Divieto di motivazione postuma (Cons. Stato n. 4194/2013)

Redazione 20/08/13
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FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sez. VII, con la sentenza n. 3399 del 12 luglio 2012, ha accolto il ricorso, proposto dall’attuale appellato, ********** in qualità di Amministratore unico e legale rappresentante della società Promoinvest a r.l., proprietaria dell’Hotel Europa, B. Paride, in qualità di Amministratore unico e legale rappresentante della società S.I.A.S. a r.l., proprietaria dell’Hotel Villa Serena, e ****************, in qualità di legale rappresentante della G.E.A. di **************** e *********, proprietaria dell’Hotel Paradiso annullando, in relazione al ricorso principale:

– la delibera di G.C. n. 163 del 6.12.2010, avente ad oggetto annullamento, in via di autotutela ex art. 21 della legge n. 241/1990, della delibera di G.C. n. 160 del 25.10.2007, relativa alla “concessione ventinovennale per l’occupazione di sottosuolo demaniale e nulla osta per la costruzione di servitù di passaggio temporaneo a favore delle ditte proprietarie delle strutture alberghiere denominate “Hotel Paradiso”, “Hotel Villa Serena” e “Hotel Europa” per la realizzazione, per la via comunale **********, di un sistema di collegamento diretto con il complesso termale delle Nuove Terme e le predette strutture alberghiere, nonché di ogni atto preordinato, connesso e consequenziale comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti, tra cui l’allegata relazione istruttoria e la nota GAB 4737 – prot. gen. 60189 del 3.12.2010;

In relazione ai motivi aggiunti, depositati il 9.5.2011, la sentenza del TAR ha annullato il provvedimento dirigenziale prot. n. 7077 del 14.2.2011, conosciuto a seguito della costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale avvenuta il 21.2.2011, con il quale sono stati annullati l’atto di determinazione conclusionale del procedimento (art. 14-ter, commi 6-bis e 9, della legge n. 241/1990) del 9.10.2008, a firma del Dirigente del V settore, relativo all’assenso ai lavori afferenti la realizzazione di un sistema di collegamento diretto tra le Nuove Terme e gli Hotel Paradiso, Villa Serena e Europa, nonché la convenzione per la concessione per l’occupazione di sottosuolo demaniale, sottoscritta con rep. 439 del 3.9.2008 e registrata in data 24.9.2008 al n. 354 presso l’Ufficio delle Entrate di Castellammare di Stabia.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che era fondata ed assorbente la seconda censura con la quale i ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241-1990, nonché per eccesso di potere sotto molteplici profili, sull’assunto che nella delibera gravata mancherebbe l’indicazione di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento della precedente delibera di Giunta e sarebbe stato omesso il necessario bilanciamento tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità e l’affidamento ingenerato nei privati dall’atto eliminato in autotutela.

Il TAR ha precisato che non intendeva in alcun modo disconoscere la situazione evidenziata dalla Commissione di accesso e dal Prefetto di Napoli negli atti che hanno indotto l’Amministrazione comunale all’adozione della delibera impugnata e, segnatamente dei “collegamenti delle strutture alberghiere con la criminalità organizzata” nonché degli “abusi edilizi non sanabili” accertati presso l’Hotel Europa; tuttavia, secondo il TAR, oggetto del presente giudizio è la delibera n. 163 del 6.12.2010 nella quale non vi è alcun accenno ai predetti fatti, né tanto meno il contenuto delle risultanze dell’attività della Commissione di accesso e quello delle indicazioni del Prefetto di Napoli sono stati riportati nella stessa ovvero anche solo richiamati per relationem, in modo che li si possa ritenere parti integranti della motivazione.

Per tali ragioni, ha concluso il TAR, non è stata accolta la richiesta dell’Amministrazione comunale di acquisizione degli atti della Commissione di accesso nominata dal Prefetto di Napoli nel 2009 per dimostrare l’afferenza dei fatti oggetto di causa all’uccisione del consigliere comunale *********, giacché nessuna delle predette circostanze emergeva dal provvedimento impugnato.

Il Comune appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo:

– Motivazione carente ed erronea in merito ad un argomento decisivo della controversia;

– Violazione artt. 63, 64 e 65 d.lgs. 104-2010 e artt. 116, 210 e 213 c.p.c.;

– Violazione art. 97 Cost. e 116 c.p.c.. Eccesso di potere per contrasto con precedenti;

– Difetto di motivazione in relazione ai fatti a fondamento del provvedimento di autotutela.

