi dalla misura i rumori del traffico veicolare sulle strade in prossimità del locale. Il TAR ha rilevato in proposito che dalla relazione del PMP il livello di rumore risultava “ripulito dagli eventi atipici o comunque non imputabili alla sorgente specifica”. In tal modo, però, dalla comparazione tra l’ordinanza e la relazione resta confermato che il vociare dei frequentatori in strada ed il relativo traffico veicolare sono stati inclusi negli eventi imputabili alla sorgente specifica, quasi che il gestore fosse chiamato a rispondere dei comportamenti altrui all’esterno del locale e nelle pubbliche vie.

Il signor ********* ed il Comune di Taranto si sono costituiti in giudizio ed anche in memorie hanno svolto controdeduzioni.

Con ordinanza 18 maggio 2004, n. 2223, è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, avanzata nell’atto introduttivo del giudizio, e nel contempo ai fini della decisione nel merito sono stati disposti incombenti istruttori in ordine alla attuale zonizzazione del territorio comunale, eseguiti in data 16 luglio seguente.

Infine, con memoria del 29 gennaio 2013 il Comune di Taranto ha rappresentato il venir meno dell’interesse alla definizione dell’appello, avendo l’appellante adottato appositi accorgimenti e riaperto la discoteca, però definitivamente chiusa dopo un breve periodo. Ha comunque insistito per il rigetto dell’appello stesso.

3. Ciò posto, non può essere condivisa l’eccezione di improcedibilità dell’appello in esame per sopravvenuto difetto di interesse in relazione alla cessazione dell’attività di cui trattasi, dal momento che non può escludersi la permanenza di interesse alla definizione nel merito della controversia, quanto meno a possibili fini risarcitori.

4. Tuttavia, il medesimo appello risulta infondato.

4.1. Circa il primo motivo, si osserva che non possono essere seguite le tesi difensive del signor C., secondo cui, in primo luogo, il Comune sarebbe dotato di zonizzazione a seguito della deliberazione del Consiglio 27 aprile 1999 n. 62, con la quale sono stati fissati i limiti per ogni zona in funzione della destinazione d’uso, trattandosi atto propedeutico alla successiva mappatura acustica dell’inquinamento in essere ed alla definizione dell’attività di risanamento, ma che esplicherebbe in ogni caso tutti i suoi effetti giuridici sin dalla sua emanazione; ed in secondo luogo, che comunque si applicherebbero i limiti differenziali, esclusi solo in tassativi casi qui non ricorrenti, ovvero, in terzo luogo, il limite massimo di 50 db relativi alla zona B e non quello di 60 db relativo all’aperta campagna.

In ordine al primo punto, la validità della menzionata deliberazione ai fini in questione è smentita dallo stesso Comune, il quale, in esito alla disposizione istruttoria dianzi cennata, nella relazione prot. n. 3926 in datata 3 giugno 2004 ha affermato che la stessa deliberazione concerne l’approvazione di un progetto, poi successivamente adeguato, essendo però ancora “in corso di attivazione le articolate procedure di approvazione ed adozione della proposta di piano di zonizzazione acustica del territorio comunale”, mentre “ad oggi, e fino all’adozione definitiva di tale strumento, (…) si è sempre ritenuto necessario fare riferimento alla normativa nazionale vigente in materia” ossia ai limiti “previsti dal d.P.C.M. 01/03/1991 art. 6 comma 1 pari a: Limite diurno Leq. (A) 70 – Limite notturno Leq (A) 60”.

Gli altri punti confliggono apertamente con puntuali statuizioni della sentenza appellata dal signor D. M., laddove si esclude espressamente l’applicabilità del limite sonoro differenziale ex art. 6, co. 2, d.P.C.M. 1° marzo 1991 e si ritiene rilevante, del pari espressamente, la sola “soglia assoluta” ex primo comma dello stesso art. 6, senza che il signor C. se ne sia a sua volta gravato in via incidentale, in luogo del quale la deduzione in parola, che si traduce in sostanziale doglianza, non è evidentemente ammissibile in quanto avanzata in semplice memoria difensiva.

