Doppia condanna per l’amministratore, sia per emissione di fatture false che per dichiarazione fraudolenta (Cass. pen. n. 19025/2013)

Redazione 02/05/13
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Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 22 settembre 2011, la Corte d’appello di Milano ha parzialmente confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Milano del 13 luglio 2010, assolvendo l’imputato da alcuni dei reati contestati con la formula “perchè il fatto non sussiste” e dichiarando non doversi procedere per altri reati per essere gli stessi estinti prescrizione; ha conseguentemente ridotto la pena per i reati residui, confermando la confisca e le statuizione civili pronunciate in primo grado a favore dell’Agenzia delle Entrate.

I reati per i quali veniva ritenuta la colpevolezza dell’imputato riguardano la partecipazione, con ruolo apicale, a due associazioni a delinquere, la prima operante dal 1997 al 2003, la seconda dal 2003 al 2007, le cui attività erano consistite nel creare, grazie ad una pluralità di società, alcune delle quali estere, attraverso fatturazione di operazioni inesistenti, una “frode carosello”, con lo scopo di lucrare proventi derivanti dal rimborso del credito Iva falsamente costituito. Alle imputazioni associative si aggiungevano numerosi altri capi di imputazione relative alla violazione di norme tributarie consumati come reati fine dalle due organizzazioni criminale ad appropriazione indebita. Vi erano, in particolare, una serie di soggetti associati a delinquere, con funzione di collaboratori, amministratori di società “cartiere”, prestanome.

L’oggetto delle operazioni inesistenti era essenzialmente la cessione di licenze d’uso di un database e del relativo software di consultazione, contenente i risultati di aste aventi ad oggetto dipinti di antiquariato. Il meccanismo si svolgeva attraverso l’interposizione di società, anche gestite da fiduciari esteri, che reinvestivano i proventi in altra società, e tramite il rilevante credito di *** consentito dal fatto che due delle società del “carosello” evadevano completamente tale imposta. Quanto al periodo successivo al 2003, il meccanismo di truffa era continuato, con la vendita da parte delle società riconducibili all’imputato delle licenze d’uso delle banche dati in questione a società svizzere, anche esse a lui riconducibili, sebbene formalmente gestite da un fiduciario; tali società svizzere vendevano alla società italiana Internationale Produzioni Aventino s.r.l., che a sua volta rivendeva alla Wep s.r.l., entrambe amministrate da un concorrente nel reato.

La società Wep s.r.l. rivendeva alle società riconducibili all’imputato, facendo ritornare le licenze al primo proprietario maggiorate del prezzo dei vari passaggi e creando, così, un rilevante credito ***.; nel contempo la società Wep s.r.l. agiva da “cartiera”. Le licenze erano anche rivendute a società riconducibili ad altri soggetti, anche esse “cartiere”.

In sede di interrogatorio l’imputato ammetteva gli addebiti, ma smentiva tali ammissioni nel corso del dibattimento, attribuendo la precedente versione dei fatti a un momento psicologico difficile che stava vivendo per la subita carcerazione.

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si rilevano la violazione e l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 8 e 9.

Si lamenta, in sostanza, che l’imputato sarebbe stato condannato due volte, per due distinti reati, in relazione alla medesima condotta sostanziale. E ciò, in violazione dell’esclusione stabilita dall’art. 9 richiamato, il quale dispone che, in deroga all’art. 110 c.p., l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2. Si segnalano dettagliatamente nel ricorso nel ricorso (pagg. 3-5) i capi di imputazione relativi alle doppie condanne che – secondo la prospettazione difensiva – l’imputato avrebbe ingiustamente subito, essendo stato ritenuto, da un lato, concorrente a titolo di amministratore di fatto con l’amministratore di diritto della società che aveva utilizzato fatture per operazioni inesistenti e, dall’altro, come emittente delle medesime fatture nella sua qualità di amministratore di un’altra società.

