È legittimo sostituire il dipendente con un apprendista se l’azienda è in difficoltà (Cass. n. 2874/2012)

Redazione 24/02/12
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Legittimamente la ditta datrice di lavoro può sostituire il lavoratore a tempo determinato con un apprendista per lo svolgimento delle medesime mansioni, al fine di risparmiare sul costo della manodopera se il licenziamento è effettivamente determinato da effettive esigenze di contenimento dei costi, giustificate da concrete difficoltà nell’impresa. Lo ha asserito la Corte di cassazione, nella sentenza 24 febbraio 2012, n. 2874. La giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si verifica ogni volta che sì presenta la necessità di sopprimere determinati posti dì lavoro a causa di scelte attinenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento dì essa con conseguente e inevitabile licenziamento dei lavoratori che ricoprano detti posti e che non possano essere impiegati diversamente. Rientra, pertanto, nella fattispecie di cui alla seconda parte dell’art. 3 L. 604/1966 (recesso per giustificato motivo oggettivo) l’ipotesi di un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni – non meramente contingenti – influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, “senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una volta accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro, ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi da questa oggettivamente giustificata”.

 

 

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 18 luglio 2008 N.G. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Ancona n. 257/08, pubblicata in data 22 maggio 2008, con cui la Corte respingeva l’appello proposto dal medesimo N. avverso la sentenza n. 829/07, emessa in data 14.11.2007 dal Tribunale di Ancona, in funzione di Giudice del Lavoro, confermando integralmente la decisione di primo grado.

In particolare, la Corte di merito ha ritenuto così come il Tribunale – l’illegittimità del licenziamento intimato dalla F.C.E. Forniture Componenti Elettronici di **** nei confronti di V.S., non sussistendo i presupposti del dedotto giustificato motivo oggettivo del recesso, tenuto conto che la lavoratrice era stata sostituita con un’apprendista per lo svolgimento delle medesime mansioni, al fine di risparmiare sul costo della manodopera. Di conseguenza la ditta datrice di lavoro veniva condannata al pagamento della indennità sostitutiva della reintegra – come richiesto – in misura pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con gli accessori come per legge, oltre al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino alla data di pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra, con gli accessori di legge e regolarizzazione della posizione assistenziale e previdenziale.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre N.G. con tre motivi. Resiste V.S. con controricorso.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso da ritenersi ammissibile, riguardando detto motivo la legittimità del recesso alla luce della normativa di riferimento e non una mera valutazione dei fatti di causa, diversa da quella operata dal Giudice di merito – N.G., denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 circa la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, lamenta che il Giudice di secondo grado, come quello di primo, non abbia tenuto conto, nel pervenire alla impugnata decisione, che il licenziamento in oggetto era legato all’aumento costante dei costi, alla grave crisi aziendale – come confermato dalla testimonianza della consulente della ditta (riprodotta in ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza) -, che aveva portato al trasferimento di parte della produzione in (omissis) ed alla successiva cessazione dell’attività nel marzo 2006. Tale situazione lo aveva inevitabilmente obbligato ad intevenire sulle parti rigide del bilancio ed, in particolare, sui costi per il personale, tant’è che, nella specie – contrariamente all’assunto del Giudice d’appello – non si era provveduto alla semplice sostituzione di un dipendente con un apprendista ma ad una modifica dell’assetto produttivo mediante la sostituzione di tre operai con due apprendisti. Il motivo è fondato.

La giurisprudenza è unanime nel ritenere che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si verifica ogni volta che si presenta la necessità di sopprimere determinati posti di lavoro a causa di scelte attinenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa con conseguente e inevitabile licenziamento dei lavoratori che ricoprano detti posti e che non possano essere impiegati altrimenti (ex plurimis, in motivazione, Cass. S.U. n. 3353/1994). Rientra, pertanto, nella previsione di cui alla seconda parte della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 l’ipotesi di un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni – non meramente contingenti – influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una volta accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro, ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi da questa oggettivamente giustificata (Cass. S.U. cit; Cass.n. 3127/1986).

Nella specie, la Corte territoriale, pur muovendo dai medesimi presupposti di fatto illustrati dal N., perviene alla conclusione della illegittimità del licenziamento “poichè incontestabilmente evitabile”, ulteriormente specificando che “l’assunzione di un apprendista (o comunque di un nuovo dipendente) per svolgere le mansioni della ricorrente spezza insuperabilmente il legame di causalità tra il recesso datoriale ed una eventuale situazione di (necessaria) riorganizzazione aziendale”.

Ma nella specie – come del resto, se non affermato, certamente non negato dalla stessa Corte territoriale – la prospettazione, da parte del N., di un ridimensionamento del personale (da tre dipendenti a tempo indeterminato a due apprendisti con riduzione del costi) costituisce circostanza di per sè non sovrapponibile alla mera sostituzione di un lavoratore a tempo indeterminato con un apprendista, potendo costituire espressione di una riorganizzazione dell’attività produttiva, considerato anche la dedotta delocalizzazione in (OMISSIS) di un settore dell’azienda e la cessazione dell’attività nel 2006; sicchè, in questo quadro fattuale, potrebbe emergere che il licenziamento della lavoratrice sia stato determinato da effettive esigenze di contenimento dei costi, giustificato da concrete difficoltà nell’impresa, nei sensi indicati dalla giurisprudenza appena richiamata.

Il motivo va, pertanto, accolto con assorbimento degli ulteriori motivi concernenti questioni riguardanti l’obbligo di repechage, l’aliunde perceptum e gli obblighi contributivi.

Ne consegue l’annullamento della impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio per il riesame ad altra Corte di Appello, designata in dispositivo, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Bologna.

Redazione