Tuttavia, il primo motivo d’appello, qui in trattazione, dev’essere ugualmente disatteso perché contraddetto dal dato che nell’ordinanza sindacale impugnata si richiama anche il citato d.P.C.m. 1° marzo 1991 e si espone che “è stato accertato il superamento dei limiti previsti dalla normativa vigente”. E lo stesso attuale appellante riconosce che il limite di 60 db in ore notturne è previsto appunto dalla “normativa vigente” (detto art. 6, co. 1) e che è applicabile alla fattispecie.

Resta perciò irrilevante che nella sottostante relazione del PMP si faccia riferimento al superamento dei valori limite assoluti e differenziali di immissione previsti dagli artt. 3 e, rispettivamente, 4 del d.P.C.m. 14 novembre 1997, questi ultimi riferiti alla classe II (aree destinate ad uso prevalentemente residenziale) di suddivisione del territorio comunale.

Peraltro, detta relazione fa altresì riferimento al superamento dei limiti previsti dall’art. 16 della legge regionale 12 febbraio 2002 n. 3, il quale – per quanto qui rileva – prescrive che “in ogni caso”, quindi indipendentemente dalla zonizzazione acustica del territorio comunale con la classificazione del territorio medesimo mediante suddivisione in zone omogenee di destinazione d’uso, le emissioni sonore delle attività “ricreative svolte all’aperto” (qual è, a quanto è dato sapere, quella esplicata dalla discoteca “Pub Sonar”) non superino, tra l’altro, i 55 db nell’orario 19-24; limite, questo, imposto anch’esso dalla “normativa vigente”, da misurarsi “sulla facciata dell’edificio più esposto”, il cui superamento è stato nella specie accertato nelle ore 23-24 di entrambi i giorni di rilevazione.

A prescindere da quest’ultima considerazione, quanto al fatto che l’indicato limite assoluto notturno di 60 db risultasse superato solo in tre delle misurazioni effettuate, o, per meglio dire, solo in alcuni orari, ciò non attenua la rilevanza delle accertate circostanze, in via logica ben suscettibili di reiterazione, non potendo l’Autorità emanante non tener conto di esse al fine di valutare l’imminente pericolo per la salute dei residenti nelle abitazioni viciniori e la conseguente situazione di emergenza.

Inoltre, proprio la mancanza di piano di zonizzazione acustica, il quale avrebbe reso applicabili limiti più rigorosi, il dato che l’area interessata fosse di fatto residenziale, il periodo estivo, che costringeva gli abitanti a tenere aperte le finestre, e la sistematicità (cioè non occasionalità) dell’attività in questione a maggior ragione evidenziavano la necessità e l’urgenza indilazionabili di agire per tutelare la salute pubblica dall’inquinamento acustico, compromessa dall’emissione di rumore superiore a ripetuto limite massimo di 60 db valido in qualsiasi zona, compresa l’aperta campagna, quindi in ogni caso di per sé intollerabile.

E’ evidente, poi, come la sorgente di tali rumori fosse inequivocabilmente la discoteca, sia pure all’esito di tre misurazioni su quindici; misurazioni la cui correttezza non può ritenersi discutibile in ragione dell’inclusione nella fonte sonora considerata del rumore antropico prodotto dagli avventori, e non solo quello prodotto dalle strumentazione musicali, stante la stretta connessione di tale rumore proprio e soltanto con l’attività di discoteca, nel cui ambito deve pertanto ritenersi costituire elemento dell’emissione pregiudizievole.

3.2. In merito al secondo motivo, con cui si lamenta il mancato esame da parte del primo giudice di varie doglianze, va premesso che nel processo amministrativo il difetto di motivazione della sentenza di primo grado non rileva autonomamente, con riguardo all’insieme delle censure svolte con il primo motivo di ricorso in primo grado, potendo la relativa censura convertirsi al più in una denunzia di omessa pronuncia cui consegue l’esame integrale delle corrispondenti doglianze in sede di appello.