2.2. – Si deducono, in secondo luogo, la nullità della sentenza impugnata, per erronea applicazione dell’art. 240 c.p., per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla confisca delle quote della società Gabrius Real Estate s.r.l. e degli immobili terreni di proprietà della stessa, nonchè per travisamento delle dichiarazioni del teste G.. Secondo la prospettazione difensiva, anche a voler ammettere – seguendo in questo la motivazione della sentenza – che i beni di detta società siano stati acquistati mediante l’impiego di fondi provenienti da reati di natura fiscale, si tratterebbe comunque di fatti avvenuti prima dell’ottobre 2000 e cioè di quei reati per i quali era già stata dichiarata la prescrizione, venendo, così, a mancare un presupposto indefettibile per la conferma la confisca, ovvero la pronuncia di sentenza di condanna. Si contesta, poi, la valutazione fatta dal giudice di secondo grado delle dichiarazioni di G., perchè questo non avrebbe mai dichiarato, in realtà, che la Gabrius Real Estate s.r.l. fosse il polmone finanziario del gruppo, nè che i beni immobili fossero stati il mezzo per commettere il reato. La difesa sostiene, in conclusione, che la stessa Corte territoriale avrebbe omesso di indicare quali reati sarebbero stati commessi mediante la Gabrius Real Estate s.r.l. e i suoi beni e avrebbe motivato illogicamente, avendo ritenuto che per la commissione di tali reati potesse essere necessario un apporto finanziario iniziale, cosa che sarebbe esclusa dal meccanismo dei predetti rapporti commerciali ricostruito dai giudici di merito (nessun giro di pagamenti e unico flusso finanziario degli enti distributori italiani alle società dell’imputato).

2.3. – Si contestano, con un terzo motivo di ricorso, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla confisca, nonchè la violazione della L. n. 146 del 2006, art. 11, perchè la confisca in questione avrebbe avuto per oggetto quote sociali della Gabrius Real Estate s.r.l., ritenute riconducibili all’imputato nella misura dell’82% circa e, nel restante 18% circa, di pertinenza della moglie dello stesso. Quanto alla sostanziale disponibilità delle quote di minoranza, formalmente di pertinenza della moglie, in capo all’imputato stesso, la motivazione sarebbe illogica, perchè la Corte d’appello si limiterebbe ad affermare che quest’ultimo aveva avuto la piena disponibilità della società, gestita in assoluta autonomia, essendo titolare della quota di maggioranza. Tale argomento – prosegue la difesa – non terrebbe conto della considerazione che chiunque controlla maggioranza di una società ne controlla l’attività e, dunque, dovrebbe essere considerato come sostanziale titolare di tutte le quote sociali; con la conseguenza che si arriverebbe a interpretare la L. n. 142 del 2006, art. 11, nel senso che il quotista di maggioranza ha automaticamente anche la disponibilità delle quote di minoranza.

2.4. – Si rilevano, in quarto luogo, la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, nonchè il travisamento delle dichiarazioni dell’imputato. Ci si riferisce, in particolare, alla condanna relativa all’utilizzazione da parte di Gabrius Real Estate s.r.l., nelle dichiarazioni fiscali 2004 inerenti all’anno 2003, di una fattura per operazioni ritenute inesistenti emessa dalla società Neptune Continental Itd., relativa alla vendita, a favore di Gabrius Real Estate s.r.l., di circa 50.000 piante per un corrispettivo di Euro 9.000.000. Il lamentato travisamento consisterebbe nel fatto che la Corte d’appello aveva affermato che l’imputato aveva ammesso che l’operazione era inesistente ed era stata imposta dalla banca al fine di concedere una linea di credito. Nè l’operazione aveva la finalità di evasione dell’imposta, anche perchè l’acquisto era stato effettivo ed era stato fatto con flussi finanziari reali, resi disponibili dal finanziamento erogato a Gabrius Real Estate s.r.l. dalla banca in questione; inoltre la fattura emessa dalla società era stata integralmente pagata e l’Iva era stata regolarmente versata.

2.5. – Il quinto motivo di ricorso è riferito alla manifesta illogicità della motivazione per il travisamento di prove documentali, costituite, in particolare, dalle attestazioni del pagamento, a favore delle società distributrici estere ************* e *********, negli anni 2004-2006, di ingenti somme da parte di primari operatori internazionali del mercato finanziario e assicurativo. Si lamenta che, sul punto, la Corte distrettuale avrebbe affermato che tali documenti provano solo i pagamenti e non l’effettività della circolazione di alcunchè. Trattandosi, però, di società multinazionali di grandi dimensioni, evidentemente estranee al preteso “carosello fiscale” risulterebbe – secondo la difesa – implausibile il fatto che la cessione di beni e servizi sia inesistente. Nè varrebbe in contrario l’affermazione della Corte territoriale secondo cui alcuni dei documenti portavano entrate e uscite, pressochè contestuali, perchè la contestualità di entrate uscite nulla proverebbe circa la fittizietà del commercio delle licenze. Venuta meno la fittizietà di tale commercio – conclude la difesa sul punto – verrebbe meno l’intero “carosello”.