Si costituiva il ricorrente in primo grado intimato, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 4 giugno 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello sia fondato.

La vicenda, nella parte rilevante per il presente giudizio, ha preso avvio con l’istanza congiunta, proposta dagli attuali appellati, assunta al protocollo comunale n. 69773 del 31.10.2006, per ottenere dal Comune di Castellamare di Stabia il rilascio dei titoli abilitativi finalizzati alla realizzazione di un sistema di collegamento diretto tra la struttura termale Nuove Terme e le rispettive strutture alberghiere; nello specifico, si trattava della realizzazione di due sottopassaggi nel sottosuolo della Via comunale Muscogiuri, che permettono di accedere dall’interno delle strutture alberghiere dei ricorrenti direttamente allo stabilimento termale Nuove Terme attraverso due gallerie vetrate da creare in superficie sull’area di proprietà della ******à Immobiliare Nuove Terme (S.I.N.T.) Spa.

Il procedimento amministrativo attivato per l’esame dell’istanza congiunta, svolto attraverso una conferenza di servizi decisoria ex art. 14, comma 2, legge 241-90, si è concluso con l’approvazione della relativa proposta progettuale, con determina dirigenziale del 9.10.2008.

La Giunta Comunale di Castellamare di Stabia ha preso atto di tale esito e, per quanto di sua competenza, ha approvato lo schema di convenzione, sottoscritta dal Dirigente del Settore A.T.R. con atto rep. n. 439 del 3.9.2008, disciplinante la concessione ventinovennale a favore dell’Hotel Europa, dell’Hotel Villa Serena e dell’Hotel Paradiso, dell’occupazione del sottosuolo demaniale (delibera n. 160 del 25.10.2007).

Durante l’esecuzione dei lavori, per i quali è stata disposta la chiusura al traffico della Via Muscogiuri al fine di agevolare le opere di cantiere (ex ordinanza dirigenziale n. 307 del 20.11.2009, è stata rilevata una differente disposizione dei sottoservizi rispetto alle indicazioni fornite in sede di Conferenza di Servizi, ed è quindi sorta la necessità di presentare una parziale variante, come emerge dalla comunicazione del Direttore dei Lavori e dall’istanza di “variante in corso d’opera”, rispettivamente, assunte al protocollo comunale del 17.5.2010 e 31.5.2010 (cfr. all. 8 all’appello).

L’Amministrazione comunale non ha espresso il proprio parere sulla richiesta di variante, ma ha comunicato l’avvio del procedimento volto alla “verifica della regolarità amministrativa dell’atto che ha assentito l’intervento edilizio in questione”, chiedendo alla soc. S.I.N.T. di far pervenire copia della documentazione con la quale la Direzione Nazionale dell’INPS richiedeva il collegamento in argomento quale condizione di rinnovo della convenzione, nonché eventuale accordi e/o corrispondenza intercorsa con le strutture alberghiere o con altri Enti interessati (nota prot. n. 31734 del 15.6.2010, all. 9 all’appello).

Con la nota prot. n. 62196 del 14.12.2010 e con la nota prot. n. 1042 dell’11.1.2011 l’Amministrazione comunale ha comunicato un nuovo avvio di procedimento mettendo in evidenza che con la delibera di G.C. n. 163 del 6.12.2010 è stato deliberato di annullare in autotutela la delibera di G.C. n. 160 del 25.10.2007 e relativi atti, ivi compresa la Convenzione per la concessione di occupazione di suolo demaniale sottoscritta con atto rep. n. 439 del 3.9.2008.

La relazione istruttoria allegata al provvedimento di G.C. n. 163 del 6.12.2010 illustra le ragioni della decisione, sottolineando che la delibera di G.C. n. 160 del 25.10.2007 era inficiata da plurimi vizi di legittimità, ovvero:

– incompetenza dell’organo che ha emesso il provvedimento (la Giunta Comunale), in quanto solo il Consiglio Comunale può autorizzare l’utilizzo e la concessione di aree demaniali da parte di terzi ciò in osservanza dell’art. 42 del d.lgs. 267-2000, con particolare riferimento al comma 2, lett. l);

– che la S.I.N.T., nel formalizzare il proprio interesse, aveva evidenziato che l’assenza di siffatto collegamento veniva prospettato come causa di mancato rinnovo della convenzione con l’INPS, ma che tale circostanza non trovava riscontro nella documentazione trasmessa dalla S.I.N.T. in data 15.6.2010.

