È nullo il preliminare di locazione se generico e senza corrispettivo (Cass. n. 17324/2012)

Redazione 11/10/12
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Svolgimento del processo

1. La S.G.S. – ******à Gestione Scolastica srl ricorre per la cassazione della sentenza n. 4501/06 del 19.10.06 della corte di appello di Roma, con cui è stato rigettato il suo appello avverso la sentenza con cui il tribunale di Viterbo aveva respinto la sua domanda di danni, avanzata nei confronti della cedente di ramo d’azienda Nuova Tuscia srl, per inadempimento di un obbligo a contrarre, contenuto nella complessiva scrittura di cessione, avente ad oggetto la stipula di un contratto di “comodato e/o affitto” di locali necessari per l’esercizio dell’attività scolastica gestita dalla prima. Resiste con controricorso l’intimata; e, per l’udienza del 20.9.12, la ricorrente illustra le proprie doglianze con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., mentre i difensori di entrambe le parti prendono parte alla discussione orale.

 

Motivi della decisione

2. La ricorrente sviluppa sei motivi – i primi tre dei quali corredati da un quesito di diritto – e:
– con un primo – di “violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione al criterio di interpretazione soggettiva della delibera del 12.5.94 e degli atti prodromici alla stipula dell’art. 4 del contratto di cessione di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.” – si duole del mancato rilievo, ai fini dell’interpretazione della clausola contrattuale in questione, dato agli atti unilaterali della cedente anteriori e preparatori del contratto ed al riferimento alle disposizioni civilistiche ed amministrative finalizzate al riconoscimento legale dell’attività da svolgere tramite il ramo d’azienda ceduto; e conclude con un quesito di diritto;
– con un secondo – di “violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. in relazione all’art. 4 del contratto di cessione di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.” – lamenta la medesima omissione in relazione alla diversa e sussidiaria norma dell’art. 1367 cod. civ.; e conclude con un quesito di diritto;
– con un terzo – di “violazione e falsa applicazione dell’art. 1371 c.c. per la mancata considerazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti nell’interpretazione dell’art. 4 della cessione di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.” – censura l’omessa valutazione di un equo contemperamento degli interessi, comunque necessaria in presenza di clausole contrattuali dal contenuto rimasto oscuro in applicazione degli altri criteri di ermeneutica contrattuale;
– con un quarto – di “insufficiente motivazione in ordine alla pretesa assenza nella delibera del 12.5.94 di elementi da cui evincere l’autorizzazione da parte dei soci della Nuova Tuscia srl alla stipula di contratti di utilizzazione del patrimonio immobiliare, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.” – contesta l’affermata carenza di specifica autorizzazione all’amministratore alla stipula di contratti di utilizzazione del patrimonio immobiliare;
– con un quinto – di “insufficiente motivazione in ordine a quali siano i capi della sentenza di primo grado a non essere stati oggetto di specifica censura da parte dell’appellante, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.” – nega di non avere sottoposto a gravame tutte le argomentazioni sviluppate nell’appellata sentenza di primo grado;
– con un sesto – di “contraddittoria motivazione in ordine alle ragioni della dedotta alternatività del comodato rispetto alla locazione ed in ordine alla rilevanza della compagine sociale delle due società ai fini del decidere, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.” – adduce avere non congruamente la gravata sentenza ribadito la persistenza dell’indeterminatezza od indeterminabilità dell’obbligo a contrarre pur dopo l’avvenuta stipula di un contratto di locazione: ribadendo invece di avere ampiamente sviluppato nell’atto di appello – e soprattutto nella comparsa conclusionale di secondo grado – che, in virtù delle complesse vicende anteriori alla cessione del ramo d’azienda, il corrispettivo non poteva considerarsi un elemento essenziale del futuro contratto. 3. Dal canto suo, la controricorrente Nuova Tuscia srl diffusamente confuta le argomentazioni della ricorrente: quanto ai primi tre motivi, ribadendo la correttezza della valutazione di irrilevanza, ai fini dell’interpretazione del contratto, degli atti unilaterali preparatori o della normativa civilistica o amministrativa, ma pure contestando l’applicabilità degli artt. 1367 e 1371 cod. civ.; quanto agli ultimi tre motivi, eccependo la mancata formulazione del momento di riepilogo o sintesi previsto dal capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ. e comunque sommariamente contestando la fondatezza delle addotte doglianze di vizio motivazionale.
4. Va premesso che alla fattispecie si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.:
4.1. tale norma è stata introdotta dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e resta applicabile in virtù del comma secondo dell’art. 27 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera dell’art. 47, comma 1, lett. d), della legge 18 giugno 2009, n. 69, in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma quinto, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);