2.6. – Si rilevano, con un sesto motivo di doglianza, la violazione dell’art. 416 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, perchè i giudici di secondo grado non avrebbero chiarito sufficientemente quale fosse il ruolo di ciascuno dei pretesi partecipanti ( G., P., D., B.) nell’ambito dell’associazione delinquere.

2.7. – Con un settimo motivo di impugnazione, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita di somme di pertinenza della Gabrius Real Estate s.r.l. mediante il meccanismo fraudolento dell’acquisto e del successivo mancato esercizio di opzioni di acquisto di immobili emesse dalla società Interstate SA. Ad avviso della difesa, nessun elemento consentirebbe in concreto di ritenere la stipula di tali contratti di opzione come sostanzialmente fittizia o concepita ex ante al solo scopo di disporre di denari della Gabrius Real Estate s.r.l. Secondo la difesa, anzi, le opzioni erano reali e furono stipulate negli anni 2001-2002, in epoca non sospetta e, nelle intenzioni dell’imputato, avrebbero dovuto essere esercitate, se solo la società avesse potuto disporre delle risorse necessarie. Per giungere a diverse conclusioni la Corte si richiamerebbe alle dichiarazioni del testimone Pr., che – conclude la difesa – non era in realtà informato dei fatti.

2.8. – L’ottavo motivo di ricorso è riferito alla pretesa nullità della sentenza per difetto di motivazione sul rigetto della richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., nella misura di anni 3 e mesi 8 di reclusione, ritualmente proposta e originariamente respinta per difetto di consenso da parte del pubblico ministero, nonchè riproposta ai sensi dell’art. 448 c.p.p., davanti al Tribunale.

Lamenta la difesa che la sentenza impugnata non recherebbe rispetto a tale profilo nessuna motivazione.

2.9. – Con il nono motivo di ricorso, si rileva la manifesta illogicità della motivazione sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e sulla misura della pena, perchè sarebbero insufficienti e illogiche sul punto ragioni quali la continuità nel tempo della consumazione dei reati o l’avvenuto parziale risarcimento del danno in ragione di Euro 100.000.

3. – All’udienza di discussione di fronte a questa Corte, l’Avvocatura distrettuale dello Stato, difensore ex lege della Agenzia delle Entrate, parte civile costituita, ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede il rigetto del ricorso, e nota spese.

Motivi della decisione

4. – Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che le censure proposte appaiono, indipendentemente dalla qualificazione giuridica loro conferita dal ricorrente, per lo più volte a contestare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata.

Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte d’appello, lo stesso ricorrente non offre (cosi come impone l’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso) la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati. Egli si limita, per lo più, a riproporre, senza nuove argomentazioni in punto di diritto e in punto di fatto, rilievi già motivatamente rigettati con le sentenze di primo e secondo grado.

Devono, pertanto, essere preliminarmente richiamati i consolidati e noti orientamenti di questa Corte circa la portata dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e), e comma 3.

4.1. – Va dunque ricordato, in primo luogo, che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e), (ex plurimis, Sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; Sez. 6^, 20 luglio 2011, n. 32878; Sez. 1^, 14 luglio 2011, n. 33028).

4.2 – Quanto, poi, allo specifico profilo della carenza di motivazione, deve rammentarsi il principio secondo cui il giudice del gravame non è tenuto a rispondere analiticamente a tutti i rilievi mossi con l’impugnazione, purchè fornisca una motivazione intrinsecamente coerente e tale da escludere logicamente la fondatezza di tali rilievi (ex plurimis, Sez. 4^, 17 settembre 2008, n. 38824; Sez. 6^, 14 giugno 2004, n. 31080); con la conseguenza che, laddove i motivi di ricorso per cassazione si limitino a ricalcare sostanzialmente le censure già motivatamente disattese in secondo grado, questi devono essere ritenuti inammissibili, perchè diretti a sollecitare una rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.