Tale delibera di annullamento in via di autotutela (delibera n. 163 del 6.12.2010), nonché il consequenziale provvedimento applicativo prot. n. 7077 del 14.2.2011 sono stati impugnati dagli odierni appellati, in primo grado, per le seguenti ragioni:

– violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.lgs. 267-2000 in quanto tale disposizione normativa non include tra le competenze del Consiglio Comunale anche gli atti di concessione di occupazione di suolo demaniale;

– violazione dell’art. 21-nonies della legge 241-90, segnatamente per la violazione della tutela dell’affidamento in quanto la parte appellata è pervenuta ad esercitare il potere di annullamento d’ufficio a distanza di oltre due anni dall’atto di assenso all’intervento edilizio in questione e, per di più, quando i relativi lavori si trovano in fase avanzata;

– violazione degli artt. 3 e 7 della legge 241-90.

L’Amministrazione, sia in primo grado che in sede di atto d’appello, ha opposto la circostanza che la Commissione di accesso e la Prefettura di Napoli avevano evidenziato “collegamenti delle strutture alberghiere con la criminalità organizzata” nonché “abusi edilizi non sanabili”, atti che hanno indotto l’Amministrazione comunale all’adozione della delibera.

Il TAR ha ritenuto che tale rilievo non fosse condivisibile per sostenere la legittimità dell’atto impugnato, poiché, sulla base del dato documentale, l’Amministrazione appellata ha sempre fatto riferimento ad un procedimento volto alla “verifica della regolarità amministrativa dell’atto di concessione demaniale” senza alcun riferimento alle ragioni sopra evidenziate, né evidenziate né richiamate per relationem nella motivazione posta alla base della delibera di G.C. impugnata.

Ritiene il Collegio, passando all’esame nel merito dell’appello, che è insegnamento tradizionale e consolidato quello in base al quale, nel processo amministrativo la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento, a tutela oltre che del buon andamento e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario degli stessi principi di parità delle parti e giusto processo (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il diritto europeo (art. 1 c.p.a.) i quali convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa.

Tuttavia, il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’art. 21-octies l. n. 241-1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 5257).

Infatti, sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l’Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato o si verta in ipotesi di attività vincolata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4610 e sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3376).

Inoltre, ed in particolare, la facoltà dell’Amministrazione di dare l’effettiva dimostrazione dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, nel caso di atti vincolati, esclude in sede processuale che l’argomentazione difensiva dell’Amministrazione, tesa ad assolvere all’onere della prova, possa essere qualificato come illegittima integrazione postuma della motivazione sostanziale, cioè come un’indebita integrazione in sede giustiziale della motivazione stessa.

Pertanto, alla luce dell’attuale assetto normativo, devono essere attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma, dequotando il relativo vizio tutte le volte in cui l’omissione di motivazione successivamente esternata:

– non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato;

– nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato;

– nei casi di atti vincolati.

Nel caso di specie, come aveva già affermato questa Sezione con la propria ordinanza cautelare n. 2765 del 30 giugno 2011, gli atti adottati dalla Commissione Prefettizia d’accesso, relativi alla situazione di grave infiltrazione mafiosa derivante dai collegamenti delle strutture alberghiere con la criminalità organizzata, atti riservati e, quindi, non esibibili, non si potevano ritenere indifferenti rispetto alla situazione in esame.

In primo luogo, infatti, tali atti sono stati presi in considerazione dall’Amministrazione, come risulta dalla Direttiva del Sindaco del Comune del 3.2.2010, inerente la revoca delle concessioni di aree demaniali agli alberghi delle Terme; direttiva ove ampiamente erano espresse le ragioni del provvedimento esecutivo di “autotutela”, in quanto emesso in osservanza alle indicazioni del Prefetto di Napoli, ex nota prot. 659/Area 2 EE. LL. del 12 maggio 2010, indicazioni a loro volta relative agli accertamenti svolti dalla citata Commissione d’accesso ove sono di palmare evidenza i collegamenti delle strutture alberghiere con la criminalità organizzata di stampo mafioso.