In proposito, si osserva che, come giustamente rilevato dal Comune, la previsione di sanzioni amministrative e penali non esclude la possibilità del sindaco di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, privi di carattere sanzionatorio e diretti invece a far fronte ad una situazione di emergenza in materia di emissione sonore, specificamente previsti dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995, come del resto dà atto lo stesso appellante.

Nella specie, la prescritta situazione di emergenza risulta dalla motivazione dell’ordinanza sindacale: riscontro di “disturbo acustico” a livello tale da costituire pregiudizio per la salute degli abitanti del vicino condominio. Dalla relazione relativa ai richiamati rilevamenti fonometrici, quindi validamente per relationem, risulta altresì che la questione era stata oggetto di esposto da parte di quel condominio, sicché l’intervento sindacale si rendeva doveroso, oltreché imposto dalla natura stessa del bene “salute” da tutelare.

D’altra parte, la norma, non prevedendo parametri numerici o di estensione, non richiede che il fenomeno dell’inquinamento acustico incida su una più vasta collettività al fine di definire “pubblica” la salute la cui tutela appaia improcrastinabile.

Né sussiste la violazione di tale norma poiché la disposta misura inibitoria si porrebbe in contrasto con la temporaneità delle “speciali forme di contenimento o di abbattimento” del rumore che essa consente di ordinare, stante la definitività degli interventi strutturali all’esecuzione dei quali si subordina il riutilizzo dei diffusori e degli strumenti sonori, previo apposito provvedimento autorizzativo. L’ordinanza sindacale contestata dispone, è ben vero, l’attuazione di “tutti gli interventi indicati dal tecnico competente necessari perché non sia in alcun modo possibile il superamento dei limiti prescritti dalla vigente normativa in materia di inquinamento acustico”, ma per un verso non prescrive che siffatti interventi si traducano in modifiche “definitive”, “stabili” e “strutturali”, non potendo escludersi che essi consistano in accorgimenti tecnici temporanei idonei comunque a riportare a norma le emissioni, quali dispositivi di regolazione del volume da applicare a diffusori e strumenti sonori, diversa collocazione di questi o posizionamento di schermature mobili; e per altro verso la temporaneità dell’inibizione sta nella previsione un termine finale, rimesso alla tempestività con la quale siano adottate le misure individuate come necessarie allo scopo dal tecnico competente.

Neppure può ragionevolmente sostenersi che la circostanza dell’effettuazione dei rilevamenti presso l’abitazione di una sola persona deponga per la mancata prova di pregiudizio alla generalità delle persone e dimostri, altresì, come il Sindaco abbia inteso svolgere una non consentitagli funzione risolutoria di controversia tra privati.

Circa il primo aspetto, si rinvia a quanto innanzi.

Circa il secondo, basta opporre che la scelta dell’abitazione del signor C. è stata determinata dal fatto che dalla “intervista con i ricettori” tale abitazione risultava la più disturbata; per questo non può ritenersi che il Comune abbia agito a tutela di un privato piuttosto che della salute pubblica, com’è invece di fatto comprovato anche altro esposto, in atti, da parte di numerosi cittadini residenti nella stessa via del condominio in questione e strade limitrofe.

3.3. Non è condivisibile la censura di violazione degli obblighi informativi, reiterata col terzo mezzo d’appello: il dato che l’ordinanza sia stata emessa a distanza di 48 giorni dalla data recata dalla relazione del PMP, di cui peraltro non risulta la data di ricezione, semmai rafforza l’urgenza di provvedere, nel perdurare della stagione estiva e dell’attività di discoteca.

Giustamente, poi, il TAR ha ritenuto che il provvedimento finale non poteva avere diverso contenuto in ragione dei risultati comunque univoci delle rilevazioni fonometriche circa il superamento del valore assoluto residuale di 60 db, sopra indicato, con conseguente incidenza sulla salute pubblica, onde l’irrilevanza ai sensi dell’art. 21 octies, co. 2, della legge n. 241 del 1990 della dedotta violazione degli obblighi procedimentali qui in parola.