5. – Prima di procedere all’analitica disamina dei motivi di gravame deve altresì rilevarsi, in punto di fatto, che nel ricorso non vi è una sostanziale contestazione della valutazione fatta dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello circa la non plausibilità della ritrattazione dibattimentale delle dettagliate dichiarazioni confessorie rese dall’imputato in sede di indagini preliminari. Le sentenze di primo e secondo grado contengono, del resto, quanto alla comparazione fra le dichiarazioni confessorie e la successiva ritrattazione dibattimentale, un’analisi puntuale e dettagliata sotto ogni profilo (pagine 15-24 della sentenza impugnata, quanto alle valutazioni del Tribunale; pagine 36-38 della sentenza impugnata, quanto alle valutazioni della Corte d’appello). Si è evidenziato, in particolare, che la giustificazione fornita dall’imputato, secondo cui le dichiarazioni confessorie erano il frutto di una sua situazione psicologica di grande difficoltà derivata dalla carcerazione preventiva subita e dei difficili rapporti familiari, era da ritenere del tutto implausibile. E ciò alla luce dell’estrema lucidità e analiticità delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, che contengono una puntuale ricostruzione di tutti i fatti, dei contesti temporali,dei soggetti coinvolti e, soprattutto, alla luce dei numerosi e specifici riscontri documentali e testimoniali.

La mancanza di un motivo di ricorso per cassazione puntualmente dedicato a tale decisivo profilo ha, dunque, l’effetto di rendere non sufficientemente specifici tutti gli altri motivi di impugnazione inerenti alla responsabilità penale, perchè rende la prospettazione difensiva inidonea, di per sè, a scalfire l’apparato logico- argomentativo della sentenza impugnata.

E ciò, anche a prescindere dalle considerazioni – in larga parte già anticipate sub 4. – circa le altre ragioni di inammissibilità dei singoli motivi di gravame.

5.1. – Manifestamente infondata in punto di diritto è la prima censura, relativa alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9, basata sul rilievo che l’imputato avrebbe ingiustamente subito alcune doppie condanne, essendo stato ritenuto, da un lato, concorrente a titolo di amministratore di fatto con l’amministratore di diritto della società che aveva utilizzato fatture per operazioni inesistenti e, dall’altro, come emittente delle medesime fatture nella sua qualità di amministratore di un’altra società.

Deve rilevarsi, sul punto, che il ricorrente non contesta la ricostruzione accusatoria secondo la quale egli era non un concorrente in reati materialmente commessi da altri, ma era invece il soggetto che, da un lato, ha direttamente prodotto le fatture false, quale legale rappresentante o amministratore di fatto di alcune società, e, dall’altro, ha direttamente indicato tali fatture quali elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale di altre società, delle quali era del pari amministratore. L’ipotesi in esame è, dunque, differente da quelle del concorso, la cui configurabilità è esclusa dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9. La ratio del richiamato articolo 9 è, infatti, quella di evitare che l’emittente di una fattura per operazioni inesistenti possa essere punito a titolo di concorso nell’utilizzazione di detta fattura e, corrispondentemente, che l’utilizzatore della fatture per operazioni inesistenti possa essere punito a titolo di concorso nell’emissione di detta fattura. L’esclusione posta dalla norma fa salva, invece, l’ipotesi in cui uno stesso soggetto direttamente provveda a emettere fatture false e, sempre direttamente, utilizzi tali fatture false ai fini dell’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi passivi fittizi. Diversamente opinando, del resto, si genererebbe l’inconveniente di dover determinare quale dei due reati – la dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 o l’emissione di fatture false di cui all’art. 8 – debba essere punito e quale, invece, debba essere ritenuto non punibile. Non è un caso, infatti, che manchi, nel sistema sanzionatorio del D.Lgs. n. 74 del 2001, una disposizione che indirizzi su come effettuare una tale scelta, essendo, anzi, tale mancanza un’ulteriore conferma dell’impossibilità di ricomprendere nella deroga stabilita dall’art. 9 al principio di cui all’art. 110 c.p., fattispecie diverse da quella del concorso di persone.