Dunque, sotto il profilo formale la motivazione dell’atto, seppure con una formula criptica di relatio, sussisteva, evidenziando l’interesse pubblico al ritiro dell’atto in via di autotutela, interesse pubblico in re ipsa alla luce delle considerazioni sopra evidenziate.

In secondo luogo, tali atti hanno non solo suscitato il potere di autotutela dell’Amministrazione, ma lo hanno imposto, configurandosi quindi il ritiro dell’atto alla stregua di un atto vincolato, nel quale dunque:

– alla luce degli insegnamenti giurisprudenziali sopra evidenziati, la motivazione può anche essere oggetto di un’illustrazione postuma che non costituisce integrazione della medesima, bensì applicazione di quanto dispone l’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della l. 241-90;

– in particolare il vizio riscontrabile è un vizio solo formale, poiché manca soltanto l’integrale applicazione dello schema legale della motivazione per relationem, ex art. 3 l. 241-90; sarebbe stato sufficiente il richiamo diretto alla direttiva sindacale citata del 3.2.2010 (rectius: alla nota del Prefetto di Napoli prot. 659/Area 2 EE. LL. del 12 maggio 2010) per far ritenere sufficiente l’espressione della motivazione; il che conferma che la sua omissione, nel caso di specie, costituisce mero vizio di forma.

Peraltro, deve essere ulteriormente evidenziato che il ricorrente in primo grado non ha riproposto in appello, ex art. 101, comma 2, c.p.a., le censure dichiarate assorbite dal TAR (violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.lgs. 267-2000 in quanto tale disposizione normativa non include tra le competenze del Consiglio Comunale anche gli atti di concessione di occupazione di suolo demaniale e violazione degli artt. 3 e 7 della legge 241-90).

Si è limitato soltanto a difendersi in relazione alla censura di primo grado (violazione dell’art. 21-nonies della legge 241-90, segnatamente per la violazione della tutela dell’affidamento in quanto la parte appellata è pervenuta ad esercitare il potere di annullamento d’ufficio a distanza di oltre due anni dall’atto di assenso all’intervento edilizio in questione e, per di più, quando i relativi lavori si trovano in fase avanzata), accolta dal TAR e contestata dall’Amministrazione con l’atto d’appello.

Pertanto, il problema dell’illegittimità dell’atto per difetto di motivazione non può comunque essere oggetto del presente grado di giudizio, circoscritto alla sola questione della violazione dell’art. 21-nonies, poiché la relativa censura, non riproposta, si intende rinunciata ai sensi del citato art. 101, comma 2, c.p.a.

Violazione dell’art. 21-nonies che questo Collegio, a differenza del TAR, non ritiene sussistente poiché, come già anticipato, il ritiro dell’atto in presenza di una situazione di collegamento di stampo mafioso si deve intendere quale atto dovuto, atto nel quale l’interesse pubblico al ritiro del medesimo, in quanto favorevole ad una struttura legata alla criminalità organizzata è massimo e non consente evidentemente il radicamento di nessun legittimo affidamento da parte del privato coinvolto, in quanto si tratterebbe di un affidamento di tipo gravemente criminoso che l’ordinamento giuridico ha il dovere di contrastare e di reprimere.

Inoltre, deve essere osservato, proprio in relazione alle circostanze criminose sopra evidenziate, che le stesse devono intendersi ammesse e assunte in questo giudizio in relazione al principio di non contestazione che informa anche il processo amministrativo ex art. 64, comma 2, c.p.a., secondo cui “***** i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione (…) i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”.

Il problema interpretativo posto da tale norma e dal suddetto principio non è di facile soluzione, in realtà: la contestazione deve essere specifica; tuttavia, ciò equivale a dire che debba anche essere espressa?

E, quindi, ammissibile una contestazione implicita, laddove la parte si limiti a narrare un fatto logicamente e strutturalmente incompatibile con quando dedotto dalla parte avversa?

In sostanza: se vi è incompatibilità logico-funzionale tra i fatti narrati dall’attore e quelli del convenuto, potrà ciò costituire “mancata contestazione specifica” così da divenire prova?

Se si opta per la tesi negativa, la parte potrebbe già ritenere provati i fatti narrati, senza alcuna dimostrazione, per merito della mancata contestazione specifica, ex 64, comma 2, c.p.a.; se, al contrario, si opta per la tesi positiva, la parte dovrà pur sempre provare i fatti narrati, non operando il meccanismo della mancata contestazione come prova.