In ogni caso, una volta ritenuta legittima l’ordinanza sindacale in relazione alla ricorrenza di urgenza e necessità, va da sé che tale urgenza giustifica anche la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

3.4. In ordine al quarto motivo secondo cui, in relazione alla censura svolta in primo grado di incompetenza del PMP, sarebbe stato onere dell’Amministrazione resistente comprovare la vigenza del regime transitorio di cui all’art. 18 della legge regionale 22 gennaio 1999 n. 6 (che dispone la soppressione del PMP solo a seguito della comunicazione dell’entrata in funzione dei singoli dipartimenti provinciali dell’istituita ARPA – agenzia regionale per la protezione dell’ambiente –, cui sono affidati gran parte compiti degli stessi PMP), atteso il decorso di ben cinque anni dall’entrata in vigore della legge, non può non convenirsi come, di contro, in base al principio generalissimo di cui all’art. 2697 cod. civ., di indiscussa applicazione anche nel processo amministrativo (come oggi dà atto dall’art. 64, co. 1, cod. proc. amm.) fosse a carico del ricorrente dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto sui quali la censura si fondava, ossia l’effettiva soppressione del PMP. Né quest’ultimo evento poteva verificarsi se non con atto formale, comportante la conseguente totale privazione di mezzi e personale, tenuto anche conto dell’assegnazione alle aziende usl, tramite istituiti servizi di prevenzione, delle funzioni non trasferite all’ARPA; pertanto, l’avvenuta soppressione era già di per sé esclusa proprio dall’attività svolta con mezzi e personale dal medesimo organo tecnico.

3.5. Va disatteso anche il quinto ed ultimo motivo.

La dedotta inattendibilità dell’indagine, in quanto effettuata a finestre aperte anziché o anche a finestre chiuse, si basava sul disposto dell’art. 4, co. 2, lett. b), del d.P.C.m. 14 novembre 1997, ossia di norma riguardante il valore limite differenziale di immissione già ritenuto dal TAR inapplicabile alla fattispecie esaminata in assenza di zonizzazione acustica comunale. Tale deduzione era perciò stesso infondata. D’altra parte, la stessa norma prevede che i valori differenziali non si applichino quando il rumore sia inferiore a diverse soglie diurne e notturne per come misurato nelle due distinte ipotesi di finestre aperte (a) e chiuse (b), sicché non impone affatto l’obbligo di procedere alla misurazione esclusivamente a finestre chiuse oppure con entrambe le metodologie.

Non senza dire che proprio il rilevamento a finestre aperte è coerente con la misurazione dei limiti assoluti di cui all’art. 6, co. 1, d.P.C.m. 1° marzo 1991 (compreso, quindi, il limite notturno residuale di 60 db, valido, giova ribadire, per “tutto il territorio nazionale”), i quali “si applicano per le sorgenti sonore fisse” ed esprimono, cioè, valori limite di emissione come definiti dall’art. 2, co. 1, lett. e), della legge n. 447 del 1995, quindi da misurarsi in prossimità della sorgente stessa, non già di immissione di cui alla successiva lettera f), da misurarsi in prossimità dei ricettori. Peraltro, quand’anche si vertesse in questa seconda ipotesi, neppure in tal caso sarebbe ravvisabile il precipuo obbligo del rilevamento a finestre chiuse, poiché la norma riferisce il valore limite all’immissione sia “nell’ambiente abitativo” che, alternativamente (“o”), “nell’ambiente esterno”.

Quanto all’associazione al rumore derivante dalla musica ad alto volume di quello prodotto dagli avventori, vale quanto già esposto in precedenza.

Quanto, infine, all’inclusione del rumore derivante dal traffico veicolare, bene ha osservato il primo giudice che l’assunto è smentito dall’affermazione contenuta nel rapporto tecnico, secondo cui il livello finale è stato calcolato, mediante software, per come “ripulito degli eventi atipici o comunque non imputabili alla sorgente specifica”.

4.- In conclusione, l’appello non può che essere respinto.

Tuttavia, nella complessità della controversia, almeno in parte addebitabile alla circostanza che il Comune di Taranto non si era all’epoca dotato di piano di zonizzazione acustica, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2013

Redazione