5.2. – Quanto alla confisca delle quote di Gabrius Real Estate s.r.l. e dei beni di proprietà della stessa – oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso – deve rilevarsi che le argomentazioni svolte in punto di fatto dalla difesa, anche relativamente alla valutazione di quanto riferito da G., si scontrano con la corretta e coerente ricostruzione contenuta nelle sentenze di primo e secondo grado. Dalle analitiche motivazioni delle due pronunce, si rileva, in sintesi, che: a) la Gabrius Real Estate s.r.l. era il “polmone finanziario del gruppo”, essendo la società dalla quale venivano sottratte, attraverso meccanismi illeciti, quali l’acquisto fittizio di ben 50.000 piante o l’acquisto di opzioni mai successivamente esercitate, ingenti somme da utilizzare nelle varie operazioni penalmente rilevanti; b) la società era, dunque, uno strumento essenziale, utilizzato per commettere gran parte dei reati contestati, anche perchè nel suo patrimonio erano pervenuti i proventi del “carosello”; c) gli immobili di proprietà della società erano, dunque, da considerare come diretto profitto dei reati posti in essere dall’imputato; d) l’imputato aveva, a prescindere dalla formale intestazione dell’82% delle quote sociali, un totale controllo anche sulle quote sociali della moglie, perchè la società era un sostanziale schermo per lo svolgimento di attività illecite (pagine 236 e 237 della sentenza di primo grado); e) tali conclusioni hanno ricevuto conferma, fra l’altro, dalle dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’imputato.

Ne deriva l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di ricorso, perchè sostanzialmente diretti a riproporre davanti a questa Corte una ricostruzione alternativa dei fatti, già motivatamente esclusa in primo e secondo grado.

5.3. – Analoghe considerazioni devono essere svolte quanto al quarto motivo di ricorso, con cui si censura la motivazione relativa all’utilizzazione da parte di Gabrius Real Estate s.r.l., nelle dichiarazioni fiscali 2004 inerenti all’anno 2003, di una fattura per operazioni ritenute inesistenti emessa dalla società Neptune Continental Itd., relativa alla vendita, a favore di Gabrius Real Estate s.r.l., di circa 50.000 piante per un corrispettivo di Euro 9.000.000.

A fronte di una tale doglianza che – come anticipato – attiene sostanzialmente al merito della decisione, non traducendosi in una puntuale critica alla logicità o alla coerenza della motivazione, è, dunque, sufficiente richiamare l’analitica motivazione della sentenza di primo grado (come sintetizzata alle pagine 13 e 14 della sentenza d’appello), secondo cui: a) allo scopo di dotare di garanzie immobiliari la società Gabrius Real Estate s.r.l., si erano ceduti immobili provenienti dalla società dalla società Neptune Continental ltd. e vi era stata poi una separata cessione delle piante che insistevano su quei medesimi terreni, le quali venivano stimate, senza alcuna perizia, Euro 9.000.000; b) a seguito di tale separata – e per ciò solo sospetta – cessione delle piante, la Banca erogava un mutuo di Euro 11.000.000, che era usato per consentire la ripresa del “carosello”; c) il valore reale delle piante era risultato essere di meno di un decimo rispetto a quello indicato; d) il pagamento non era realmente avvenuto, come ammesso dallo stesso imputato (pag. 42 della sentenza impugnata). Anche tale motivo di censura deve, perciò, essere ritenuto inammissibile.

5.4. – A fronte di quanto già osservato circa la sicura esistenza del meccanismo a “carosello” risultano irrilevanti e, dunque inammissibili per genericità, le considerazioni svolte dall’imputato con il quinto motivo di ricorso, relativamente al preteso travisamento delle prove documentali rappresentate, in particolare, dalle attestazioni del pagamento, a favore delle società distributrici estere ************* e *********, negli anni 2004-2006, di ingenti somme da parte di primari operatori internazionali del mercato finanziario e assicurativo.

Tali prove sono del resto costituite – come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello – da documenti relativi ad avvenuti pagamenti, che in realtà nulla dimostrano circa i rapporti sottostanti cui si riferirebbero. Nè il fatto che alcune delle società riconducibili all’associazione a delinquere, diverse da quelle che fungevano da semplici “cartiere”, abbiano qualche volta effettuato operazioni reali e non fittizie potrebbe valere, anche se confermato, ad escludere la fittizietà delle altre operazioni poste in essere.

5.5. – Del pari inammissibile, perchè anch’esso diretto a riproporre rilievi già motivatamente disattesi in primo e secondo grado è il sesto motivo di ricorso relativo alla pretesa violazione dell’art. 416 c.p., e alla manifesta illogicità della motivazione circa il ruolo di ciascuno dei partecipanti ( G., P., D., B.) nell’ambito dell’associazione delinquere.