A favore della tesi negativa deporrebbero gli argomenti che:

– l’inciso “fatti non specificatamente contestati” sembrerebbe suggerire che la mancata ed espressa specificazione vale come mancata contestazione e, dunque, prova; ciò perché, la contestazione, per essere valida ai sensi della norma deve essere specifica: non è specifica contestazione la narrazione di un fatto incompatibile con quanto già affermato da controparte; per certi versi, la narrazione incompatibile non sarebbe neanche una “contestazione”, al di là della necessità del requisito della specificità;

– la ratio della norma, tesa a “specificare” meglio la “struttura dialettica a catena” verrebbe del tutto vulnerata; anzi, addirittura si opterebbe per un’interpretatio abrogans dell’art. 64, comma 2, c.p.a.

A sostegno della tesi positiva preferibile, invece, militerebbero gli argomenti che:

– in effetti, il Legislatore sembrerebbe richiedere il requisito della specificità della contestazione, ma con ciò non si può intendere la necessaria espressione di contestazione, essendo ammesse contestazioni implicite; più chiaramente, non viene richiesto che i fatti siano “espressamente” contestati, ma che la contestazione sui fatti sia specifica, con la conseguenza logico-deduttiva che, a rigore, dovrebbero essere ammesse le contestazioni implicite, purché specifiche; ne segue, ancora, de plano, che la narrazione di un fatto incompatibile con le esplicitazioni avverse, se specificatamente riferibili a queste ultime, ancorché in modo implicito, dovrà ritenersi contestazione specifica; id est: il requisito della specificità non richiede che la contestazione sia espressa, così ammettendosi narrazioni incompatibili, purché riferibili a fatti narrati dall’avversa parte processuale;

– inoltre, non sarebbe possibile considerare il fatto incompatibile tamquam non esset, privo di rilievo giuridico, in quanto la nullità, pure di parti di atti, può emergere solo nei casi di mancato raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c. (applicabile in base alla clausola di rinvio esterno ex art. 39 c.p.a.), diversamente dall’ipotesi de quo; la narrazione di un fatto incompatibile, precisamente, permette a controparte una difesa congrua, così raggiungendo lo scopo, senza alcuna elusione; la materia processuale, in fondo, tende alla sostanza delle cose, che viene salvaguardata pure nei casi di narrazioni incompatibili;

– la ratio, poi, verrebbe comunque salvaguardata, in quanto la narrazione dei fatti dovrà essere riferibile specificatamente a quanto già dedotto dall’altra parte, seppur in modo implicito, così assicurando una maggiore specificità delle rispettive contestazioni.

Alla luce di tali rilievi, il Collegio ritiene che la narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni della parte avversa, purché riferibili in modo specifico, ancorché in modo non espresso, è compatibile con i requisiti di necessaria specificità della contestazione, oggi codificati nell’art. 64, comma 2, c.p.a., perché tale impostazione è coerente con il dato letterale (il Legislatore richiede la “specificità”, e non un richiamo “espresso”); coerente con i principi generali (in particolare, quello del raggiungimento dello scopo); coerente con la ratio sottesa alla novella del 2009, non infliggendo in alcun modo un vulnus al diritto di difesa, assicurando pur sempre un contraddittorio leale.

Anche condividendo tale secondo orientamento, il Collegio rileva che, negli atti difensivi dei ricorrenti in primo grado, appellati, non sussiste alcun elemento che possa ritenersi un’implicita contestazione dei fatti sopra evidenziati (Direttiva del Sindaco del Comune del 3.2.2010, inerente la revoca delle concessioni di aree demaniali agli alberghi delle Terme; nota del Prefetto di Napoli prot. 659/Area 2 EE. LL. del 12 maggio 2010; accertamenti svolti dalla citata Commissione d’accesso; fatti, di grave rilievo criminoso, oggetto dei predetti accertamenti), atteso che in tali atti si continuano a sostenere le ipotesi di legittimità formale e procedimentale ma non si tocca in alcun modo la sostanza dei rapporti economico-sociali e criminali alla base degli stessi che, dunque, si devono dare per ammessi; con la conseguenza che si rafforzano ancora più le argomentazioni qui svolte relative alla sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa all’annullamento qui contestato e, se si ritiene riemersa in appello la questione connessa al difetto di motivazione, non annullabile l’atto per tale vizio ai sensi del citato art. 21-octies, comma 2, prima parte, l. 241-90.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado, in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013

Redazione