4.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v. espressamente: Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 3 agosto 2012, n. 13935);
4.3. quanto ai quesiti previsti dal primo comma di tale norma, in linea generale:
– essi non devono risolversi né in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un., 11 marzo 2008, n. 6420), né in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., B maggio 2008, n. 11210);
– in altri termini (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704), essi devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339):
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;
4.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che, per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1° ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).
5. In applicazione di tali criteri ai quesiti formulati nella fattispecie, sono inammissibili i motivi relativi ai vizi motivazionali, cioè il quarto, il quinto ed il sesto, non essendo quelli seguiti da alcun momento di sintesi o riepilogo coi rigorosi requisiti di cui al precedente punto 4.4.
6. I motivi dal primo al terzo, nella parte in cui possono ritenersi avere i relativi quesiti in sostanza rispettato i rigorosi requisiti di cui al precedente punto 4.3, vanno poi trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi: ma sono infondati. Al riguardo:
6.1. in punto di diritto, va premesso che:
6.1.1. è ben vero che in dottrina si segnala l’esigenza – riscontrandone i sintomi anche nella giurisprudenza di questa Corte (con il richiamo, ad es., a Cass. 6 febbraio 2007, n. 7500, ovvero a Cass. 9 maggio 2008, n. 11561) – di maggiore considerazione per i canoni della teoria giuridico-ermeneutica (a discapito della prevalente e tradizionale giurisprudenza logico-analitica) e, quindi, di una valorizzazione dei canoni precomprensivi del giudice del merito in una valutazione circolare di natura triadica (tra soggetto interpretante, contesto e oggetto dell’interpretazione): con la conseguenza di attribuire pregnante rilievo alla c.d. ermeneutica Correttiva, che esclude la tradizionale limitazione dell’interpretazione stessa al mero dato testuale e suggerisce, al contrario, di inserirlo in un più complessivo coacervo di condotte, Comportamenti. e riferimenti, del quale quello rappresenta certo il più importante, ma uno solo, degli elementi di determinazione dell’effettiva volontà negoziale;
6.1.2. non essendo questa la sede opportuna per adeguati approfondimenti della teoria (pure animata dall’intenzione di un significativo adeguamento delle tradizionali categorie ermeneutiche alle moderne esigenze dell’ordinamento), deve però rilevarsi che in ogni caso lo stesso doveroso ossequio ai canoni degli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (piuttosto che al biasimato ricorso a quelli dell’art. 12 disp. prel. cod. civ.) esige che, per quanto possa attribuirsi un più intenso rilievo al contesto in cui il contratto scritto si colloca quale punto più rilevante – ma appunto non esaustivo – di identificazione dell’autoregolamentazione voluta dalle parti, comunque non si possa prescindere, ove esso appunto esista, da un testo scritto dotato di un minimo di specificità e concretezza;
6.1.3. d’altro canto, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v.: Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; Cass. 1° aprile 2011, n. 7557; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2109);
6.1.4. per di più, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 cod. civ., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico: pertanto, l’adozione dei predetti criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenuto negoziale mediante l’individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli espressamente contemplati nel contratto o mediante l’eterointegrazione dell’assetto negoziale esplicitamente previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro interesse (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; sulla prima parte, v. altresì, tra le molte, Cass. 22 marzo 2010, n. 6852, ovvero Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660);
6.1.5. ed anche il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall’art. 1367 cod. civ., avendo carattere sussidiario, può e deve trovare applicazione solo quando siano già stati correttamente utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo (per tutte: Cass. 20 dicembre 2011, n. 27564): sicché l’oggettiva inidoneità del tenore testuale del contratto ad individuare un’effettiva volontà negoziale non può essere sopperita da quei criteri, meramente integrativi;
6.1.6. e ciò, in quanto il limite intrinseco dell’operatività dell’ermeneutica correttiva riposa nella oggettiva inidoneità della manifestazione di volontà, a maggior ragione se avutasi nella forma scritta, a dare concreto contenuto all’oggetto delle obbligazioni che si pretendono assunte e che, per essere tali, devono possedere necessariamente un’idonea ed oggettiva concretezza;
6.2. in applicazione di tali principi alla fattispecie:
6.2.1. una volta esclusa, per l’inammissibilità delle relative censure di cui al punto 5, la possibilità di verificare un eventuale vizio motivazionale, occorre allora stabilire se integri o meno un errore nell’applicazione dei canoni ermeneutici la conclusione della corte territoriale sull’esclusione di determinatezza e determinabilità del tipo di contratto, del suo oggetto concreto, della sua durata e del corrispettivo, seguita. dall’esclusione della applicabilità degli altri criteri ermeneutici, quand’anche intesi in senso dichiaratamente correttivo;
6.2.2. ma deve rilevarsi che è immune da vizi logici e giuridici il ragionamento con il quale la corte territoriale esclude f a fini ermeneutici correttivi – la rilevanza integrativa alle delibere di una delle società contraenti, siccome effettivamente estranee alla manifestazione di volontà concretamente avutasi in sede di redazione del testo finale e stipula del contratto;
6.2.3. altrettanto correttamente la corte territoriale esclude – ai medesimi fini – la rilevanza, ai fini dell’interpretazione integrativa dell’oscuro ed ambiguo tenore contrattuale, della generale disciplina dell’esercizio di attività scolastica, integrando essa soltanto il quadro normativo di riferimento e non apparendo essa in grado di definire, nella concreta fattispecie e con apprezzabile grado di concretezza, tutti gli elementi essenziali del futuro contratto sopra indicati, ognuno dei quali è indispensabile per configurare un’obbligazione ben determinata a carico della parte indicata come inadempiente e per il risarcimento del cui preteso inadempimento si agisce;
6.2.4. infatti, in base al tenore testuale della clausola contrattuale oggetto di interpretazione, la cedente, odierna controricorrente, aveva assunto l’obbligo “di concludere con la parte cessionaria un contratto di comodato e/o affitto per i locali che occorreranno all’esercizio della specifica gestione scolastica”;
6.2.5. ed è di immediata evidenza che già di per sé un tale tenore letterale può bene fondare la conclusione – raggiunta quindi dalla corte territoriale con ragionamento congruo e logico – della totale carenza di possibilità di individuare il tipo contrattuale oggetto del preteso obbligo, visto l’impiego del grafema “e/o”, che indica contemporaneamente compresenza ed alternatività, in relazione a due tipi contrattuali, connotati un primo da un’istituzionale onerosità a fronte di complesse normative di tutela del conduttore e l’altro, tutto al contrario, da una radicale gratuità a fronte di ampi poteri di recupero immediato dei beni in capo al comodante; e tale incertezza assoluta sullo stesso tipo contrattuale eliderebbe in radice la determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione dedotta in contratto e del cui inadempimento oggi si tratta;
6.2.6. ma, quale argomento dirimente, deve osservarsi che mancano del tutto pure la descrizione della durata, del concreto o specifico oggetto (con ubicazione, dimensioni e caratteristiche del bene da locare “e/o” concedere in comodato) e dell’eventuale corrispettivo (per il caso si fosse giunti ad una locazione): essendo evidente come il richiamo a “i locali che occorreranno all’esercizio della specifica gestione scolastica” rimanga irrimediabilmente vago e generico; e che neppure la concreta individuazione di tali imprescindibili elementi poi avutasi con il successivo contratto di locazione effettivamente intercorso tra le parti può valere a colmare tali originarie lacune, per la determinante circostanza della declaratoria di annullamento di quello per conflitto di interessi e quindi per il vizio che ha inficiato la relativa manifestazione di volontà, tanto da renderla inidonea quale punto di riferimento ab estrinseco di quella precedentemente, ma troppo genericamente, manifestata nel primo contratto.
7. In conclusione, è correttamente qualificato nullo per indeterminabilità dell’oggetto – e non vi è quindi inadempimento delle obbligazioni che vi si vorrebbero ricollegare, tale da fondare un diritto al risarcimento – il contratto con cui una parte si impegni genericamente a stipulare un futuro contratto di concessione del godimento di locali genericamente come necessari per lo svolgimento di un’attività, quando sia prospettato, in primo luogo, alternativamente che tanto possa avvenire con o senza corrispettivo e, soprattutto, quando manchi la descrizione dei beni, l’indicazione della durata e, per il caso di contratto oneroso, il corrispettivo del godimento; né potendo giovare la considerazione di manifestazioni di volontà di una od entrambe le parti anteriori al contratto, se non trasfuse nel suo tenore letterale con apprezzabile grado di concretezza, ovvero del quadro normativo di riferimento, ove da esso non si ricavino con analoga concretezza i detti elementi essenziali.
8. Il ricorso va conclusivamente rigettato; ma – da un lato – la circostanza che i rigorosi requisiti per l’ammissibilità dei motivi di vizio motivazionale si siano consolidati in forza di giurisprudenza di legittimità successiva al ricorso e – dall’altro lato – la riconduzione dell’incertezza indotta dai visti vizi originari del contratto alla condotta di entrambe le parti integrano giusti motivi per una totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, addì 20 settembre 2012.

Redazione