Le mere asserzioni difensive sul punto si scontrano, del resto, con una dettagliata e coerente ricostruzione del ruolo di ciascuno di tali soggetti da parte dei giudici di entrambi i gradi di merito, basata su numerosi elementi fra i quali assumono particolare rilevanza le puntuali dichiarazioni confessorie rese in un primo momento dall’imputato e mai superate dalla successiva, non credibile, ritrattazione. E’ sufficiente qui ricordare sinteticamente che: a) il ruolo di G., come da lui stesso ammesso, era quello di braccio destro operativo, che curava nella maggior parte dei casi l’organizzazione e il materiale svolgimento delle operazioni fraudolente; b) il ruolo della P. era quello di portare varie società nel giro illecito dell’imputato, coordinando l’operato delle stesse con quelle facenti capo a quest’ultimo e provvedendo materialmente a redigere fatture per operazioni inesistenti; c) il ruolo di D. era quello di amministratore, in alcuni casi di fatto, di società cartiere; d) il ruolo di Ba. era quello di fiduciario in Svizzera, deputato ad amministrare il denaro li confluito e due delle società utilizzate per il carosello.

5.6. – Inammissibile, per le stesse ragioni, è anche il settimo motivo di impugnazione, con cui si lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita di somme di pertinenza della Gabrius Real Estate s.r.l. da parte dell’imputato mediante il meccanismo fraudolento dell’acquisto e del successivo mancato esercizio di opzioni di acquisto di immobili emesse dalla società Interstate SA. La natura fraudolenta di tale meccanismo è, del resto, puntualmente descritta nella sentenza impugnata, laddove si evidenzia l’inverosimiglianza della spiegazione fornita dalla difesa secondo cui le opzioni acquistate non sarebbero state esercitate per mancanza di liquidità. E ciò, in primo luogo, perchè non appare credibile che tale rinuncia sia avvenuta senza alcun corrispettivo, con corrispondente rilevantissimo danno economico, e, in secondo luogo, perchè, dal complesso quadro delle operazioni poste in essere, emerge che la società in questione serviva per fornire denaro alle altre società e, dunque, era – come nel caso dell’acquisto a prezzo gonfiato delle 50.000 piante di cui sopra – un’entità controllata dall’imputato, da utilizzare per prelevare fondi laddove questi fossero necessari. Ciò risulta, del resto, sostanzialmente confermato dalle stesse dichiarazioni dell’imputato e di G..

5.7. – L’ottavo motivo di ricorso – riferito alla pretesa nullità della sentenza per difetto di motivazione sul rigetto della richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., nella misura di anni 3 e mesi 8 di reclusione – è manifestamente infondato.

E’ sufficiente osservare, quanto a tale specifico profilo, che la pena indicata dall’imputato è stata ritenuta incongrua dalla Corte d’appello, la quale lo ha condannato a una pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, che, anche diminuita di un terzo fino ad anni 5 mesi 9 e giorni 10 di reclusione – e senza considerare i reati dichiarati prescritti dopo la sentenza di primo grado – sarebbe comunque superiore ai 5 anni che costituiscono il limite per l’applicabilità dell’art. 444 c.p.p..

5.8. – Inammissibile, perchè diretto ad ottenere da questa Corte una sostanziale rivalutazione del complessivo trattamento sanzionatorio, è l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla motivazione della sentenza sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e sulla misura della pena.

Tale motivazione risulta, del resto, ampiamente sufficiente, perchè tiene conto dell’oggettiva gravità dei fatti, quale emerge dalla loro continuità nel tempo e dalla straordinaria capacità criminale dimostrata dall’imputato, nonchè dalla sua condotta processuale, improntata ad accreditare la tesi secondo cui egli avrebbe avuto pressioni dirette ad ottenere la sua iniziale confessione. Nè la somma di Euro 100.000,00, che la difesa sostiene che sia stata versata a parziale risarcimento del danno, risulta idonea a ristorare in modo significativo i rilevantissimi danni cagionati all’erario.

6. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza che trova applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

Il ricorrente deve essere anche condannato al rimborso delle spese sostenute, nel presente grado di giudizio, dalla parte civile Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi Euro 2500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 2500,00.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2012.

Redazione